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Per appartenere a un’identità inclusiva, devo rispettare tutti i vincoli che mi

legano a essa, per esempio una religione, o posso, mantenendo la mia

appartenenza, fare violenza a ciò che è più grande di me? Per negare una parte

della mia identità devo comunque appartenere a un’identità. L’identità delle

comunità o è chiusa in se stessa, il che impedirebbe a priori qualunque confronto

e possibilità di comprensione degli altri, oppure tende a diluirsi in un insieme

confuso dove nessuno sarà in grado di riconoscere le singolarità o particolarità

specifiche di ciascuno. L’identità dal punto di vista antropologico contiene tutti

gli elementi del fissismo, dell’immobilismo, del patrimonio delle tradizioni e, al

tempo stesso, del dinamismo, dell’apertura e dell’alterità.

Benveniste pone, in qualità di linguista, il problema del “noi” come pronome

personale. Nel linguaggio antropologico il “noi” diviene il problema di sapere che

cosa si debba intendere con la categoria di identità collettiva, sia essa designata

a partire dal sé o dall’esterno, ovvero dagli altri. E’ necessario partire dall’io per

arrivare al “noi”? Non ci sono altri modi possibili per porre immediatamente la

realtà del “noi”? Infatti, se il punto di partenza è la prima persona, l’identità

collettiva non è distorta dalla falsa soluzione dell’addizione o dell’aggregazione

degli “io” che non saranno mai sufficientemente identici da formare un’entità

omogenea e uniforme? In altre parole, possiamo pensare al “noi” solo in termini

di pluralizzazione? Se vogliamo tradurlo nel linguaggio antropologico, dire “tutti

noi” non coincide con l’identità di ciascun individuo preso separatamente. Il “noi”

è di natura diversa: non è un risultato, né una somma, né una pluralità, ma una

realtà immediata e inconfutabile. Noi è un congiungimento tra l’io e il “non io”.

In questa nuova prospettiva, il “noi” non è la ripresa dell’io a un altro livello, né la

sua traduzione in termini collettivi o plurali, ma un mondo nuovo che Benveniste

chiama “una totalità nuova dove i componenti non si equivalgono”. L’io è molto

presente quando diciamo “noi” o quando affermiamo “noi” e inoltre questa

presenza non è solo un velo effimero o un motivo di responsabilità o di fattibilità.

Questa presenza, e non il solo “io”, è “costitutiva”, scrive Bernveniste, nel senso

che costruisce il “noi”. Perciò, questo “noi” non è una semplice quantità in grado

di riassumere gli elementi che lo costituiscono, ma li trascende. Questa nuova

totalità non è più una somma, ma una qualità che non si può contare, o meglio,

che non si può esaurire in un certo numero di “io”. La prova è che “noi” può voler

dire sia “me+voi” sia “me+loro” e queste sono due equazioni disuguali. In una

logica antropologica delle identità collettive, ricordiamo che “me+voi” può

designare una coppia oppure una realtà dai confini impermeabili, mentre

“me+loro” può designare un’entità non chiusa e, in un certo senso, aperta

all’infinito. Benveniste definisce questo dilemma in termini di forme inclusive

ed esclusive del “noi”. Gli antropologi non possono comportarsi come se questa

identità del “noi” dovesse sparire con la scusa che, grammaticalmente ed

epistemologicamente, non denota alcunché. Se i soggetti la rivendicano, è in

virtù dei loro reali bisogni o desideri di riconoscimento. E’ questa realtà della

denotazione del “noi” che deve essere esaminata e non negata. Dietro questo

“noi” si può nascondere un vincolo fondamentale, o questo substrato non è che

una pura fantasia usata a fini demagogici e opportunistici? Perché, nonostante le

contraddizioni e le aporie, i soggetti continuano a credere in questo “noi”?

Come si fa a salvare il “noi”? Ed è utile salvarlo? Si tratta piuttosto di pensarlo,

per quanto paradossale possa sembrare, come un’esteriorità definita solo dai

suoi margini, dai suoi lati o dall’esterno. Il “noi” ha una realtà solo relazionale

nella misura in cui il rapporto tra il “noi” e gli “io”, tra il “noi” e i “loro”, tra il “noi”

e i “voi”, tra il “noi” egli altri, prevalga sull’essere stesso di questo “noi”. In altre

parole, di per sé, il “noi” non esiste. Questa, in un certo senso, è la proposta che

Fabietti avanza nei suoi lavori sull’identità etnica: invece di rinchiudere, essa

indica sia l’imitazione sia il rapporto aperto: “La mimesi, che a fini di comodo

definiremo qui come una ripresa di forme culturali “altre” da parte dei soggetti di

una determinata cultura, costituisce effettivamente un meccanismo inerente al

processo di traffico culturale e risulta essere un elemento essenziale della

costruzione dell’identità collettiva”. La dialettica a cui Fabietti sottopone il “noi” è

illuminante poiché mostra come l’identità collettiva si fabbrichi recuperando,

tramite l’imitazione, ciò che gli altri fanno e dicono, trasformandone però il

contenuto e la forma. Indubbiamente, bisogna riconoscere che i “noi” stanno

vivendo una crisi senza precedenti, in seguito agli sconvolgimenti dovuti alle

fluttuazioni dell’appartenenza e dell’adesione, propri della postmodernità, epoca

in cui le origini, le radici e i semi dell’identità sembrano vacillare. Le identità non

appaiono però meno necessarie, ma anzi risultano arricchite da queste crisi di

riconoscimento. Fabietti sottolinea giustamente che, se è così difficile

determinare il preciso significato dell’identità del “noi” collettivo, è a causa della

natura fittizia e costruita dei modelli identitari.

