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Vediamo dove Boccaccio nomina esplicitamente Dante

Il titolo dell'opera significa "sventure occorse a uomini illustri": è un'opera erudita in 9 libri che ha avuto una fortuna enorme (sebbene il Decameron abbia avuto larga fortuna per l'ultima parte del '300 e tutto il '400-'500 ma per molto tempo le opere di Boccaccio con maggior fortuna furono le opere erudite poiché erano opere enciclopediche fatte utilizzando i nuovi testi della classicità che grazie a Boccaccio e Petrarca venivano recuperati e quindi per tutto l'umanesimo sono stati repertori molto copiati, ad es. del De casibus abbiamo 104 manoscritti). È opera a cui Boccaccio lavora per molti anni e ne abbiamo due redazioni, una degli anni 1357-1360 con aggiunte fino al 1370, e poi nel 1373 pochi anni prima di morire la riprende in mano e la ritocca fino al 1374, quindi l'ultima redazione è contemporanea alla lettura di Dante e alla stesura.

Delle Esposizioni. In relazione al moralismo che caratterizza Boccaccio nell'ultima parte della sua vita quest'opera è una raccolta di esempi, con una debolissima cornice dove Boccaccio immagina che gli compaiano in sogno alcune anime che si mettono a narrare la loro storia sventurata, che letta in funzione erudita ha per Boccaccio un alto valore esemplare, morale, edificante, formativo. All'interno di queste medaglioni a un certo punto compare Dante come una anomalia nel tessuto dell'opera. Siamo nel nono libro capitolo 23° Queruli plures cioè "Molti che si lamentano". Inizia la rassegna dei "perseguitati":

  • Filippo re di Francia = Filippo il Bello che muore nel 1314 (le anime nominate sono di persone morte tra 1314-1315) in un bosco a caccia ucciso da un cinghiale, episodio di cui parla Dante in Paradiso XIX v.120 e ne parla anche Giovanni Villani nella Cronica nel IX libro.
  • Filippo il Bello ha avuto tre figli Luigi IX,
Filippo V e Carlo IV e nel 1314 tutte e tre le loro mogli sono accusate di adulterio e imprigionate. - Carlo, figlio del principe di Taranto, si rammaricava per non essere morto durante la guerra di Montecatini, in cui aveva combattuto in aiuto ai fiorentini (guerra che per i fiorentini aveva avuto grande valore e a cui probabilmente fa riferimento Dante in Purgatorio XXIII quando parla con Forese Donati dicendo delle sfacciate donne fiorentine "che se sapessero di quel che 'l ciel veloce loro ammanna già per urlare avrian le bocche aperte", quella guerra fu una disfatta tale per Firenze che Giovanni Villani racconta come dramma assoluto per la città). - Pietro, figlio di re Carlo lo Zoppo, morì nella battaglia di Montecatini nel 1315, ma il suo corpo non fu mai ritrovato e probabilmente è sprofondato nelle paludi di Fucecchio. - Finalmente arriva a parlare di Dante Alighieri, poeta insigne, che di fronte a coloro che si lamentano ha un volto in atteggiamento.

di sopportazione (è il ritratto che Boccaccio traccia di Dante nel Trattatello cioè un Dante capace di sopportare le ostilità senza piegarsi), “anticamansuetudine” per il fatto di essere uno che non cede al piagnisteo; “ingrata patria” perché Firenze è stata scellerata nei confronti del suo cittadino migliore; “aver chiuso l’ultimo giorno in paese altrui” cioè morto a Ravenna in terra straniera. Poi parla Dante che ci fa capire il perché lo troviamo qua in questa rassegna: Dante ha in odio la dappocaggine dei fiorentini, è fustigatore dei loro costumi e come anima santa dell’oltremondo può parlare di chi è venuto dopo di lui cioè di Gualtieri di Brienne duca d’Atene conosciuto per il suo tradimento nell’estate 1343 che diede ai fiorentini perpetua vergogna; Dante si riappropria della sua fiorentinità maledicendo il duca d’Atene. Nel 1343 i

fiorentini si ribellano a Gualtieri di Brienne, questo è il vero punto di rottura rispetto al governo dei guelfi bianchi dall'inizio del '300 ed è qui che il popolo minuti entrerà pesantemente nel governo del comune. "O quam mutatus ab illo" sono le parole con cui Enea nel II libro dell'Eneide dice rispetto ad Ettore che gli compare in sogno lacero stravolto e irriconoscibile coperto di polvere avvisandolo che la patria sta crollando. Dante non è un'anima afflitta e irromperompendo lo schema che Boccaccio segue nel De casibus come fustigatore di Gualtieri di Brienne. Nel capitoletto successivo del De casibus di Dante non si parlerà più ma è dedicato a Gualtieri di Brienne e alla sua condanna. Genealogia deorum gentilium (ed. V. Zaccaria 1998) è un'opera in 15 libri, un'enciclopedia del sapere antico: Boccaccio raccoglie tutto quello che sa e che riesce a trovare per stabilire i rapporti di.

discendenza e di parentela tra le antiche divinità e gli antichi eroi pagani in una sorta di enorme albero genealogico, e spesso non armonizza assieme versioni differenti ma le affianca. In questa raccolta eruditissima c'è spazio anche per Dante, perché ogni volta che Dante parla di qualcosa che Boccaccio ritrova nei libri antichi ecco che l'autorevolezza di Dante lo fa porre accanto a Virgilio e alle fonti più autorevoli dell'antichità. È un'opera in 15 libri ma in realtà le Genealogie per come sono state costruite occupano i primi 13 libri, ha avuto grande fortuna testimoniata da oltre 90 manoscritti e nel 1472 viene stampata subito: la sua fortuna è legata al 14° e 15° libro, perché - nel 14° Boccaccio parla della poesia, che cos'è la poesia, che rapporto c'è tra poesia e verità, tra poesia e teologia, chi sono i poeti e quali costumi hanno, che cosa vuol dire

