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SECONDO CAPITOLO
Artificial Intelligence e robot
31
1. Intelligenza artificiale , definizione e storia
Con il termine IA si indica l’abilità di un sistema tecnico di
risolvere problemi o svolgere dei compiti che tipicamente
appartengono all’essere umano. Si tratta di una vera e propria
disciplina il cui oggetto è l’insieme delle teorie e delle tecniche
31 Da ora in poi si utilizzerà l’acronimo IA per indicare Intelligenza
Artificiale. 30
necessarie per la programmazione di algoritmi in grado di
portare una macchina a pensare e ad agire in modo intelligente.
Affinché un sistema IA possa considerarsi efficiente deve
possedere contemporaneamente le seguenti caratteristiche:
- pensare umanamente: per fare ciò è necessario per il
programmatore sapere in primis i meccanismi alla base del
funzionamento del cervello umano. Questa branca della scienza
prende il nome di scienza cognitiva che si occupa di
programmare il software in base alle varie teorie riguardanti il
funzionamento della nostra mente;
- agire umanamente: una macchina agisce umanamente nel
momento in cui il suo interlocutore umano non è in grado di
identificarla come una macchina. Affinchè questo possa
avvenire la macchina in questione deve possedere una serie di
capacità: deve essere in grado di tradurre ed utilizzare il
linguaggio umano, deve possedere un software che gli permetta
di visualizzare e memorizzare quanto le viene richiesto, deve
essere in grado di sfruttare la conoscenza memorizzata per
pensare autonomamente ed infine deve sapersi adattare alle
nuove circostanze che potrebbero concretizzarsi;
- pensare razionalmente: questa attività sfrutta il pensiero logico
per cui a premesse vere corrispondono sempre conclusioni vere.
In linea di principio questa soluzione sembrerebbe vincente per
la realizzazione di sistemi IA efficienti, purtroppo però risulta
essere difficile riuscire a formalizzare (quindi ridurre a una
premessa) qualsiasi tipo di conoscenza che normalmente si
presenta come non formalizzata;
- agire razionalmente: questa capacità si fonda sull’assunto che
il comportamento umano si adatta sempre in conseguenza
31
dell’ambiente in cui si trova ad agire e consiste in una somma di
tutto ciò che lo stesso conosce. Per un essere umano agire
razionalmente significa prendere una scelta in modo da ottenere
il miglior risultato: grazie agli studi portati avanti nel campo
della matematica, gli esperti sono riusciti a trovare una formula
32
della razionalità che ha permesso quindi la realizzazione di
macchine in grado di simulare il processo umano al momento di
33
prendere una decisione.
Il termine intelligenza artificiale è stato utilizzato per la prima
volta nel 1956 durante un seminario presso il Darmouth College
(USA) all’interno di un documento informale (la Proposta di
Darmouth) di 17 pagine redatto e sottoscritto da parte di 4
ingegneri informatici, punti di riferimento nel panorama
scientifico di quel periodo: John McCarthy, Marvin Minsky,
Nathaniel Rochester e Claude Shannon.
Ben prima di questa data, tuttavia, erano stati già compiuti degli
studi che in modo primordiale si avvicinavano grandemente al
concetto sviluppato poi successivamente di artificial
intelligence. Il neurofisiologo Warren Sturgis McCulloch e il
matematico Walter Pitts, nel 1943, avevano pubblicato un libro
“A
intitolato logical calculus of the ideas immanent in nervous
activity”, in cui esponevano la loro teoria: applicare il processo
utilizzato dai nostri neuroni per scambiare fra di loro le
informazioni (impulsi elettrici) alle macchine in modo da
32 La formula della razionalità consiste nel far corrispondere a una
determinata premessa una rispettiva conclusione mediante un ragionamento
(chiamato inferenza logica) fondato sull’esperienza e sulla conoscenza propri
dell’agente al momento della sua decisione.
33 Philip Nicholas, Artificial intelligence: How does it work, why does it
matter, and what can we do about it?, 28-06-2020, europarl.europa.eu.
32
ottenere un software in grado di pensare e agire umanamente e
secondo ragione.
Questi studi portarono alla realizzazione delle reti neurali: più
unità che (similmente ai nostri neuroni) formavano degli strati
poi messi in comunicazione tra di loro attraverso una
connessione artificiale. Il primo strato di unità aveva il compito
di ricevere l’input e di inviarlo al successivo e così via, fino a
raggiungere l’ultimo strato che, a sua volta, doveva trasmettere
l’output all’insieme di unità successive.
Il limite principale di una simile tecnologia è l’incapacità dei
neuroni artificiali di elaborare nuovi dati utilizzando quelli già
inseriti a monte da parte del creatore del sistema.
Il loro utilizzo infatti è limitato a quei modelli analitici che non
sono in grado di affrontare problemi ma che si basano su una
semplice trasmissione di dati che il sistema dirà se sono errati o
corretti. Si pensi ad esempio ai software OCR, quei sistemi ottici
di riconoscimento dei caratteri: gli input che si danno alla rete
sono una serie di immagini, alcune “corrette” e altre no, scelte di
volta in volta tenuto conto di quello che è l’obiettivo da
raggiungere.
