IL LIVELLO GENERALE DEI PREZZI ED IL TASSO DI INFLAZIONE
Cos’è l’inflazione? Nel modello Neoclassico abbiamo visto che la curva di offerta aggregata è perfettamente
verticale, quindi non è possibile gestire più di un certo livello di produzione nel breve periodo. Quando
infatti la domanda è maggiore dell’offerta, si ha inflazione. L’inflazione è un aumento significativo del livello
dei prezzi. Per significativo, una volta, s’intendeva oltre il 2%. Attualmente, in realtà, ci troviamo al di sotto
di questo livello. Come si misura il tasso d’inflazione?
=
Basta calcolare il tasso a cui il livello dei prezzi aumenta nel tempo.
A livello statistico esistono poi due metodi per calcolare il livello dei prezzi: il deflatore del PIL, dato dal
rapporto tra Pil nominale e reale ed il metodo che tiene in considerazione un determinato paniere di beni
di consumo delle famiglie, metodo solitamente utilizzato dall’ISTAT. Questo paniere nel corso del tempo,
viene modificato in relazione a quelle che sono le abitudini dei vari individui (es: viene aggiunto il cellulare
ma anche il computer). Viene perciò monitorato il livello dei prezzi di questi beni in ogni regione e la loro
media determina anche la media nazionale dei prezzi. Non è detto comunque, che si verifichi un’inflazione,
anzi, potrebbe verificarsi il fenomeno opposto, la deflazione e quindi una riduzione dei prezzi. Vediamo ora
l’andamento dell’inflazione in Italia nel corso degli anni.
Negli anni ’70 ci fu una forte inflazione. In realtà già dal ’68 ha inizio il cosiddetto “autunno caldo”, un
periodo caratterizzato da forti contrasti tra lavoratori ed imprenditori. Mentre per i Neoclassici l’inflazione
è dovuta ad un eccessivo aumento della domanda, nella teoria Keynesiana si parla di inflazione da costo.
Alla fine degli anni ’60 vi è un aumento del costo del lavoro, dovuto all’autunno caldo. Nel ’73, a causa dello
shock petrolifero, aumenta notevolmente il costo del petrolio e questo causa un aumento notevole
dell’inflazione che arriva addirittura al 25%. Tra il ’78 ed il ’79, vi è un altro shock petrolifero che comporta
un ulteriore fenomeno inflazionistico. Nel ’71 inoltre era venuto meno anche il sistema di Bretton – Woods,
di cui parleremo più avanti. E come conseguenza di questo fenomeno, vi fu un aumento dell’offerta di
moneta, che rappresenta un’altra causa di inflazione. Solo a partire dagli anni ’80, l’inflazione inizia a
ridursi.
In microeconomia abbiamo studiato che la produttività marginale dev’essere pari al costo marginale. E
quindi secondo la legge dei rendimenti decrescenti, ogni lavoratore in più che assumerò, darà un contributo
inferiore alla produzione, tutto questo a parità degli altri fattori. Se il lavoratore mi produce 10 e costa 5, io
lo assumo. L’ultimo lavoratore che assumerò sarà quello che mi rende 5 e mi costa 5. Ovviamente se il
costo marginale si dovesse abbassare, assumerei altri lavoratori. Questo esempio spiega semplicemente
quella che è la domanda di lavoro microeconomica. La formula con cui rappresentare tutto ciò sarà pari a:
=
Ma se questo invece di essere il costo marginale del lavoro di un’impresa fosse il costo marginale medio del
lavoro della nazione, potremmo anche determinare il livello dei prezzi. P infatti sarà pari al salario
monetario diviso la produttività marginale del lavoro.
=
P
Stiamo seguendo il modello Neoclassico. Se il salario monetario cresce più della produttività, cosa succede?
Si ha un’inflazione da costo del lavoro. Quando nel ’68 vi fu un aumento dei contratti sindacali, i lavoratori
chiesero un aumento dei salari monetari. Avendo un aumento dei salari monetari maggiore rispetto la
produttività si ebbe inflazione da costo. Questa è una prima analisi dell’inflazione da costo.
IL LIVELLO DI OCCUPAZIONE ED IL TASSO DI DISOCCUPAZIONE
Finora abbiamo visto il mercato dei beni, adesso consideriamo il mercato del lavoro.
Nel modello Neoclassico, anche nel mercato di lavoro, come in tutti gli altri mercati, esiste la concorrenza
perfetta: i beni sono omogenei, non ci sono barriere all’entrata, vi è perfetta informazione. Sempre
secondo questo modello, tutta l’offerta di lavoro si trasforma in domanda, grazie alla piena flessibilità del
salario. (Se in Italia ci sono 10 lavoratori, li assumo con uno stipendio di 1000 euro. Se diventano 20, li
assumo e darò loro un salario di 500 e così via). Quindi la disoccupazione non esiste.
Il tasso di disoccupazione è dato dal rapporto tra il numero di disoccupati e la forza lavoro. Quindi non
prendo in considerazione l’intera popolazione, ma solo una parte di essa, ovvero la forza lavoro.
EQUILIBRIO NEL MERCATO DEL LAVORO
Nella teoria Neoclassica, come abbiamo precedentemente detto, tutto ciò che è offerto viene domandato.
