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ALLE FRONDE DEI SALICI

E come potevano noi cantare

con il piede straniero sopra il cuore,

fra i morti abbandonati nelle piazze

sull'erba dura di ghiaccio, al lamento

d'agnello dei fanciulli, all'urlo nero

della madre che andava incontro al figlio

crocifisso sul palo del telegrafo?

Alle fronde dei salici, per voto,

anche le nostre cetre erano appese,

oscillavano lievi al triste vento.

Come si può cantare quando la vita è un orrore? L’orrore del latrato

dei bambini come agnelli squartati, l’urlo nero della madre, il figlio

crocifisso come partigiano o come cittadino o semplicemente come

un ragazzo sfortunato che si è trovato nel momento sbagliato nel

posto sbagliato? Come può la poesia raccontare tutto questo?

Qui la poesia racconta il suo fallimento: il sogno del ragazzo di

poter stare su quell’isola verde circondata dal mare immobile non

c’è più perché la storia è entrata con cattiveria, con violenza, con

potenza.

La storia quando è guerra è solo violenza, e quello che ci sorprende

è come questa violenza irrazionale possa venire all’improvviso;

come gli uomini in un attimo possano impazzire e volere la guerra.

Le cetre del poeta di fronte a questa continua perdita dei valori più

semplici di cui i poeti hanno sempre parlato come l’amore, il

rispetto, la gentilezza, la misericordia, non sono solo appese ma

sono impiccate perché il dolore è insopportabile ma suonano lo

stesso perché il vento le fa oscillare lievi. Questo aggettivo indica

che forse c’è qualcosa che può bonificare la gravità della guerra. In

questo passaggio si ritrova la leggerezza dei greci; in questo

“oscillare lieve” c’è la possibilità che la poesia ancora parli dopo la

guerra.

Quasimodo poeta civile non è più un poeta ermetico, il suo

ermetismo è legato alla produzione degli anni ‘30 ed è un

ermetismo di vocazione classica. Quasimodo cerca di essere greco

e quindi guarda alla complessità, all’ambiguità della lingua greca,

alla sua polisemia. Quasimodo poeta civile invece torna ad essere

latino, prende da Lucano, dalla Pharsalia, il capolavoro nel quale il

poeta rifiuta la guerra: ad un certo punto i soldati romani dicono che

vorrebbero essere a Canne contro i Cartaginesi, in una battaglia

che i romani hanno perso, piuttosto che essere lì a combattere una

guerra fratricida, una guerra civile che è la distruzione della

comunità.

Ungaretti è la nascita di una nazione perché si diventa italiani in

trincea, è la lingua della trincea a renderci fratelli, è la morte

comune della guerra, è la fratellanza che nasce in trincea a renderci

una nazione.

D’Annunzio porta avanti la lingua letteraria come modo per

raccontare l’assoluto; Pascoli con la sua poesia dedicata ad un

approfondimento cristiano del peccato, del vuoto, porta questo

pensiero nella nostra letteratura. Questa voglia di filosofia e di

ricerca la ritroviamo in Montale, “La casa dei doganieri” è il segno di

un pensiero talmente frantumato che solo la poesia potrà

rinsaldare.

Con Penna abbiamo visto un’altra possibiltà: una voce pura che

parlando della vita parla di una sacra visione della realtà. I narratori

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Publisher
A.A. 2024-2025
7 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/11 Letteratura italiana contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher gioemarta di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura italiana contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università telematica Guglielmo Marconi di Roma o del prof Colasanti Arnaldo.