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LA NASCITA DELL'UOMO
Per decine di migliaia di anni l'uomo è rimasto nella condizione di
cacciatore-raccoglitore e ha avuto perciò un impatto ancora trascurabile
sugli ecosistemi. Si trattava infatti di individui che vivevano in piccoli
gruppi privi di differenze sociali conducendo un'esistenza nomade per
seguire le prede, nutrirsi di carogne e raccogliere quanto cresceva in
modo spontaneo in natura.I primi uomini nascono in Africa, noi
discendiamo dai sapiens. I sapiens arrivano in Europa dall'Africa,
incontrano i Neanderthal, lo scontro ha come esito l'estinzione dei
secondi. Noi conserviamo però dei geni dei Neanderthal (3/5%). Per
decine di migliaia di anni l'uomo ha vissuto come cacciatore e
raccoglitore. Ciò ha portato a delle conseguenze, l'essere nomadi. La loro
speranza di vita era 34 anni.
La prima grande rivoluzione economica della storia: l'invenzione
dell'agricoltura
La provocatoria tesi di Jared Diamond, uno scienziato non uno storico né
un economista che, a partire dall'ambiente, offre una chiave di lettura di
lungo periodo delle differenze di sviluppo tra le diverse parti del mondo. Il
momento di svolta sarebbe collocato tra la fine dell'ultima glaciazione
(circa 11.000 a.c.) e quando si inventa l'agricoltura e si addomesticano gli
animali (8.500 a.c. circa).
Secondo Diamond l'ambiente gioca un ruolo fondamentale perché,
quando tutto ha inizio, non tutte le parti del mondo hanno le stesse
possibilita. Infatti, se l'ambiente e il clima sono favorevoli si può contare in
partenza su una maggiore disponibilità di piante coltivabili e di animali
addomesticabili. Diamond, che riprende i fondamentali e pionieristici studi
dell'agronomo russo Vavilov, evidenzia come le zone dove si inventa
l'agricoltura e da dove poi si diffonde
siano poche
Tra queste ci sono la mezzaluna fertile da un lato e la Cina dall'altro, a cui
si aggiungono poche aree americane. Da li si diffonde la pratica agricola
che sin dall'inizio si basa sui cereali ma con il prevalere di piante
dominanti diverse: il riso in Cina e poi in Oriente, il frumento nel bacino del
Mediterraneo e il mais nelle Americhe. In partenza si sarebbe quindi
verificata una situazione in cui, come scrive molto efficacemente
Diamond, «a chi tutto e a chi niente». In effetti quando tutto è cominciato il
Vicino Oriente, l'Europa e il Nord Africa, quindi una porzione molto limitata
del pianeta, avrebbero potuto contare su ben trentatré piante e nove
specie animali adatte alla domesticazione; mentre l'Africa subsahariana,
le Americhe e l'Oceania tutte insieme su diciassette piante e una specie
animale soltanto. Migliore, non a caso, era la situazione dell'Asia orientale
dove erano presenti dodici piante e nove specie animali. A risultare
svantaggiate sono state soprattutto le regioni tropicali, fortemente
penalizzate dalla presenza di suoli meno fertili, di un clima poco
favorevole, di malattie endemiche dovute alla mancanza di una stagione
fredda in grado di ridurre periodicamente la popolazione di parassiti,
batteri e virus. Le conseguenze di questa svolta epocale sono presto
evidenti e iniziano a segnare significative differenze tra le diverse parti del
pianeta ben evidenti già 4000 anni fa. Questa situazione verrà in parte
modificata soltanto dallo scambio colombiano quando, per la prima volta
dopo millenni, sono entrate nuovamente in contatto due grandi parti del
pianeta che
erano state separate dalla deriva dei continenti: l'Eurasia da un lato e il
continente americano dall'altro
L'America è stata scoperta per cercare di spezzare il monopolio del
commercio del pepe dei veneziani che si accordano con impero
ottomano, le navi veneziane sono le uniche che possono andare a
Costantinopoli. Colombo per risolvere questo problema vuole
cirmunavigare la terra per arrivare dall'altra parte in Oriente. Arriva in
america per caso, essendo convinto di essere in oriente. Gli europei
portano diverse malattie in america, muoiono in tantissimi perché il loro
sistema immunitario non era abituato.
Diamond ha ragione? Sembrerebbe di sì perché la carta di Hewes riferita
alla situazione del pianeta al momento della scoperta dell'America non è
molto diversa da quella di 3500 anni prima. Infatti, sia l'Europa nel suo
complesso, che una porzione sempre più ampia della Cina, figuravano tra
le poche civiltà, tredici in tutto, individuate dall'antropologo statunitense,
che le definiva dense facendo riferimento proprio alla consistenza e alla
concentrazione della popolazione, esito che dipendeva a sua volta dalla
presenza delle forme di agricoltura più produttive e avanzate di cui era
testimonianza e segnale la diffusione e l'utilizzo dell'aratro e la presenza
delle città. fiasti rilevare che nell'anno mille l'Occidente e la Cina avevano
una densità di popolazione di 6,9 e 6,2 abitanti per kmq a
fronte di una media mondiale di 1,9.
Il clima: una variabile imprescindibile
Tra i fattori che determinano il successo di alcune aree rispetto ad altre ci
sono come abbiamo visto le condizioni climatiche, e lo confermano le
persistenti difficoltà delle regioni tropicali sfavorite, non solo dalla qualità
dei suoli, ma anche dal regime delle precipitazioni e dalle temperature.
