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IL BILINGUISMO E IL CERVELLO.
I primi studi su bambini bilingue sembravano indicare che il bilinguismo rallentasse lo
sviluppo cognitivo. Studi successivi hanno rivelato un quadro differente delle abilità
cognitive nei bambini bilingue e cioè:
i bambini bilingue, rispetto ai bambini monolingue, hanno più capacità nel
funzionamento cognitivo come le funzioni esecutive, il saper valutare la priorità delle
informazioni e la flessibilità nel focalizzare l’attenzione.
Inoltre, il bilinguismo porta dei vantaggi nelle fasi più avanzate della vita e cioè: nelle
persone bilingue, la malattia dell’Alzheimer può essere più tardiva rispetto alle
persone monolingue.
Tuttavia, imparare una seconda lingua produce cambiamenti notevoli al cervello. Per
esempio, in una regione del lobo parietale sinistro coinvolta nel linguaggio, la materia
grigia è più densa nei bilingue che nei monolingue. Quindi imparare una seconda
lingua fa aumentare la densità della materia grigia nel cervello.
Inoltre, ci sono anche degli svantaggi, e cioè che i bambini bilingue hanno un
vocabolario più ridotto rispetto ai bambini monolingue ed elaborano il linguaggio più
lentamente rispetto ai monolingue.
LE ALTRE SPECIE ANIMALI POSSONO APPRENDERE IL LINGUAGGIO UMANO?
Inoltre, si è tentato di insegnare ad animali, in particolare a scimmie antropomorfe, a
comunicare usando il linguaggio umano.
Alcuni tentativi, che hanno avuto successo comprendevano l’insegnamento della
lingua americana dei segni (ASL) e l’uso di tastiere con simboli geometrici che
rappresentavano parole.
I coniugi Garden furono i primi a usare l’ASL con le scimmie; essi lavorarono con una
giovane femmina di scimpanzé, di nome Washoe, dialogavano con lei mediante i segni
e premiavano i suoi tentativi corretti nell’uso dei segni. In 4 anni, Washoe apprese
molteplici parole e riuscì a costruire frasi semplici.
Altri ricercatori, insegnarono a scimmie bonobo a comunicare usando una tastiera con
segni geometrici. Una scimmia di nome Kanzi, afferrò il linguaggio con facilità, imparò
molteplici parole e riuscì ad elaborare frasi della grammatica complessa.
Le loro abilità furono impressionanti perché il linguaggio umano non è il loro mezzo di
comunicazione e questo ci fa capire che i circuiti neurologici del linguaggio sono
sovrapponibili tra scimmie e umani, anche se esse hanno dei limiti rispetto a noi:
Hanno un vocabolario meno ampio.
Rispondono ad azioni semplici.
Sanno collegare insieme più segni, ma le loro costruzioni non superano 3 o 4
parole e quasi mai hanno una struttura grammaticale.
LINGUAGGIO E PENSIERO.
Successivamente, alcuni studiosi hanno sostenuto che il linguaggio è un mezzo per
esprimere il pensiero. Invece, Whorf sostenne la teoria della relatività linguistica, cioè
l’idea che il linguaggio plasma la natura del pensiero.
Inoltre, alcuni studi dimostrano che il linguaggio può influenzare la comprensione dei
colori. I ricercatori hanno confrontato alcuni bambini inglesi con bambini africani della
tribù Himba.
Gli inglesi hanno 11 termini per colori di base, gli altri 5.
I ricercatori hanno mostrato una serie di tessere colorate a ciascun bambino e poi
hanno chiesto di scegliere un colore in una tavolozza di 22 colori differenti.
I bambini più giovani sia inglesi che Himba che conoscevano pochi colori
confondevano i colori simili, ma una volta cresciuti, le loro scelte riflettevano sempre
di più i termini che avevano appreso. I bambini inglesi commettevano meno errori nel
riconoscere le tessere di colori che avevano nomi inglesi, mentre gli Himba
commettevano meno errori con le tessere di colori che avevano colori Himba.
Quindi, il linguaggio può influenzare il pensiero, e questo studio vanno a sostegno
della teoria della relatività linguistica.
Occorre però tenere presente che il linguaggio può essere compromesso, a fronte del
fatto che l’altra abilità resta intatta. Ciò suggerisce che le due abilità mentali siano in
qualche modo distinte.
IL PENSIERO.
Un aspetto fondamentale per la nostra abilità di pensare è il concetto. Il concetto è
una rappresentazione mentale che raggruppa caratteri comuni di oggetti, eventi o altri
stimoli. Il nostro cervello è in grado di organizzare i nostri concetti riguardo al mondo,
classificandoli in categorie sulla base di somiglianze condivise. In soldoni, i concetti ci
sono utili per la nostra capacità di pensare e per dare un senso al mondo.
Esistono varie teorie sulla formazione dei concetti.
Le prime teorie psicologiche descrivevano i concetti come regole, le quali sottolineano
le condizioni necessarie e sufficienti per definire l’appartenenza ad una categoria.
Una condizione necessaria è una qualità che un oggetto deve avere per poter
appartenere ad una categoria mentre una condizione sufficiente è una qualità che
dimostra che un oggetto appartiene ad una categoria.
