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FATTORI SPECIFICI DEL PTSD
● Gravità e tipologia del trauma
● Stili di coping (evitamento, soppressione, dissociazione) oppure valutazioni cognitive
di scarsa disponibilità di risorse di coping
● Neurobiologici 25
BURNOUT
STRESS ACUTO = eventi di vita innescano i disturbi mentali (vedi paradigma diatesi-stress)
STRESS CRONICO = aggrava i disturbi d’ansia, si associa a malattie psicosomatiche e altri
indicatori metabolici, endocrini, immunologici di malattia
TRAMA = Disturbo acuto da stress, disturbo post-traumatico da stress
TRAMA COMPLESSO = predittore di disturbi mentali, disturbo reattivo dell’attaccamento,
disturbo da impegno sociale disinibito.
Il burnout è un fenomeno complesso, una reazione tipica che si sviluppa gradualmente a
uno stressor prolungato e cronico, specifico del contesto lavorativo, e che si manifesta con
precise reazioni fisiche, mentali ed emozionali (Sharma, 2006).
Tipicamente la persona si sente incapace di fronteggiare le pressioni crescenti e le richiesta
eccessive del contesto lavorativo e quindi manifesta una forma di esaurimento caratterizzata
da insoddisfazione lavorativa, scarsa energia, fatica, frustrazione, depersonalizzazione,
senso di inadeguatezza se non addirittura di vero e proprio cinismo (Maslach and Schaufeli,
1993).
Perelman and Hartman nel 1982 condussero una rassegna della letteratura scientifica
individuando più di 48 diverse definizioni di burnout. Partendo da questo quadro hanno
proposto la seguente definizione del fenomeno: “a response to chronic emotional stress with
three components: (a) emotional and/or physical exhaustion, (b) lowered job productivity,
and (c) over depersonalization” (p. 293).
Questa definizione del costrutto, di tipo multifattoriale, in particolare tridimensionale,
corrisponde anche alla definizione che ne viene data dalla studiosa che più di tutti si è
occupata del costrutto: Christine Maslach; l’autrice definisce il BU come “una sindrome di
esaurimento emotivo, di depersonalizzazione e di riduzione delle capacità personali che può
presentarsi in soggetti i quali, per professione, si occupano di gente” (1992).
Gli operatori, infatti, dopo un periodo di impegno generoso e attivo, manifestano nervosismo,
irrequietezza, apatia, indifferenza e qualche volta cinismo verso gli utenti.
Le 3 dimensioni del burnout
1. esaurimento emotivo : eccessivo coinvolgimento e depauperamento delle risorse
affettive ed emotive, sovraccarico ed esaurimento (operatore si sente sopraffatto,
logorato, esaurito). Il contatto continuo con emozioni stressanti, lo rende vuoto,
senza energie e o vitalità.
2. depersonalizzazione : si fa strada un atteggiamento di distacco verso i sentimenti
e i bisogni dell’utenza, ma anche verso il lavoro stesso. Il lavoratore manifesta
distacco, freddezza, cinismo, abbandona i suoi ideali iniziali. Così tenta di
proteggersi dalla sua delusione di veder svanire la speranza di risolvere i problemi e
le richieste degli utenti (Maslach e Leiter, 2000).
3. ridotta realizzazione personale : sensazione di inadeguatezza, di
insoddisfazione, cade la stima di sé, ogni desiderio di successo fino a sentirsi in
colpa perché non riesce più ad aiutare gli altri. Questo lo fa sentire incompetente e
perde fiducia in sé. 26
predittori di Burnout
Molteplici sono i in letteratura, classificabili in due gruppi principali: il
primo legato alle caratteristiche personali, alle strutture di personalità (Sirigatti, Stefanile,
Menoni, 1988), il secondo più legato al contesto organizzativo (Cherniss 1983).
Nel primo gruppo rientrano il concetto di Locus of Control (Rotter 1954), il grado di
flessibilità, ossia come le persone si adattano alle situazioni stressanti e alla
sovrapposizione di ruolo che può essere loro richiesta (Cherniss 1983) oppure ancora
l’autoefficacia.
● Teoria socio-cognitiva di Bandura
→ enfatizza il ruolo dei fattori individuali relativi
alla propria valutazione di efficacia ● Teoria della social exchange
→ enfatizza il ruolo della relazione con il
contesto e prevede che il BU si manifesti
quando il lavoratore percepisce una
mancanza di equilibrio fra i propri sforzi e i
risultati ottenuti nell’azienda (con i colleghi, gli
utenti, l’amministrazione, ecc)
Il secondo gruppo include teorie che enfatizzano il ruolo della struttura organizzativa, la
struttura di potere, la retribuzione, lo sviluppo della carriera (Pellegrino 2000), ma anche il
clima organizzativo (De Rio 1990). Studi recenti di Dollard & McTernan (2011) inquadrano il
problema da un punto di vista generale e propongono un nuovo costrutto, il Clima di
Sicurezza Psicosociale (Psychosocial Safety Climate, PSC). Il clima di sicurezza
psicosociale è definito come la percezione condivisa da parte dei lavoratori della presenza di
un insieme di politiche, pratiche e procedure organizzative messe in atto a beneficio della
loro salute e sicurezza psicologica, promosse in larga misura dal management
dell’organizzazione stessa
+ la teoria della
Job demands-Job resources
Alcune ricerche condotte sugli operatori della salute mentale (Baiocco et al 2006)
individuano una relazione tra coping, benessere individuale e stress lavorativo (Steptoe,
1991, Thornton, 1992; Pedrabissi e Santinello, 1994).
coping
Il è la modalità di fronteggiamento di un evento stressante. Le risposte di
fronteggiamento agli eventi stressanti sono state classificate in due principali domini
concettuali: 1) approccio al problema vs evitamento dello stesso e delle emozioni negative
collegate e 2) strategie cognitive vs strategie comportamentali.
