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Per la morte e il singolo Esserci
48) Riguardo alla morte si è finora detto:
- L'Esserci porta con sé un non-ancora, una mancanza costante
- Il giungere alla propria fine, il venir meno cioè di tale mancanza, significa non esserci più
- Non è possibile assumersi il morire di un altro (esclusione della sostituzione)
A questo punto però Heidegger si domanda: è giusto considerare il non-ancora come mancanza? Ottenendo ciò che manca si arriva ad un tutto completo e unito? L'aggiungersi delle parti elimina il non-ancora proprio dell'Esserci? La risposta è no: l'Esserci non comincia ad essere un insieme solo quando viene completato il suo non ancora. L'Esserci è già sempre nonostante gli manchi sempre qualcosa, anzi il suo non-ancora è proprio ciò che lo caratterizza (es. anche se la Luna non è piena è già presente come un tutto). La somma non-ancora completa, in
quanto utilizzabile, è "indifferente" rispetto alla partemancante e utilizzabile. Un frutto immaturo con la maturazione si compie: ma è giusto considerare la morte dell'Esserci come un compimento in tal senso? Con la morte sicuramente l'esserci vede "compiuto il suo corso" ma è proprio in quel momento che le sue possibilità vengono esaurite? Non gli vengono piuttosto sottratte? Dunque finire non vuol dire per forza giungere a compimento: l'esserci può raggiungere la maturazione anche prima della sua fine biologica così come potrebbe finire senza averla ancora raggiunta (morire nell'incompiutezza). In che senso allora la morte va intesa come la fine dell'esserci? Il finire come cessare o dissolversi di qualcosa non è ciò che accade all'Esserci con la morte, poiché se così fosse l'esserci sarebbe una semplice-presenza o un utilizzabile. Il finire proprio dellamorte dunque non è un essere alla fine ma un essere-per-la-fine dell'Esserci. La morte è un modo di essere che l'Esserci assume non appena è.
CONCLUSIONE: il non-ancora non è mancanza (vedi esempio della Luna) e la morte non è fine perché questo implicherebbe considerare l'Esserci come semplice-presenza.
49) viene brevemente analizzato il modo in cui le altre discipline hanno affrontato il tema della morte, ma Heidegger ritiene che lo abbiano fatto solo in modo formale in quanto le loro ricerche e i loro risultati sono sempre subordinati ad un'analisi esistenziale della morte dell'Esserci.
OBIETTIVO50): interpretare il fenomeno della morte in quanto essere-per-la-morte a partire dalla costituzione dell'Esserci (la Cura) per chiarire infine in che misura l'Esserci stesso costituisce una totalità attraverso il suo essere-per-la-morte.
Abbiamo definito che la struttura costitutiva dell'Esserci è
La Cura e chel'esserci può trovarsi "avanti-a-sé" (esistenza), "già-in" (effettività) e "presso" (deiezione). In che modo allora queste componenti si rivelano nella morte?
La morte è un qualcosa che sovrasta l'Esserci: è un'imminenza che incombe su di lui come sua possibilità più propria, incondizionata e insuperabile, la possibilità di non-poter-più-esserci. Semplicemente esistendo, l'Esserci è gettato in questa possibilità e questo esser-gettato angoscia nella morte gli si rivela attraverso l'esperienza emotiva dell'angoscia.
L'angoscia non è la paura di morire, ma un'apertura dell'Esserci al suo esistere come esser-gettato per la propria fine (ESSER-GETTATO NEL POTER-ESSERE PIÙ PROPRIO). Vivere l'angoscia significa vivere la morte in modo autentico, ma l'Esserci può anche scegliere di scappare.