CAPITOLO 3 La dialettica identità alterità come sfida epistemologica

Fabietti concepisce l’identità etnica come realtà generata dalla condivisione di

simboli, simboli vissuti come forme di autorappresentazione. Concepire la cultura

dinamicamente e processualmente come realtà simbolica e

rappresentazionale, anziché come insieme di tratti che la definiscono in quanto

insieme chiuso, come era nella tradizionale definizione di Edward B. Tylor è

vedere la cultura come configurazione di mondi simbolici. Fabietti parla dell’etnia

e dei fenomeni di rivendicazione dell’identità come di costrutti storici e culturali

che, attraverso dinamiche pratico-simboliche, danno forma non a una pura

“proiezione fantasmatica”, ma a una vera e propria realtà simbolica e

comportamentale condivisa, che ha quasi sempre “radici in rapporti di forza tra

gruppi coagulati attorno a interessi specifici”. L’identità etnica dunque non come

uno status dato, ma come un processo di differenziazione radicato in rapporti

di forza tra gruppi, in vista di interessi particolari e dell’accesso a risorse. Gli

studi di Ugo Fabietti hanno dato un contributo fondamentale alla decostruzione

degli “etnicismi”: hanno mostrato che le numerose versioni della nozione di etnia

non sono riconducibili a dati naturali e a proprietà empiriche osservabili, ma sono

figure dell’umanità alla cui costruzione hanno concorso a un tempo

rappresentazioni tipologiche degli etnologi a autorappresentazioni simboliche dei

popoli. L’indagine di Fabietti vuole arrivare a comprendere i livelli di costruzione

dell’ethnos come realtà pratico-simbolica che dà coesione a gruppi e a popoli,

ma che è continuamente sottoposta a processi di entificazione che finiscono per

nascondere la natura di costrutto simbolico. Mira in questo modo a

denaturalizzare gli ethne, cioè a decostruire i processi che danno luogo alla

trasformazione di costrutti simbolici e storico-culturali in realtà sostanziali

separate e chiuse, e perciò da classificare. Di questi processi di etnicizzazione,

egli ricostruisce la fisionomia estremamente varia e molteplice, fino agli esiti

tragici legati alla proiezione su quelle culture da parte di amministratori

occidentali dei falsi miti della purezza e delle radici identitarie, al fine di imporre,

plasmando la memoria etnica dei gruppi, un riassetto politico-sociale.

Un processo di sostanzializzazione dei tipi etnici può essere esercitato poggiando

non solo su pretesi dati biologici, come nel razzismo classico, ma anche su tratti

culturali, attraverso la selezione spesso problematica o anche arbitraria dei tratti

distintivi che agiscono nei processi di autorappresentazione etnocentrica di

gruppi e di popoli. Fabietti fa un’analisi approfondita di procedimenti di

attribuzione categoriale che si basano su elementi in ultima analisi culturali.

Sono procedure astraenti che attribuiscono identità ai gruppi producendo

classificazioni sulla base non di somiglianze e differenze oggettive osservabili,

del resto non rilevabili, ma di “convergenze e divergenze che l’intenzione

dell’osservatore è in grado di cogliere”. Qualificazioni etniche come “balinese”,

“ebreo”, “marocchino”, “beduino” si producono sulla base di costruzioni

rappresentazionali che selezionano tratti distintivi di tipo culturale o fisico che si

pretendono costanti, ma che possono essere legati a stereotipi “di carattere

morale, politico e ideologico” e all’orientamento classificatorio che Rodney

Needham, a cui Fabietti fa riferimento, definiva “monotetico”, l’orientamento che

porta a individuare proprietà che si pretende rendano identici gli oggetti di una

classe. La lingua in comune è il tratto culturale su cui in etnologia si basa spesso

l’ascrizione a una stessa etnia.

Il tema del concetto contrastivo di identità etnica è sviluppato da Ugo Fabietti

attraverso la nozione di frontiera. Questo concetto ha il vantaggio di far capire

le dinamiche contrastive situandole nel terreno dei rapporti tra gruppi. La

frontiera è un concetto a base metaforica di grande potenzialità critica, se si

pone attenzione a come le relazioni di frontiera possano essere teatro di una

Dettagli
Publisher
A.A. 2021-2022
16 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-DEA/01 Discipline demoetnoantropologiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Davidoski00 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Antropologia culturale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Palermo o del prof Mannia Sebastiano.