Le prime teorie più importanti, sulla formazione dei concetti sono:
La teoria della somiglianza di famiglia, è il fenomeno per cui i membri di una
data categoria presentano caratteristiche tipiche, che però possono anche non
essere possedute da ogni membro della categoria stessa.
La teoria dei prototipi, ovvero ogni categoria è incentrata sul “suo
rappresentante migliore” o il “più tipico”. Esso possiede la maggior parte o tutti
dei tratti più caratteristici di quella categoria.
La teoria degli esemplari ci dice che formuliamo giudizi sulla categoria,
confrontando ogni nuovo esemplare con i ricordi archiviati degli altri esemplari
della stessa categoria già incontrati.
Inoltre, sia i prototipi che gli esemplari sono importanti per formazione di concetti e
categorie.
La corteccia visiva è coinvolta nella formazione dei prototipi, mentre la corteccia
prefrontale e i gangli della base sono coinvolti nell’apprendimento tramite gli
esemplari.
Queste evidenze, suggeriscono che l’apprendimento basato sugli esemplari implichi i
processi di decisione (Corteccia prefrontale) e che la formazione dei prototipi sia un
processo più olistico, in cui è coinvolta l’elaborazione delle immagini. (Corteccia
visiva).
Successivamente, si individuò la sindrome denominata deficit categoria – specifico,
ovvero l’incapacità di riconoscere gli oggetti che appartengono ad una categoria, a
fronte della capacità di riconoscere gli oggetti non appartenenti a quella categoria.
Dagli studi sulla sindrome deficit categoria – specifico è emerso che il cervello è
“precablato” in modo da organizzare gli input percettivi e sensoriali in vaste categorie
generali.
Con il termine precablato si intende che il cervello è organizzato fin dalla nascita in
modo che alcune regioni siano predisposte a rispondere con più forza ad alcune
categorie di oggetti.
Il tipo di deficit categoria – specifico di cui una persona soffre, dipende dall’area del
cervello danneggiata. Questi deficit sono di solito la conseguenza di un ictus o di un
trauma, in aree dell’emisfero sinistro della corteccia cerebrale. Un danno nella parte
anteriore del lobo temporale sinistro genera difficoltà a riconoscere le persone, un
danno nella parte inferiore del lobo temporale sinistro genera difficoltà ad identificare
gli animali e un danno alla regione dove il lobo temporale incontra i lobi occipitali e
parietale compromette la capacità di ricordare i nomi e gli utensili.
I PROCESSI DELLA DECISIONE.
Categorie e concetti inoltre ci servono da guida per prendere delle decisioni. Inoltre, in
una decisione molto importanti sono le scelte razionali infatti si sostiene che se siamo
razionali a prendere delle decisioni, ci comporteremo come è previsto dalla teoria della
scelta razionale, ovvero una decisione viene presa stabilendo quali probabilità ha una
certa cosa di accadere, giudicando il valore dell’esito e poi moltiplicando tra loro i due
fattori.
Ma questo ragionamento non va molto bene per tutti i processi decisionali.
Noi siamo molto bravi a stimare la frequenza, ovvero il numero di volte in cui una cosa
accade. Mentre siamo un po’ meno bravi nei compiti che ci richiedono di pensare in
termini di probabilità, ovvero la possibilità che una certa cosa possa avvenire.
Inoltre, la probabilità aumenta se si prende in considerazione la frequenza.
Inoltre, molto importante è la distorsione da accessibilità, cioè la tendenza a ritenere
che gli elementi più riconosciuti in memoria siano presenti con più frequenza.
Inoltre, la forza del ricordo è correlata alla frequenza di occorrenza, perché la
distorsione da accessibilità influenza le nostre stime.
Gli elementi che ricorrono con più frequenza vengono ricordati più facilmente, degli
elementi che ricorrono con meno frequenza. Ma in questo caso il ricordare meglio non
è dovuto ad una maggiore frequenza ma ad una maggiore familiarità.
Tuttavia, le scorciatoie mentali come la distorsione da accessibilità, sono spesso
definite euristiche, cioè delle strategie rapide ed efficienti che possono facilitare il
processo decisionale, ma non garantiscono di arrivare ad una soluzione.
Al contrario, invece, l’algoritmo è una sequenza ben definita di procedure e regole che
garantiscono una soluzione ad un problema.
Altro aspetto importante è la fallacia della congiunzione, ovvero la tendenza a pensare
che due eventi abbiamo più probabilità di verificarsi insieme, rispetto alle probabilità
che si hanno nel verificarsi singolarmente. Quindi, spesso pensiamo che per ogni
nuovo elemento di informazione che si aggiunge, aumentino le probabilità che le
affermazioni riguardanti una certa persona siano tutte vere; ma in realtà le probabilità
diminuiscono notevolmente.
In altre parole, la fallacia della congiunzione conduce ad un aumento delle
informazioni, portando a trarre conclusioni sbagliate.
Inoltre le persone tendono ad ignorare l’informazione relativa alla probabilità primaria,
ovvero la probabilità concreta di un evento attraverso la presenza di un’euristica della
rappresentatività, vale a dire la tendenza a emettere un giudizio di probabilità
confrontando un oggetto o un evento con il prototipo dell’oggetto o dell’evento.
In soldoni, errori mentali come la distorsione da accessibilità, la fallacia della
congiunzione e l’euristica di rappresentatività, evidenziano che i nostri punti forti sono
il formare categorie bas