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Approccio interpretativo

Geerz definisce l'Antropologia "non è una scienza sperimentale in cerca di leggi ma una scienza interpretativa in cerca di significati" (Interpretazione di culture, 1973):

  • L'etnografo non raccoglie e scopre un dato oggettivo ma produce e interpreta ciò che vede e (ancora più profondamente) gli altri.
  • La cultura è pubblica.
  • Quindi la cultura non è una somma di tratti (lingua, etnia, territorio ecc.) ma una trama/ragnatela di significati e di simboli condivisi.

Hulf Hannerz, in La diversità culturale (1992) scrive: "Una cultura è una struttura di significato che viaggia su reti di comunicazione non localizzate in singoli territori": oggi c'è una dimensione globale della produzione e condivisione di significati; quando noi produciamo un significato, questo viaggia in maniera immediata (grazie ai social, al processo di globalizzazione che viviamo).

Geertz propone di unire i fili di questa trama, di svolgere una descrizione densa: andare in profondità, comprendere (densamente) i significati, cercare i codici di una cultura.
  • I codici culturali sono fondamentali per gli antropologi e hanno a che fare con i MODELLI CULTURALI: modelli di comportamento/di pensiero che seguiamo "come se" fossero naturali, ma che in realtà sono frutto del contesto in cui siamo cresciuti (es. cibo/postura) (p. 23 Fabietti).
Ci sono due tipi di modelli:
  1. Modelli PER (fare/pensare qualcosa): sono schemi del pensiero che provocano un'azione e permettono di fare o pensare qualcosa; modelli-guida del comportamento e del pensiero che una persona naturalizza, rende propri (il modo in cui devo camminare, mangiare, parlare con una persona).
  2. Modelli DI (ideali/come devono essere fatte le cose): più complessi; gli ideali di comportamento a cui tende una cultura; come dovrebbero essere le cose (modello di bellezza femminile).

modelli culturali:

  • Funzionano come le informazioni genetiche per gli animali: il corredo genetico degli animali li predispone a fare le cose in maniera istintiva; l'essere umano può decidere cosa fare e lo fa seguendo un modello
  • "Incompletezza" umana: la cultura quindi completa ciò che la biologia non completa (ciò che è lasciato alla scelta personale)
  • Permettono di essere e di pensarci come umani

Sono:

  • Acquisiti
  • Trasmessi
  • Selezionati (selettività della cultura)
  • Rielaborati dalle varie generazioni in base alla propria esperienza del mondo
  • Operativi (astratti ma permettono di fare le cose) e naturalizzati

A volte si trasformano in HABITUS:

  • Concetto che si deve al sociologo P. Bourdieu (1930-2002), che definisce "habitus" qualcosa più strutturato di un modello, perché ha a che fare col concetto di "potere" (non tutti i modelli sono habitus).
  • È uno schema interpretativo e di azione

Che comprende i rapporti dell'ordine oggettivo con le strutture soggettive.

È il risultato dell'interiorizzazione dei modelli di comportamento e di pensiero elaborati dalla cultura nella quale viviamo in risposta all'ambiente fisico, sociale (politico-economico) e culturale che ci circonda.

Relazione di potere tra saperi/modelli: come un essere sociale interiorizza (interiorizzando le gerarchie di potere) la cultura dominante, riproducendola.

Bourdieu, in Per una teoria della pratica (2003) scrive che "habitus" è un sistema socialmente costituito di disposizioni (incorporate nell'individuo) strutturate e strutturanti, acquisito con la pratica e orientato verso funzioni pratiche.

Le disposizioni sono strutturate - in quanto risultato delle forze sociali che agiscono in un campo sociale - e strutturanti in quanto produttrici di nuove rappresentazioni e di nuove pratiche sociali.

Cultura/Culture

  • Apertura e chiusura delle
  1. Culture (innovazione/conservazione): categorie usate da Lévi-Strauss, per identificare culture più interessate e aperte ai cambiamenti e culture più attente ai propri confini (fisici e mentali, che hanno molto a che fare anche con il periodo storico in cui si vive)
  2. Dinamicità: culture come prodotti storici; rischio di pensare a culture "tradizionali" come statiche e agli habitus come statici
  3. Una cultura è differenziata e stratificata anche al suo interno: mai omogenea (sono sempre presenti differenze di classi, generi, età, ruoli, ecc.). Nelle culture ci sono sempre dei dislivelli interni tra modelli dominanti e modelli marginali; in Italia negli anni '40, '50 e '60 c'è stata un'importante tradizione di storia delle tradizioni popolari, che ha iniziato il suo percorso interessandosi al Sud e che ha riflettuto molto sui concetti di:
    • Dislivelli di cultura (Cirese): rapporto tra la cultura

dominante (colta) e quella marginale(popolare); storia delle tradizioni popolari

Culture egemoniche/subalterne (Gramsci) o Spesso il modello è quella del dominatore

Modelli marginali? Dalla "devianza" alla "resistenza"

Sguardo critico sui modelli culturali

Come gestire la diversità tra i vari modelli?

L'antropologia propone uno sguardo critico, che permetta di diventare consapevoli del proprio e degli altri modelli e di comprendere il senso (esplicito e implicito) e la logica delle cose, anche dal punto di vista degli "altri".