Poetare; quindi dal punto di vista teorico viene letto e copiato moltissimo- il 15° è una sorta di autodifesa di Boccaccio che si sente sempre colpito e col bisogno di giustificarsi. Quando Boccaccio scrive quest’opera come è fatta? L’opera è dedicata a Ugo IV di Lusignano re di Cipro e di Gerusalemme (nei brani che leggeremo si rivolge a lui direttamente), iniziata intorno alla metà degli anni ’60 del ‘300 e poi la continua per molti anni. Il manoscritto Plut. 52 9 è manoscritto autografo di Boccaccio conservato alla biblioteca medicea laurenziana ed è interessante dal punto di vista filologico poiché Boccaccio inizia a lavorare all’opera negli anni ’60 del ‘300, poi nel 1370 se lo porta con se a Napoli e i suoi amici lo pressano per farselo prestare e leggere, lui lo presta raccomandandosi di non mandarlo in giro. Succede che a Napoli in quel momento c’è il grande copista Pietro Piccolo da

Monteforte che legge questo manoscritto applicando delle correzioni. Quello che noi vediamo è l'autografo di Boccaccio con annotazioni che corrispondono ai suggerimenti e correzioni proposte da Pietro Piccolo: qui ad es. a sinistra note di Boccaccio e sotto di Pietro Piccolo. Sappiamo che le cose sono andate così perché c'è lettera di Boccaccio dove parla di questo codice ed di Pietro Piccolo. Boccaccio era anche abile disegnatore e cerca di fare un albero genealogico delle parentele tra divinità ed eroi pagani. Qui è visibile alla carta 53 r una manicula di Pietro Piccolo che lui metteva come segno di attenzione in questo caso avendo notato una citazione del De civitate dei di Agostino laddove Boccaccio a margine aveva già annotato la fonte "Agostino". Le Genealogie è un testo importante perché dialoga molto con le Esposizioni (subito dopo per percentuale di dialogo con un'opera contemporanea è il

De casibus). Ne parla anche Marzano in "Intertestualità e autotraduzioni nelle Esposizioni" dove egli si concentra sul chiedersi come Boccaccio lavoro quando passa dal latino al volgare, è abile traduttore di se stesso? Parafrasa se stesso? Si chiede come Boccaccio lavori se ad es. possiede uno schedario delle Genealogie quando ne parla nelle Esposizioni, torna a guardare gli autori delle fonti che ha usato nelle Genealogie visto che si annota i nomi ai margini?

Vediamo quando Boccaccio parla di Frode, settima figlia di Erebo:

  • De natura deorum = cita Cicerone
  • Il nostro Dante Alighieri fiorentino = Boccaccio è ossessivo in questa sottolineatura
  • Boccaccio ci da riferimento ad Inferno XVII v. 10-15 dove la frode è Gerione, il mostro che sale dall'abisso e sulla cui groppa Dante salirà assieme a Virgilio. Boccaccio traduce in latino in questo passo delle Genealogie i versi danteschi. È interessante quindi vedere non solo che Boccaccio
consideri Dante come fonte al pari di Cicerone, ma che sia qua che nelle Esposizioni (che si interrompono su questi primi versi di Inferno XVII) Boccaccio commette errore di interpretazione che spesso fanno gli antichi commentatori che però lui non cita mai:
  1. parla infatti di macchie che ricoprono il corpo di Gerione alludono ai delitti e questo corrisponde a ciò che dice l'ottimo commento che tenta un'interpretazione allegorica di Gerione dicendo che le macchie alludono alle varie malizie e falsi ritrovamenti propri degli animi fraudolenti e la coda velenosa nascosta dal corpo è tipica della frode che sempre maschera il suo fine.
  2. altro elemento "essa nuota sulle onde di Cocito": se guardiamo le Esposizioni canto decimosettimo dice "sopra l'acqua del fiume del lato loro" e continua dopo "sopra la riva del fiume" "si rimanesse coperta nell'acqua" ma in realtà Gerione non sta nuotando,

però guardando il manoscritto Palatino 313 miniato da Pacino di Bonaguida si vede raffigurato Gerione nell'acqua. Forse è Dante stesso a sollecitare l'errore poiché fa esempio del Castoro che tiene la coda nell'acqua e ugualmente Gerione tiene la coda nascosta per ingannare. È interessante vedere come in un'opera erudita come le Genealogie dove mette a frutto tutto il suo sapere Boccaccio commetta un errore simile e si rifà anche all'antica esegesi fiorentina. Vediamo quando Boccaccio nel libro III capitolo IV parla di Acheronte: Boccaccio dice che Dante in Inferno XIV aveva altra opinione dell'origine di Acheronte ovvero parla del Veglio di Creta cioè statua da cui dipartono rigagnoli che formano i fiumi infernali. Boccaccio parla poi dell'etimologia del nome acheronte cioè senza gioia o salvezza e dice che Dante parla del vero Acheronte infernale facendo sorta di contrapposizione tra le favole degli

gli antichi e la verità di Dante. Boccaccio poi parla della congruenza del luogo, origine, tempi e cause per poi trattare nello specifico ogni punto. Boccaccio scrive che Dante dice che la statua de
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A.A. 2021-2022
70 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/03 Filologia italica, illirica, celtica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher MARGRO171097 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filologia dantesca e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Azzetta Luca.