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LIBRO V:

E’ richiesta un’analisi più accurata della forma di vita comunitaria e dell’ingiustizia si parlerà nel libro VIII e

IX e ci si allontana dalla somiglianza con Sparta. La città deve essere come un singolo organismo. Esso è

una lunga digressione, questa analisi viene dilazionata fino al libro VIII. Egli intende chiarire la forma di vita

comunitaria prevista per la nuova polis e individuare le condizioni che possano consentire la realizzazione

del “sogno di fondazione”. Esso costituisce l’apice dell’intero dialogo, forse anche per la sua centralità

compositiva. Anche successivamente negli altri libri come nel Timeo si presenta la Repubblica con

un’immagine centrata sul libro V. Il primo è di ambito specificamente etico-politico, qui vengono discusse le

condizioni di possibilità della sua instaurazione il secondo blocco è di ambito epistemologico-ontologico

destinato a chiarire la natura del sapere filosofico. Nel modello del libro IV il fine della giustizia

comportava la concezione della città come struttura gerarchicamente articolata in una pluralità di gruppi

funzionali. Il libro V si focalizza intorno al fine primario dell’unità della città individuandola nella

concordia e nella pace dei gruppi dirigenti. La mossa decisiva in questa direzione è costituita

dall’abolizione dell’oikos. La parità di funzione tra i due sessi costituisce l’aspetto più innovativo della

grande utopia platonica. Non mancano segnali testuali che alludono a una prospettiva di universalizzazione

del collettivismo dei gruppi dirigenti come si vede nel libro VII e nel libro IX. Nelle Leggi egli sostiene che

la vita collettivistica doveva essere estesa all’intera città. Il comunismo platonico è eminentemente politico-

morale e non economico e la sua forma naturale di universalizzazione consiste nel porre la funzione di

governo al servizio dell'intera comunità. la libera comunità dei fratelli e degli uguali si distacca per la

radicalità della sua concezione dai tratti filo-spartani e militaristici del II-IV libro segnando rispetto ai libri

precedenti un innalzamento del livello teorico nella progettualità pragmatica di Platone. La nuova comunità

deve essere prossima alla condizione di un solo uomo (polis-soma). Cambierà l'uso del linguaggio parentale

e degli aggettivi e pronomi possessivi. Viene poi soppressa la privatezza dei sentimenti. Vi è poi un

mutamento nel linguaggio del potere, chiamando il gruppo dirigente "salvatori e guardie". Forse il modello

di riferimento sono gli homoioi lacedemoni o ai progetti di Ippodamo e Falea interessati ad un

livellamento degli squilibri sociali ed economici o forse riferimento pitagorico. La grande utopia

progettuale disponeva di dati visibili nella cultura ateniese del V e IV secolo come la commedia attica di

Aristofane come le ECCLESIAZUSE ma non si pensa che essa avesse in mente una proto-Repubblica.

L'immaginazione comica ha quindi preceduto quella filosofica imprimendo una traccia profonda nello stile

ancor più che nei contenuti. Una secolare tradizione che va dalla Politica di Aristotele al IV libro delle Leggi

riconosce nell'utopia della Repubblica il carattere dell'irrealizzabilità storica. Più recente il rifiuto di

ammettere che Platone avesse seriamente considerato desiderabili i tratti centrali del suo disegno utopico.

Questa difesa di Platone da parte di Gadamer è dovuta all'aggressione rivoltagli da Karl Popper. Da qui lo

sforzo di depoliticizzare la Repubblica con Leo Strauss (ironia autoconfutatoria). Il discorso platonico

istituisce un vincolo tra desiderabilità e praticabilità. Glaucone poi teme che le digressioni di Socrate gli

facciano dimenticare il discorso più importante ovvero come rendere realizzabile tutto ciò. L'evidenza

testuale sembra escludere che Platone intendesse mettere in dubbio l'auspicabilità delle sue proposte.

L'utopia è usata come strumento di critica dell'esistente. Il problema del senso e dei limiti di questa

possibilità è tematizzato nei libri V e VI. La possibilità dell'esecuzione pratica del modello deve essere

considerata come il massimo di approssimazione consentita da quei vincoli. Sembra chiaro che l'analisi che

l'utopia del V libro ha per Platone un carattere marcatamente progettuale, essendo così il paradigma un

modello normativo. L'utopia inoltre non rispetta i vincoli della temporalità politica. Nelle Leggi abbiamo

un'attenuazione dei toni utopistici riguardo alla comunione dei beni e delle proprietà. C'è dunque una lacuna

nella Repubblica circa i limiti della praticabilità dell'utopia considerata teoricamente inevitabile. quindi le

Leggi andrebbero considerate una revisione del paradigma stesso in modo da renderlo praticabile almeno a

livello di "terza città". Ai fini della radicale "purificazione" della situazione di fatto esistente i nuovi

governanti manderanno nei campi tutti gli abitanti della polis di età superiore ai dieci anni e ne

educheranno i figli non intendendo fare ciò che era già stato storicamente concepito dal radicalismo

oligarchico di Crizia con il fine invece di rieducare i giovani ancora plasmabili e non definitivamente

condizionati dalla forma di vita del vecchio regime. La riforma è possibile perché conforme a natura.