Le ricerche in quest’ambito subiscono infatti una battuta
d’arresto intorno gli anni ’60 del XX secolo, quando si realizzò
che per ottenere dei risultati più complessi era necessario
concentrarsi su altri tipi di tecnologie.
Parallelamente agli studi sulle reti neurali, si era sviluppata
un’altra corrente di pensiero che realizzava software capaci di
ragionare mediante l’applicazione di formule e principi
matematici. I padri di questo nuovo filone scientifico furono
proprio Simon e Newell, già menzionati poc’anzi con
33
riferimento alla Proposta di Darmouth, i quali realizzarono il
programma Logic Theorist.
Il software venne poi inserito all’interno di un computer che
riuscì a dimostrare meglio di quanto non fu in grado di fare lo
stesso Russell ben 38 dei 52 teoremi contenuti nel Principia
Mathematica.
Pochi anni dopo svilupparono un altro programma, chiamato
GPS (General Problem Solver), il quale riusciva a trovare una
soluzione per ogni problema che gli veniva prospettato, tenuto
conto del fine che si voleva raggiungere.
Tuttavia anche gli studi in questo settore non hanno portato a
risultati entusiasmanti poiché, se è vero che il software è sempre
in grado di trovare una soluzione, non è detto che questa sia la
34
migliore a cui sarebbe potuto pervenire.
1.1. Teoria della conoscenza e agente intelligente
Nel 1958 John McCarthy pubblicò l’articolo Programs with
35
common sense in cui spiegò come fosse necessario impostare il
programma in modo che il suo funzionamento dipendesse da
degli assiomi (proposizioni il cui contenuto è considerato
corretto a priori) i quali avrebbero dovuto riprogrammarlo a
seconda della nuova esperienza che si sarebbe trovato a
fronteggiare. In questo modo il sistema era in grado di rendersi
34 sas.com, Artificial Intelligence and Machine Learning.
35 Il Programs with Common sense è stato presentato per la prima volta
nel Dicembre del 1958 presso la Conferenza di Teddington ed è stato il
primo articolo in cui si è parlato dell’utilizzo della logica come metodo per
riuscire a collezionare le informazioni all’interno della memoria di un
computer. 34
autonomo rispetto al suo creatore, poiché consapevole di saper
fronteggiare le nuove sfide che gli si sarebbero presentate.
Degno di nota è stato la realizzazione di un software nel 1976 da
parte di Ed Feigenbaum (informatico statunitense), Bruce
Buchanan (informatico statunitense) e il medico Edward
Shortliffe. L’input fornito alla macchina consisteva in una serie
di informazioni mediche raccolte dai manuali e dalle parole
degli esperti: si scoprì che il programma riusciva a individuare
la malattia a una velocità incredibile, riducendo enormemente
l’errore che un essere umano era solito compiere. Questo perché
gli ideatori riuscirono a realizzare un metodo di calcolo
dell’incertezza insegnando alla macchina dei fattori di certezza,
cioè le informazioni di cui un medico dispone in seguito a
un’accurata anamnesi del paziente.
Un sistema realizzato mediante l’applicazione della teoria della
conoscenza riesce quindi a collezionare informazioni dalla sua
interazione con il mondo esterno per poi processarle e imparare
da queste come poter meglio interagire nello stesso ambiente in
un secondo momento.
Gli studi e le ricerche che si sono sviluppate in questo settore
hanno portato alla creazione dell’agente intelligente, una nuova
tecnologia di cui inizia a parlarsi a partire dagli anni ’60 del XX
secolo.
Quando si parla di agente intelligente ci si riferisce a una
qualsiasi entità che è in grado di interagire con un ambiente
esterno mediante la sua percezione e di agire al suo interno
prendendo decisioni in autonomia e con razionalità.
Il primo obiettivo è realizzato mediante la creazione di una parte
hardware, una vera e propria componente fisica non
35
modificabile che il più delle volte si presenta sottoforma di
alimentatori, unità di memoria, circuiti, ma che nel caso dei
robot riproduce in modo approssimativo le sembianze umane,
abbandonando quindi la classica forma del computer cui siamo
maggiormente abituati.
Il secondo obiettivo è invece ottenuto attraverso il software, cioè
l’insieme di procedure e di istruzioni che caratterizzano il
sistema. Si tratta di una componente formata principalmente da
algoritmi il cui compito è di contenere un insieme di dati per poi
elaborarli a seconda del fine che di volta in volta si intende
36
raggiungere.
Esistono varie tipologie di agenti razionali e di seguito si
37
indicheranno le caratteristiche principali di ciascuna :
- agente reattivo semplice: il software è programmato in modo
da percepire un solo stimolo esterno quindi l’hardware inizierà
ad interagire con l’ambiente in cui è inserito se e solo se dovesse
individuarlo. Un esempio di sistema reattivo semplice è
l’aspirapolvere automatico: lo stimolo con cui viene
programmato l’agente è riconoscere se l’ambiente è sporco o
meno e, a seconda dei casi, questo reagirà spostandosi o a destra
o a sinistra seguendo il seguente schema “se destra è sporco →
pulisci, poi &ra