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Humanitas minima < Humanitas multiplex
L’umanità si trasforma in un puro limite (in senso matematico, non geometrico), indica non una
limitazione che ci determina in actu, ma ciò di cui gli umani sono virtualmente capaci
L’idea di natura\ cultura come “recinti” mostra i suoi limiti, rispettivamente, negli orientamenti
naturalistico-universalistici e nell’attegg relativistico-culturale classico.
L’oggetto dell’antropologia per dC è la variazione delle relazioni sociali, cioè di tutti i fenomeni possibili in
quanto relazioni sociali e in quanto implicano relazioni sociali: di tutte le relazioni come sociali. E ciò da una
prospettiva che non sia dominata dalla dottrina occidentale delle relazioni sociali, ma che produca anzi una
radicale riconcettualizzazione di ciò che è “relazione sociale” e “sociale”.
Il problema caratteristico dell’antropologia non è tanto di det quali siano le relazioni soc che costituiscono il
suo oggetto di studio, quanto piuttosto quello di chiedersi cosa il suo sogg costituisca come relazione soc,
cosa sia una relazione nei suoi termini, o meglio, nei termini formulabili attraverso la relazione evidente che
si è socialmente costituita fra lui e l’antropologo
Dalla concezione al concetto : miriamo al punto di vista del nativo? NI. Perché da un lato cerchiamo di
capire cos’è un punto di vista per il nativo, ma dall’altro il concetto nativo di punto di vista non è proprio
quello nativo, è quello che io ricavo dalla mia relazione con il punto di vista di un sogg nativo.
Ciò implica una dim di finzione, in quanto si tratta di mettere in risonanza interna due punti di vista
completamente eterogenei: in questo caso per “finzione” si intende lo sforzo concreto di sperimentare
un’immaginazione a me estranea, cioè di assumere le idee indigene come concetti e nel trarre le
conseguenze da quest’assunzione. Il tipo di lavoro proposto da dC non è né uno studio sulla “mentalità
primitiva”, né un’analisi dei “processi cognitivi” indigeni, cioè non è il modo di pensare indigeno, bensì sono
gli oggetti concettuali di qst pensare, il mondo possibile che è prefigurato da qst concetti.
Non si tratta di ridurre l’antropologia ad una serie di saggi etno-sociologici su tot visioni del mondo, perché
non c’è un unico mondo fisso, anteriore alla visione, orizzonte del pensiero da cui emergono contestualmente
tot concetti, al contrario esistono tot mondi formati da tot problemi espressi da tot relazioni concettuali; né si
tratta di interpretare un pensiero, ma di sperimentare un pensiero.
I concetti non sono oggetti intellettuali, stati o attributi mentali, passano per la testa ma non vi si
stabiliscono, né vi si trovano là pronti: sono inventati. Es. gli indios non hanno una neurofisiologia o una
“cognizione” diversa dalla nostra, pensano come noi ma i concetti cui pensano sono diversi, il mondo
descritto da qst concetti è diverso … sono in atto altre logiche e per qst si producono diverse prospettive.
Non studiamo forme di conoscenza locali, rappresentazioni, categorie e processi cognitivi, ma concetti
indigeni e i mondi diversi da cui procedono, cioè che esprimono e presuppongono
Il discorso dell’antropologo e quello del nativo non esprimono “fedelmente” i rispettivi mondi, anche
perché si costituiscono a vicenda nel momento stesso in cui entrano in una relazione di conoscenza. I
concetti antropologici non sono, dunque, né specchio veridico della cultural del nativo (sogno positivista), né
proiezioni illusorie della cultura dell’antropologo (incubo costruzionista); ciò che essi riflettono è una certa
relazione d’intelligibilità tra le due culture, ciò che proiettano sono le due culture come propri presupposti
immaginati. I concetti antropologici sono relativi perché sono relazionali, perché mettono in relazione.
L’antropologia è stata sempre troppo ossessionata dalla “scientificità”, in rapporto a se stessa e soprattutto in
rapp alle concezioni dei popoli che studia: sia per squalificarle come errori, sogni, illusioni e poi spiegarle
scientificamente, sia per promuoverle come esempi di una umana tendenza verso il sapere. L’immagine della
scienza non è tuttavia l’unico terreno, né per forza il migliore, sul quale relazionarsi con l’attività
intellettuale dei popoli estranei alla tradizione occidentale… bisogna mettere le concezioni indigene sullo
stesso piano del cogito. L’antropologia deve trasf in un potente strum filosofico capace di ampliare i nostri
orizzonti etnocentrici di pensiero (filosofico): anthropoly is philosophy with the people in (Ingold)
L’antropologia è una filosofia con la gente normale\ i popoli dentro, cioè una riflessione filosofica che
mantiene la relazione con ciò che non è filosofia, con la vita di altri popoli, con i rispettivi mondi reali.