davanti allamorte nella maniera della deiezione* (questo verrà meglio chiarito nel paragrafo successivo). In conclusione, dunque, il morire si fonda nella Cura. *DEIEZIONE: indica il modo di essere inautentico proprio dell'uomo in quanto gettato-nel-mondo, in una dimensione di "SI" rapporti ancorata ad un impersonale. 51) posto quindi che vi è una relazione tra l'essere-per-la-morte e la Cura, bisogna ora chiarirla nella quotidianità. Nella quotidianità questo rapporto si esprime nella chiacchiera la quale è però sempre anch'essa costituita da una situazione affettiva. In che modo quindi questa si rapporta con l'essere-per-la-morte? Il mondo pubblico conosce la morte come evento che accade continuamente ad un non-io, tanto che si dice "una volta o l'altra si morirà, ma per ora si è ancora vivi". La morte è quindi un qualcosa di indeterminato che accadrà, ma che per ora nonè ancora presente, un evento che riguardal’Esserci in generale ma mai nessuno in proprio (alla chiacchiera siSIaccompagna sempre l’equivoco). L’Esserci si perde nel dimenticandosi ilSIsuo poter-essere più proprio. Il procura una costante tranquillizzazionenei confronti della morte e per di più definisce come bisogna comportarsi dipaurafronte a questa: l’angoscia viene banalizzata in e fatta propria di unEsserci debole; ciò che si addice all’Esserci è rimanere indifferenti al fattoche si muore. Questa indifferenza però, estranea l’Esserci da ciò che gli èdeiezione.più proprio e si concretizza nel modo di essere della L’ESSEREPER LA MORTE QUOTIDIANO È DUNQUE UNA FUGA COSTANTEDAVANTI A ESSA (elusione della morte): SI CONFIGURA COSI’ L’ESSERE-PER-LA-MORTE INAUTENTICO. SI52) da un lato si nota quindi come il impersonale scappi dalla morte,dall’altro però
Sembra essere comunque riconosciuta la certezza della morte: in realtà questa è solo una certezza apparente poiché il è certo della morte come fatto empirico (vedendolo realizzarsi sempre su altri esserci), ma questo non ha a che fare con l'esser-certo della morte come possibilità eminente dell'Esserci. Addirittura sembra essere messa in discussione anche la stessa certezza della morte, o per lo meno, viene dimenticata una delle sue caratteristiche più importanti, cioè la sua indeterminatezza, il suo poter accadere in qualsiasi momento, quando "...Madicendo per ora si è vivi" il pensiero della morte viene rimandato ad un "più tardi". La morte è invece la possibilità dell'Esserci più propria, incondizionata, certa e come tale indeterminata e insuperabile. 53) È possibile pensare che l'Esserci viva il suo essere-per-la-morte in modo autentico? Heidegger
Parte dal considerare l'essere-per-la-morte come essere-per una possibilità. Tuttavia questo rapporto con la possibilità della morte non deve significare un prendersi cura della sua realizzazione (che equivarrebbe ad un suicidio), né si deve solo pensare alla morte (la si indebolirebbe cercando di controllarla e calcolarla). Il modo in cui l'Esserci si rapporta a un possibile nella sua possibilità in modo autentico è l'attesa che si configura come anticipazione della possibilità stessa. Questa costringe l'esserci ad assumere il suo essere più proprio a partire da sé stesso.
SEZIONE SECONDA, CAPITOLO SECONDO SI54)
L'Esserci che si era perso nell'inautenticità, deve riprendersi dal per diventare un autentico esser-sé-stesso. Questo può avere luogo come recupero della scelta, cioè come scelta di rendere possibile a sé stesso il proprio poter-essere-autentico.
L'esserci può ritrovarsi grazie alla voce della coscienza: la coscienza si rivela come chiamata o meglio come richiamo dell'Esserci al suo più proprio poter-essere. La comprensione del richiamo si configura a sua volta come un voler-avere-coscienza in cui ha luogo una decisione.
55) L'analisi della coscienza parte dal presupposto che la "voce della coscienza" non allude ad una comunicazione verbale ma significa "dare a comprendere". Dalla chiamata è colpito chi si è allontanato dal proprio sé-stesso.
56) - Cosa è chiamato nel richiamo? L'Esserci stesso. - A cosa è richiamato? Al se-Stesso che gli è proprio. La chiamata ignora SI. SI, quindi il Tuttavia nel richiamare l'Esserci dentro di sé ignorando il non si mira ad allontanare l'Esserci dal mondo esterno quanto al se-Stesso che non può mai essere diverso dall'essere-nel-mondo.
- Cosa dice la coscienza nel suo chiamare?
La chiamata non dice nulla al se-Stesso che viene semplicemente ridestato al suo poter-essere più proprio: ri-chiama (chiama "innanzi") l'Esserci alle sue possibilità più proprie.57) - Da chi viene chiamato l'Esserci? Heidegger sostiene che l'Esserci sia allo stesso tempo il chiamante e il chiamato. Più precisamente "il chiamante della chiamata è l'Esserci nel profondo del suo sentirsi emotivamente spaesato". Abbiamo detto infatti che l'Esserci fugge di fronte a sé stesso, di fronte allo spaesamento che si rivela nella situazione emotiva dell'angoscia che pone l'Esserci di fronte al nulla del suo essere-nel-mondo. La chiamata avviene quindi non per spingere il chiamato nelle chiacchiere pubbliche, ma per trarlo fuori da esse richiamandolo al silenzio del poter-essere esistente ("lo spaesamento incalza l'Esserci e minaccia il suo oblio nella perdizione"). La coscienza sirivela come la chiamata della Cura:il chiamante è l'Esserci che, nel suo esser-gettato nel mondo si angoscia e richiama sé stesso a destarsi dalla deiezione del suo poter-essere più proprio. Non hanno senso quindi secondo Heidegger le interpretazioni che vedono nella voce della coscienza una chiamata da un esterno all'Esserci, in quanto questo non spiega lo spaesamento della chiamata.Tuttavia contro l'ipotesi della coscienza come chiamata della Cura, ci si potrebbe chiedere in che misura questa può fungere da al più rimproverare ammonire, proprio poter-essere se non fa che e se ha quindicritica?una funzione esclusivamente Per capire questo, cioè "ciò che la chiamata dà a comprendere", Heidegger spiega che bisogna prendere in analisi la comprensione della chiamata.58) Per compr