Tutti i lavoratori verranno assunti e non esisterà disoccupazione. Esisterà semplicemente una
disoccupazione fisiologica o naturale, che si ha nel momento in cui un lavoratore si licenzia per cercare un
altro impiego. La piena occupazione determina la massima produzione, quindi il mercato del lavoro ha un
ruolo attivo, fondamentale. Nella teoria Keynesiana, il mercato del lavoro ha un ruolo passivo, dipende
infatti dal mercato dei beni. Maggiore è la domanda, maggiore sarà la produzione, maggiore sarà
l’occupazione. Il salario viene determinato in modo esogeno dalla contrattazione sindacale e non è flessibile
verso il basso. Questo si contrappone a quanto sostenuto dai Neoclassici secondo i quali il salario è
endogeno, cioè viene determinato dalla domanda e dall’offerta. Nella teoria Keynesiana, sono i sindacati
dei lavoratori e degli imprenditori a stabilire una soglia al di sotto della quale il salario non debba ridursi.
Con riferimento all’esempio precedente quindi, secondo Keynes, se ci sono 10 lavoratori, questi
prenderanno 1000 euro ciascuno. Ma se i lavoratori diventassero 20, 10 resterebbero occupati, mentre gli
altri 10 sarebbero disoccupati, perché lo stipendio non potrà scendere sotto i 1000 euro. Come possiamo
dunque aumentare l’occupazione? Aumentando la domanda aggregata, agendo cioè su consumo,
investimenti o spesa pubblica, facendo così traslare la domanda dei beni verso l’alto.
MERCATO DELLA MONETA E DELLE ATTIVITA’ FINANZIARIE
La teoria Neoclassica si basa sulla teoria quantitativa della moneta. Questa teoria dice che l’offerta di
moneta, composta da M x V, è uguale alla domanda di moneta. Per i Neoclassici, la domanda di moneta
avviene solo perché sostituisce il baratto. Quindi la moneta serve solo per le transazioni, per facilitare gli
scambi. In realtà altre scuole Neoclassiche dicono che la moneta viene domandata anche per motivi
precauzionali. M x V = P x Y
dove M rappresenta i biglietti di banca in circolazione e V rappresenta la velocità di circolazione della
moneta, ovvero le volte in cui un biglietto di banca passa da una mano all’altra. P rappresenta la media di
tutti i prezzi nel sistema economico, ovvero il livello dei prezzi, mentre Y rappresenta il reddito. Dunque la
domanda di moneta è pari alla domanda di beni, visto il suo scopo transattivo. La velocità di circolazione
della moneta nel breve periodo è costante e lo è anche il reddito. (Vent’anni fa vostro padre o vostro nonno
andavano alla posta o in banca, prendevano lo stipendio e lo mettevano nel cassetto. Quando dovevano
acquistare qualcosa prendevano quei soldi. La circolazione della moneta vent’anni fa era perciò molto
bassa. Oggi, quegli stessi soldi vengono depositati in banca e quest’ultima li utilizza).
Per aumentare l’offerta di moneta possiamo agire su due elementi: o aumentiamo M o aumentiamo V. Ma
V nel breve periodo non varia, perché legata alle abitudini della popolazione, che variano lentamente. Ciò
significa che l’unico valore variabile è M.
Se M x V = P x Y e sappiamo che V e Y sono dati, cosa accade se aumenta M? Vi è inflazione. Un aumento
dell’offerta di moneta, più del necessario, causa inflazione. Infatti, come per la microeconomia, maggiore è
la quantità di un bene, minore sarà il suo valore. Dunque nel modello Neoclassico, trovandoci in una
situazione di piena occupazione e massima produzione, questo aumento di moneta, non provoca nessun
effetto sulla produzione. Gli stessi Neoclassici sostengono che una delle cause della crisi del ’29 sia proprio
un errore nella politica monetaria e non un errore nell’intervento statale, perché c’era meno moneta di
quella necessaria, causando così una deflazione e un blocco negli scambi. La moneta dev’essere quindi pari
alla domanda dei beni e viene definita come un velo, proprio perché produce effetti sulle variabili
monetarie ma non produce effetti sulle variabili reali.
Diversa è invece la teoria Keynesiana. Secondo questa teoria, la domanda di moneta avviene per 3 motivi:
Scopo Transattivo: la moneta si domanda per gli scambi (alla base della teoria Neoclassica),
e dipende dal reddito. Più reddito c’è, più moneta è necessaria;
Scopo Precauzionale: alcuni studiosi monetaristi della scuola di Cambridge sostengono che
anche questo scopo sia compreso nella teoria Neoclassica. Le famiglie cercano di
conservare una quota di questa moneta a scopo precauzionale, cioè per far fronte ad
eventuali spese improvvise;
Scopo Speculativo: la moneta, in questo caso, viene definita da Keynes come il sostituto dei
titoli. Per capirlo è necessario approfondire la conoscenza del funzionamento dei titoli.
Sono titoli le azioni, i titoli di Stato, ecc. I titoli di Stato vengono emessi dal tesoro e successivamente sono
venduti all’asta. Consideriamo di investire 95 euro in un titolo di Stato e di ricevere alla fine dell’anno 100
euro. Qual è il tasso d’interesse? ≅ 0,06
Avrò quindi un tasso d’interesse pari circa al 6%. Se però il prezzo sale, ipotizziamo a 98, il tasso d’interesse
diminuirà. Infatti, via via che il prezzo dei titoli sale, il tasso d’interesse si riduce.
Questo ci riconduce al concetto di Spread. Ipotizziamo che Italia e Germania emettano titoli di Stato,
entrambi al prezzo di 95. I consumatori quali titoli compreranno? Se Italia e Germania godono dello stesso
livello di fiducia, per il consumatore sarà indifferente acquistare l’uno o l’altro. Se però l’Italia gode di un
livello di fiducia inferiore a
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