In generale, le strategie che prevedono l'approccio al problema sono focalizzate sul
problema stesso e sulle sue caratteristiche, e riguardano gli sforzi cognitivi e/o
comportamentali per padroneggiare o individuare una soluzione per il problema. Al contrario,
le strategie di coping basate sull’evitamento si focalizzano sulle emozioni e riguardano gli
sforzi cognitivi e/o comportamentali volti ad evitare le emozioni negative legate al problema.
27
Esempi di strategie attive di coping
● strategie cognitive: ragionamento logico, che riflette i tentativi cognitivi di
comprendere e prepararsi mentalmente al fattore stressante e alle sue conseguenze;
rivalutazione positiva, che riflette gli sforzi cognitivi di considerare un problema in
modo positivo continuando comunque ad accettare la situazione
● strategie comportamentali: ricerca di guida e sostegno, che riguarda gli sforzi
comportamentali per ricercare informazioni, indicazioni e supporto da parte di altre
persone significative; problem solving, che riguarda i tentativi volti ad intraprendere
delle azioni concrete orientate alla risoluzione del problema.
Esempi di strategie passive di coping
● strategie cognitive: evitamento cognitivo che si riferisce agli sforzi cognitivi volti ad
evitare di pensare in modo realistico al problema e alle sue conseguenze;
accettazione* (nella letteratura recente l’accettazione non è intesa come un processo
passivo né come equivalente alla rassegnazione, ma come un processo attivo di
cambiamento cognitivo delle aspettative e delle azioni che non portano a cambiamenti
delle situazioni che non possono essere cambiate) o rassegnazione, che si riferisce
agli sforzi cognitivi di reagire al problema accettando le cose come sono
● strategie comportamentali: ricerca di gratificazioni alternative che riguarda i
comportamenti volti ad impegnarsi in attività sostitutive o ricreative, e di creare nuove
fonti di soddisfazione; sfogo emozionale che riguarda i comportamenti orientati a
ridurre la tensione emozionale esprimendo i sentimenti negativi.
effetti sulla depersonalizzazione
DATI PRESENTI IN LETTERATURA :
Una ricerca condotta nel 2006 su psicologi e psicoterapeuti (195 partecipanti) in Italia
(Baiocco et al 2006) mostra come, utilizzando la scala Coping inventory for stressful
situation (Endler & Parker 1990), i partecipanti che presentavano alti livelli di
depersonalizzazione tendevano a utilizzare strategie di coping orientate all’emozione.
Studi condotti sugli operatori della salute mentale mostrano inoltre come i più giovani
lavoratori nel campo della salute mentale siano i più vulnerabili, forse a causa della
mancanza di esperienza : meno anni di esperienza lavorativa si associavano
(Lim et al 2010)
a maggiore depersonalizzazione, maggiore esaurimento emotivo e maggiore.
L’effetto del genere sul burnout è controverso negli studi. In alcuni studi emerge una
correlazione tra il sesso maschile e la depersonalizzazione.
Il livello di studio sembra avere un effetto paradossale: chi ha più titoli accademici è a rischio
esaurimento e depersonalizzazione ma si sente più realizzato. Questo porta a considerare
maggiormente la necessità di supervisioni, per evitare che si accentuino la
depersonalizzazione e l’esaurimento emotivo.
I lavoratori dipendenti presentavano più depersonalizzazione e maggiore esaurimento
emotivo rispetto ai lavoratori autonomi probabilmente perché percepivano minore autonomia
e minori pressioni burocratiche. effetti sull'esaurimento nervoso
DATI PRESENTI IN LETTERATURA
:
L’età, le ore di lavoro, il setting di lavoro sono gli indicatori più significativi dell’esaurimento
emotivo. È stata riportata una correlazione negativa tra l’età e il burnout (Ciccone, 2003;
Lippert 1999; Vredenburgh 1999; Rosenberg e Pace, 2006). Questi autori evidenziano come
i professionisti della salute mentale, con l’aumentare dell'età, fossero meno soggetti
all’esaurimento emotivo. Rosenberg e Pace spiegano questo fenomeno con il fatto che, con
il progredire dell’età, gli operatori della salute mentale, accumulando esperienza di vita, e
con la maturità emotiva riescono ad avere strategie di coping efficaci. 28
alcune ricerche
DATI PRESENTI IN LETTERATURA :
Gli indicatori che hanno una correlazione con la depersonalizzazione sono stati: età, anni
di esperienza lavorativa, ore di lavoro e impostazione lavorativa. Anche in questo caso l’età
era l’indicatore più forte. La depersonalizzazione viene vissuta meno forte dai professionisti
con una maggiore età. Si ipotizza che invecchiando imparino a controllare le proprie energie
emotive rispetto al sentirsi burned out. Inoltre il lavorare per un’organizzazione e le molte ore
di lavoro portano a depersonalizzazione.
Sia l’età che l’esperienza lavorativa hanno avuto correlazioni positive con la realizzazione
personale, il che, secondo gli autori, indica che man mano che i professionisti della salute
mentali vanno avanti con l’età, diventano più bravi a trattare la patologia mentale, a curare il
pazien