Dovremmo essere in grado di assumere una visione plurale: ampliare la propria visione per diventare consapevoli delle diverse modalità di interpretare il mondo secondo i contesti e i periodi storici. È necessario dunque superare la tendenza naturale di pensare in termini gerarchici (ritenere la nostra cultura occidentale come LA cultura, la migliore).

È necessario il superamento

dell'etnocentrismo: l'atteggiamento intrinseco per cui le forme, i contenuti, i valori della propria cultura sono assunti come parametro per valutare le forme, i contenuti e i valori delle culture degli altri. È molto diffuso perché a etno potremo sostituire qualsiasi altra parola (es. medico-centrismo: pensiero per cui la medicina occidentale sia la migliore e di conseguenza universalmente valida): è l'x-cetrismo, atteggiamento per cui le forme, i contenuti, i valori, i paradigmi della medicina, religione, modo di vivere, di sposarsi, di fare un mestiere, ecc. sono assunti come parametro per valutare le forme, i contenuti e i valori degli altri. È un atteggiamento fuorviante (non ci permette di comprendere) e inutile (non permette il dialogo).

Sorge così il problema dell'impossibilità di "spogliarsi" delle proprie categorie. Alcuni antropologi hanno allora rivisto il concetto di "etnocentrismo" offrendoci

degli strumenti in più, in particolare l’idea che anche l’etnocentrismo possa essere critico: dovremmo quindi, pur essendo consapevoli di non poter rinunciare al proprio sistema di valori (e probabilmente non volendo nemmeno rinunciarci), essere allo stesso tempo capaci di metterlo da parte per poter comprendere altri valori e sistemi (Ernesto de Martino). E come? Sempre attraverso la consapevolezza: nel momento in cui si diventa consapevoli di altre possibilità di fare le cose, cambia la propria visione del mondo.

L’Antropologia offre uno sguardo differente, che permetta di inserire la nostra visione delle cose in un continuum di possibilità, in cui le culture (e le “culture mediche, religiose” ecc.) non sono “buone o cattive”, non sono “vere o false”, non sono “civilizzate o incivili, moderne o tradizionali”, e nessuna di esse è al vertice di una scala ma ognuna di esse è una possibilità.

una scelta. Le culture sono diverse. Per questa ragione la visione delle culture adottata dall'Antropologia non è una scala, bensì un cerchio, di cui tutti noi facciamo parte e all'interno del quale "gli Altri sono ciò che Noi non siamo": Noi e la nostra cultura siamo un segmento del cerchio.

Hulf Hannerz scrive, in La diversità culturale (2001), che le culture sono "serbatoi di conoscenza sedimentata sui diversi modi di fare le cose": visione relativista delle culture (nessuna è assoluta, tutte dipendono da un contesto, da un periodo storico...).

Relativismo culturale:

  • Atteggiamento che consiste nel ritenere che comportamenti e valori, per poter essere compresi, debbano essere considerati all'interno del contesto complessivo entro cui prendono vita
  • Relativizzare non significa giustificare a-criticamente tutto ciò che accade all'interno di una cultura
  • Sforzo intellettuale di

Riconoscimento della legittimità dell'Altro: non delegittimare un'intercultura per via di una pratica all'interno di essa ritenuta da Noi sbagliata.

Comprensione accogliendo il significato attribuito dall'Altro.

Esempio: velo donne musulmane. Esistono diversi tipi di velo:

  • Descrizione (punto di vista etico)
    • Dal foulard (hijab) al burqa
  • Comprensione (punto di vista emico)
    • Che valori esprime?
    • Che significati per le donne e per gli uomini?
    • Riconoscere la complessità; oltre gli stereotipi
    • Donne diverse/usi diversi
    • Ha anche connotazioni "positive" secondo le donne che lo indossano?

Andare oltre i "luoghi comuni" / No a visione etnocentrica.

No a visione "omogenea" della cultura. Che succede se una "pratica" culturale/tradizionale lede i diritti umani?

Non intendere la cultura come un "tutto omogeneo" permette di non mettere in discussione "la cultura" di un popolo.

è necessario analizzare la singola pratica per poter andare oltre lo stereotipo, oltre il pregiudizio e oltre l'etnocentrismo.
  • Ciò porta all'acquisizione della capacità di de-naturalizzare le nostre categorie: lavorare criticamente sulle proprie categorie e "toglierle dalla natura" (non mangiamo in un certo modo perché abbiamo sempre mangiato così o perché è giusto, ma perché siamo nati in un determinato contesto) e rendersi conto che sono in gran parte prodotto della cultura. Ciò prevede consapevolezza dei meccanismi di reificazione (processo in cui proietto in uno stato di "non cambiamento" qualche cosa; un'idea assolutistica di qualcosa; es. idea del bene e del male) e disacralizzazione (attribuire un significato "in più" a un qualcosa, che diventa sacro).
  • Ogni categoria/valore/pratica/costume è il risultato di un processo storico-dinamico che

vacompreso dentro quel contesto sospendendo il giudizio.

Dettagli
A.A. 2021-2022
38 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-DEA/01 Discipline demoetnoantropologiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher giadadadasalvador di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Antropologia culturale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Udine o del prof Quattrocchi Patrizia.