vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
L’evoluzione normativa che si è verificata relativamente al procedimento amministrativo
quindi, non solo ha permesso alla dottrina di formulare una definizione di interesse legittimo
(di cui sopra), bensì le ha concesso di formulare dei criteri ben precisi di riparto della
giurisdizione fra i due giudici, che estendono di gran lunga la competenza riservata alla
giurisdizione amministrativa.
Le due teorie ad oggi maggiormente riconosciute sono, infatti, quelle della causa petendi e
della competenza per materia: la prima impone di effettuare una distinzione tra carenza di
potere in astratto o in concreto. Per cui se la P.A. non è legittimata a porre in essere quell’atto
si è in presenza di una posizione giuridica di diritto soggettivo; altrimenti, se il potere di agire
le è stato correttamente conferito ma la stessa lo ha malamente esercitato, si configurerà in
capo al privato una posizione giuridica di interesse legittimo.
La seconda è stata introdotta dal legislatore con l’adozione del nuovo codice del processo
amministrativo (d.lgs. 104/2010) dove all’art. 133 gli attribuisce giurisdizione esclusiva nelle
controversie concernenti fattispecie regolate dalla L. 241/90, quelle riguardanti concessioni di
beni – servizi pubblici – urbanistica ed edilizia, ancora concernenti i contratti stipulati dalla
P.A., le controversie con le Autorità Pubbliche Indipendenti e le controversie in tema di
espropriazione e poteri ablatori.
Nonostante la chiarezza linguistica e semantica con cui sono stati definiti questi criteri,
accreditati anche da copiosa giurisprudenza, sembrerebbero non essere ancora in grado di
sciogliere il nodo su quale giudice ritenere competente quando oggetto del contendere siano i
cosiddetti diritti indegradabili.
Questa definizione risale a una sentenza della Suprema Corte in un periodo in cui al giudice
amministrativo non erano ancora stati concessi gli strumenti che oggi possiede per tutelare le
situazioni giuridiche soggettive di interesse legittimo. Il privato non aveva la possibilità di
instaurare un dialogo con la P.A. e la maggior parte delle volte la sua pretesa era destinata a
soccombere nel confronto con l’interesse generale, non avendo l’amministrazione la
possibilità di comprendere realmente la portata dell’interesse individuale.
Nelle controversie riguardanti diritti fondamentali, come il diritto alla salute o il rispetto del
principio di uguaglianza, intaccati da provvedimenti amministrativi, la Corte di Cassazione
individuava come giudice competente a conoscere dei fatti il giudice ordinario. La P.A. non
poteva in alcun modo affievolirli, neanche per motivi di interesse generale.
Si diffuse in dottrina e giurisprudenza la definizione di situazioni soggettive a nucleo rigido
che avevano per oggetto situazioni giuridiche costituzionalmente tutelate oppure diritti
inerenti a valori considerati primari per la persona.
Con particolare riguardo al diritto alla salute, poi, in passato sono state formulate addirittura
tre differenti tesi: per la prima, in caso di controversia, la competenza sarebbe in ogni caso del
giudice ordinario. Per la seconda, si doveva distinguere tra posizione pretensiva od oppositiva
del singolo: nel secondo caso la competenza era in capo al G.O. mentre nel primo in capo al
G.A., riconosciuta l’importanza che quest’ultimo agisse anche nell’ottica di un contenimento
delle spese finanziarie a carico del sistema sanitario nazionale. La terza tesi, infine,
riconosceva una competenza in capo al giudice ordinario anche in presenza di una posizione
pretensiva contraddistinta dalla gravità, ad esempio quando il privato si trovava in una
situazione di dolore o di rischio di morte.