Adesso non si tratterebbe più di descrivere antropologicamente il kula come forma melanesiana di socialità,
bensì del kula in quanto descrizione melanesiana della socialità come forma antropologica
Né spiegare, né interpretare, ma moltiplicare e sperimentare : antropologo e nativo sono entrambi sogg
culturali, di fatto l’antropologo si può accostare ad un’altra cultura solo nei termini della propria cultura; da
ciò R. Wagner deriva la cosiddetta “oggettività relativa” dell’antropologia = obiettività relazionale
Non si tratta di affermare la relatività del vero, ma la verità del relativo ≠ relativismo = prospettivismo
= relazionismo, perché la verità del relativo è la relazione
L’antropologo non ha un vantaggio epistemologico sul discorso del nativo, la relazione di conoscenza suscita
una modificazione reciproca nei termini posti in relazione, cioè attualizzati.
Cosa succederebbe se prendessimo sul serio il pensiero del nativo? Se si smettesse di neutralizzarlo e di
trattarlo come una opinione, una credenza, uno stato mentale, una rappresentazione?
Allora non ci chiederemmo più qual è il senso nascosto del pensiero del nativo, né se sta dicendo cose vere\
false: un’antropologia che riduce il significato a fede, dogma e certezza è costretta all’ingannevole scelta di
dover credere o ai significati indigeni o ai nostri (Wagner). Il pensiero del nativo non è né una forma di doxa
né una figura della logica, né opinione né proposizione. Qui lo assumiamo come attività di simbolizzazione o
pratica di senso, come dispositivo autoreferenziale di produzione di concetti \ simboli che stanno per se
stessi.
Mantenere impliciti i valori di Altri significa rifiutare di attualizzare i possibili espressi dal pensiero
indigeno, decidere di mantenerli indefinitamente come possibili, senza cadere nella tentazione di
validarli o smentirli. Significa riconoscere l’alterità e mantenerla. Significa che l’antropologia non
deve spiegare o interpretare il mondo altrui, ma moltiplicare il nostro mondo. Trattare le idee native
come concetti significa realizzare i possibili nativi come virtualità.
I porci degli indios : si trova spesso nell’etnografia amerindia l’idea che per gli indios gli animali sono
umani. Qst affermazione condensa una nebulosa di concezioni sottilmente diverse, senza considerare che
spesso “animale” e “umano” sono traduzioni equivoche di certe parole indigene. Ad ogni modo, supponiamo
che l’affermazione “gli animali sono umani” abbia un senso niente affatto metaforico per un gruppo
indigeno: ci crediamo davvero? Come reagiamo? L’antrop classica prenderebbe tale affermazione come
interessante perché ci dice qlc sugli umani che vi credono, andrebbe quindi alla ricerca delle ragioni che
sottostanno e rendono plausibile una simile affermazione, visto che è palesemente falsa o vuota.
L’antrop simbolista, invece, sosterrebbe l’esistenza di un rimando a qlc altro che riguarda la società, non
tanto a ciò di cui si sta direttamente parlando: non ci crediamo noi, non ci credono gli indios, il suo
significato è altro, può essere creduta perché coerente e razionale se inserita in un discorso più ampio.
Per dC bisogna trovare altre soluzioni. Tale affermazione dice sicuramente qlc sugli umani che la affermano,
ma non perché tale idea dice qlc che quegli umani non sono capaci di dire da sé, ma perché tramite essa
quegli umani stanno dicendo qlc sugli animali e sugli umani, cioè su cos’è per loro “essere umani”.
Tale frase non solo rivela all’antropologo qlc sullo spirito umano, ma afferma qlc sullo spirito umano.
Non importa se ci si crede o meno, importa cosa stanno dicendo gli indios quando dicono che i pecari
sono umani, cosa intendono per umano\ animale, come tali concetti si relazionano, quali sono le
conseguenze di tutto ciò (a livello di pratica quotidiana, di dialogo fra nativo e antropologo etc).
In qst termini è ovvio che l’etnografo deve prestar fede al suo interlocutore (nel senso di fidarsi), perché
quest’ultimo non gli sta dando un’opinione, ma gli sta insegnando cosa sono i pecari e gli umani e come
l’umano è coinvolto nei pecari; questa affermazione ci interessa non perché vera o falsa, ma perché
importante per i soggetti che la condividono, perché pre-vera, fondamentale nella vita indios, cioè
proiezione di un fondo che è base senza fondamento, “sta semplicemente lì, come la nostra vita”.
Il corpo degli indios : aneddoto della donna che non vuole far bere acqua bollita al figlio perché a Santa
Clara ciò fa venire la diarrea, anche se a Lima può essere diverso, “i nostri corpi sono diversi”.
L’aneddoto esemplifica bene la divergenza fra multi-culturalismo e multi-naturalismo ma allo stesso tempo
sembra pretendere che lo studioso si schieri da una parte o dall’altra; inoltre c’è da chiedersi se tale
relativismo non sia in realtà indifferenza, alla donna indios non interessa come stanno le cose altrove.
Come se esistesse un unico mondo e le culture fossero credenze.
dC propone una differente lettura: l’aneddoto sui corpi diversi invita a sforzarsi di det il mondo possibile
espresso nel giudizio della donna indios, un mondo nel quale i corpi umani sono necessariamente diversi a
Lima e a Santa Clara, lo sono perché nel mondo della donna indios ciò risponde ad un problema reale.
Tale affermazione non esprime una teoria biologica alternativa, e ovviamen