L'utopia risulta dunque possibile perché conforme alla natura e alla logica dell'argomento Platone è

categorico nel pensare che i filosofi debbano assumere il potere regale nelle città ma: di quali filosofi si

tratta? E come è possibile il loro avvento al potere? Secondo alcuni questo disegno è un’utopia perché troppo

lontano dalla realtà storica, per altri è una provocazione intellettuale. La desiderabilità del disegno della

kallipolis è al di là di ogni dubbio ma più complessa è la sua praticabilità. La forma di vita collettivistica è

limitata solo al ceto di governo o vi deve essere un’estensione all’’intera comunità?

Quale è il rapporto tra i filosofi/re e i re/filosofi? perché la proposta dei re filosofi è destinata a suscitare

indignazione? A differenza degli archontes nel IV libro, frutto del processo formativo del gruppo dirigente

avviato dai fondatori della nuova città, i filosofi che nel V libro devono accedere al potere sono uomini della

città storica. Questo potere permetterà poi di avviare quel processo a seguito del quale la nuova città del libro

IV verrà costituita. I cittadini non confidano in loro perché hanno in mente la figura dei filodosso e non

dispongono del criterio o della norma che permettano di attribuire a un qualsiasi oggetto la valutazione di

bello, giusto… Sono preda della mutevolezza degli oggetti. I filosofi dispongono di una conoscenza oggettiva

e assoluta degli enti immutabili. Solo chi possiede un sapere normativo relativo alle questioni fondamentali

può aspirare al governo della comunità. Una prima delineazione degli archontes si ha nel III e IV libro, essi

sono il prodotto della rieducazione, il loro sapere è un sapere di governo. Un’altra descrizione dei filosofi-re

si ha nel VII libro. Gli archontes e i dialettici sono prodotti dalla nuova città mentre i filosofi che devono

assumere il potere in quella preesistente ne sono la condizione di possibilità, devono quindi essere formati

prima e indipendentemente da essa. Nei filosofi formatisi autonomamente egli rivede se stesso e

l’Accademia. Per risanare la crisi egli intende ammettere un’alleanza tra sapere e politica (politica siracusana

ed esperienze pitagoriche). La legittimazione del nuovo potere di giustizia richiedeva una scienza che si

presentasse come la descrizione vera e rigorosa di un livello immutabile dell’essere. Questo rapporto è

fondato sul triangolo etica-epistemologia-ontologia che è uno dei nuclei tematici della filosofia platonica.

Esso è la DIALETTICA. Prima essa era un procedimento argomentativo tipico di Socrate destinato alla

confutazione razionale delle opinioni comuni mediante la denuncia della loro contraddittorietà intrinseca così

da aprire una ricerca più radicale e rigorosa. Nei libri centrali della Repubblica egli opera una rielaborazione

della natura e dell’ambito del procedimento dialettico. Diventando costruttiva cioè intesa alla produzione di

un sapere positivo fondato sull’idea del Bene. Per raggiungere questa conoscenza non è sufficiente la

formazione prevalentemente ginnastica e musicale degli archontes dei libri II e III. Nel suo iter formativo il

futuro dialettico apprenderà l’aritmetica, la geometria piana, solida, astronomia ecc... Socrate non darà a

Glaucone la definizione della dialettica il cui compito è di giungere al “limite estremo del pensabile” dove è

collocata l’idea del Bene. (metafora del giovane che vive con i genitori adottivi senza saperlo). Le scienze

matematiche hanno uno scopo preparatorio: quello di condurre l’anima verso la comprensione puramente

intellettiva. Il processo corrisponde a ciò che nell’allegoria della caverna era stato designato come

conversione di tutta l’anima verso un altro ambito di oggetti, tali scienze sono tutte di carattere matematico

(aritmetica, geometria, musica, astronomia). Nel mito della caverna la dialettica si configura più come l’atto

del discutere che come una scienza noetica pura. Il mito della caverna sottolinea però esplicitamente la

natura metafisica della separazione tra idee e sensibili che gli uomini possono conoscere solo uscendo

dalla loro dimensione terrena. Il tutto trova corrispondenza con un passo del Fedro in cui si afferma che tutti

gli uomini hanno avuto la possibilità di contemplare le idee prima della nascita e i filosofi ricordano in modo

più vero. I filosofi si differenziano dai filodossi ovvero coloro che amano le opinioni., il che contiene una

sfumatura d debolezza che la divide dalla scienza. Il filosofo inoltre non è chi ha un sapere infallibile ma chi

si sforza di migliorare le proprie opinioni mediante i ragionamenti. Nel mito della caverna compare l’idea del

bene. Solo chi possiede il vero sapere può governare che a sua volta ha il compito di produrre una vita

buona. Socrate parla dell’idea del bene in modo vago e reticente cavandosi dall’impiccio con la metafora del

sole. L’idea del bene è considerata alla stregua delle altre e sarebbe dunque l’unità di varie idee. Non

l’avrebbe dovuta chiamare idea dell’idea o UNO? Non è da escludere perché una cosa più è una e semplice e

più alto è il suo valore. In ambito ontol

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A.A. 2016-2017
20 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/07 Storia della filosofia antica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher martas.95 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della filosofia antica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Scuola Normale Superiore di Pisa o del prof Spinelli Emidio.