Non sorprende quindi che diversi pensatori, sin dall'antica Grecia,
abbiano ritenuto il clima e i suoi cambiamenti una variabile esplicativa
molto importante). Così come ci sono stati anche numerosi studiosi che
hanno seguito questa impostazione applicandola ai periodi più diversi.
Qualche esempio:
必
Rhys Carpenter attribuisce la profonda crisi che ha sconvolto il bacino del
Mediterraneo nella seconda metà del secondo millenio a.c. a un
prolungato periodo di siccità
必
Wolfgang fiehringer fa dipendere il successo dei romani e la ripresa
economica basso medievale dalla presenza di optimum climatici,
esattamente il contrario di quanto avvenuto nella piccola era glaciale tra
XVII e XVIII secolo
必
John D. Post lega le gravi difficoltà incontrate dall'Europa nel quadriennio
1816-1819 alle durissime condizioni climatiche del 1816 il famoso "anno
senza estate"
firian Fagan attribuisce la crisi degli anni Settanta del XIX secolo alla
presenza di un Niño molto forte
In effetti, anche se si considera la biunivocità del rapporto tra uomo e
ambiente, per cui l'ambiente condiziona l'uomo ma al tempo stesso
l'uomo è in grado di adattarsi e di modificare l'ambiente, è difficile negare
che per millenni sia stato il primo a giocare il ruolo del più forte () e
siccome l'uomo si è trovato costretto a convivere con ecosistemi e climi
molto diversi gli esiti non sono stati certo univoci. È evidente che nascere
in mezzo ai ghiacci dell'Artico o tra le sabbie del Sahara offre già di per sé
molte meno possibilità rispetto a chi si trova a vivere nella pianura padana
o nella valle del Fiume Giallo. Tant'è che secondo Diamond il grande
vantaggio dello spazio eurasiatico deriva, non solo dalla molto maggiore
presenza di piante coltivabili e animali addomesticabili, ma proprio dal
fatto che, essendo orientato lungo i paralleli, risulta in grandissima parte
compreso all'interno della fascia climatica più favorevole, quella
temperata, e questo ha reso molto più agevole la diffusione di uomini,
animali, piante, informazioni e idee, a differenza di quanto è avvenuto
invece nel caso dei continenti americano e africano che sono
prevalentemente orientati nel senso dei meridiani per cui spostarsi
comporta di imbattersi inesorabilmente, prima o poi, nelle sfavorevoli zone
tropicali. Né,
tanto meno, si può pensare di mettere all'indice il determinismo
geografico-ambientale, o quello culturale, solo per sostituirli, come di
recente è stato fatto, con un determinismo ancora più rigido per cui
sarebbero le istituzioni a spiegare tutto. Richiamare le condizioni
ambientali e climatiche non vuole certo essere un fattore esplicativo
esclusivo ma piuttosto la sottolineatura di come la presenza per alcune
aree di una favorevole posizione di partenza sia stata una ragione
necessaria ma non sufficiente del loro successo economico e politico, a
conferma della complessità e della non riducibilità ad unum dei processi
storici. Del resto, abbiamo già evidenziato come la semplificazione può
funzionare bene nelle discipline che cercano regolarità e generalizzazioni
ma non in campo storico dove lo spazio e il tempo, così come le loro
interazioni e retroazioni hanno una grandissima importanza.
Negli ultimi anni stiamo assistendo a un dibattito, molto infuocato, sul
climate change e soprattutto sulle sue cause dove il grande tema è se e
fino a che punto sia da attribuire all'impatto delle attività umane. Le
posizioni sono diverse e spesso conflittuali, anche perché ognuno cerca di
tirare l'acqua al suo mulino, (se non altro a causa dei grandissimi interessi
economici in gioco), le fake news abbondano e anche le mucche ci vanno
di mezzo. Un dato però sembra ormai decisamente incontestabile: la
velocità, mai verificatasi prima, dei cambiamenti a cui stiamo assistendo,
anche a non voler credere all'hockey stick dell'IPCC. Nel Medioevo era
presente un optimum climatico, le temperature erano quindi molto alte, in
seguito nel Settecento le temperature scendono molto, si ha una piccola
era glaciale. Dopo questo periodo le temperature ricominciano a salire.
Un aspetto poco considerato: le catastrofi
Ci sono tre tipi di capitale, quello fisso cioè quelle cose che non si
distruggono nel processo produttivo, il capitale circolare che sono le
materie prime che si usano e il capitale umano che siamo noi. Esistono
catastrofi che distruggono il capitale sia fisso sia umano, come i terremoti.
Ci sono altri tipi di catastrofi come le epidemie che distruggono solamente
il capitale umano. Il clima e l'ambiente hanno significative interazioni
anche con un altro aspetto molto rilevante che è, analogamente, di
lunghissimo periodo e che continua a interessarci, come mostrano i
recenti casi di Turchia, Marocco e Libia: quello delle catastrofi
Si tratti di eventi imprevedibili e di grande portata che sono anche dotati di
significative ricadute economiche perché distruggono, a seconda della
loro tipologia, capitale umano e/o fisso. Da questo punto di vista è
evidente una grande differenza tra oriente e occidente e proprio per
quanto riguarda gli eventi catastrofici che, essendo direttamente
riconducibili ad ambiente e clima,
dipend