LA PROSPETTIVA STRUTTURALE
La prospettiva strutturale si focalizza sulla struttura di riferimento dell’organizzazione fisico-
funzionale degli assetti insediativi, quindi sulla comprensione e sul governo degli assetti fisici,
funzionali, sociali, economici e ambientali della città. Questa prospettiva affronta quindi
prioritariamente il ruolo di governo che deve assumere l’azione pubblica, nel suo carattere generale
e collettivo, in contrasto con le spinte individualiste dei singoli:
• contrastando le dinamiche in atto nella città contemporanea, cause di profondi effetti negativi sugli
equilibri sociali, economici e ambientali
• mettendo in campo strategie urbanistiche in grado di favorire usi del territorio e stili di vita
indirizzati alla efficienza, alla coesione, alla inclusività e alla sostenibilità
Una strategia di governo pubblico che riconduca la tendenza alla metropolizzazione delle dinamiche
insediative in corso, a un sistema cui territoriale metropolitano integrato e policentrico, il
funzionamento sia supportato da un’adeguata rete di infrastrutturazione collettiva. La città pubblica
quale struttura primaria di riferimento dell’organizzazione fisico-funzionale degli assetti insediativi
che mette in relazione, a scala urbana e territoriale, i sistemi:
• delle infrastrutture della mobilità,
• dei servizi (locali, urbani e metropolitani)
• degli spazi aperti pubblici e di interesse collettivo
• del verde urbano con le aree protette territoriali
Questa struttura primaria di riferimento necessita di una regia pubblica, un governo pubblico per la
costruzione, la trasformazione, il controllo del suo insieme. È il principio dal quale nasce la
pianificazione: il sistema di regole nell’ambito delle quali ciascun operatore svolge la sua azione.
La costruzione della città pubblica trova attuazione nelle modalità per l’acquisizione delle aree e per
il prelievo e la ridistribuzione della rendita urbana, con l’obiettivo di inverare il binomio
trasformazione/costruzione di città pubblica. Questa prospettiva si concentra sugli strumenti e sui
meccanismi attuativi che, in una concreta politica di programmazione e di produzione di servizi,
individuino un sistema strutturale di aree pubbliche la cui localizzazione garantisca un’adeguata
distribuzione, nonché acquisizione, realizzazione, gestione e fruizione.
I primi riferimenti relativi al tema della città pubblica sono connessi all’origine della disciplina
urbanistica moderna: tra le utopie urbane della fine del secolo XIX, la “cultura igienista” critica le
insalubri condizioni dell’habitat urbano industriale e fornisce risposte alle disparità causate dal
sistema capitalistico. La città industriale è in contrapposizione con i principi modernisti di ordine e
razionalità e diviene oggetto di profonde trasformazioni, per consentire «allo spazio, al sole e al
verde» di vincere la battaglia a favore della vivibilità dello spazio urbano. L’urbanistica modernista
si fa carico, nel tentativo di una “riorganizzazione fisica e funzionale nell’impetuoso e distorto
sviluppo capitalistico”, di stabilire una forma di organizzazione generale della crescita urbana, un
PR che si costituisca come convenzione tra le forze del capitale e della collettività. In Italia la
ricostruzione avviene con i “piani di ricostruzione”, solo per le aree interessate dalle devastazioni.
Ciò ha comportato interventi caso per caso, rivolti a favore dei capitali privati, rinunciando al
tentativo, effettuato con successo in Europa, di migliorare la qualità urbana realizzando attrezzature
pubbliche nelle aree bombardate, centrali e accessibili. Negli anni ‘50, il “miracolo economico”
scatena la crescita urbana, che avviene senza tutelare le aree per le attrezzature pubbliche e le
infrastrutture. Punto di svolta per il fondamento del moderno welfare state, fino a quel momento
appannaggio di organizzazioni benefiche o di iniziative filantropiche dello Stato, misure prive di
un’estensione e un’organicità tali da poter parlare di vere e proprie politiche sociali. Un welfare
finalizzato ad assicurare un livello di qualità di vita minimo a tutta la popolazione, attraverso la
erogazione di alcuni servizi fondamentali di base, quali la sanità e l’istruzione.
Le nuove istanze
Negli anni 60-70, con la rivendicazione dei bisogni e dei diritti primari, vi era un interesse
prevalente per gli aspetti quantitativi: era necessario rispondere con requisiti certi a dotazioni
minime per tutti. Successivamente appare una nuova fase, caratterizzata da esigenze più
differenziate e complesse, meno stereotipabili, anche a fronte di una popolazione sempre più
eterogenea e multiculturale, non più solo residente ma spesso “in transito”, lavoratori, city users,
turisti, studenti. Esigenze come l’ambiente, la sua presenza, salvaguardia e fruizione, i trasporti
collettivi, per una maggiore efficienza e fluidità dei flussi, il livello di specializzazione e di
accessibilità dei servizi, la digitalizzazione… La pandemia ha dato una ulteriore sfaccettatura,
«riscoprendo» la scala del quartiere, della prossimità. Oltre che a riportare al centro il tema della
salute e del benessere (wellbeing). Per tutti gli anni ‘60 e ‘70, in Italia si affronta un prolifico
dibattito culturale sulle quantità opportune di servizi di cui dotare la città per rispondere alle
esigenze della cittadinanza (la Legge 1150 del 1942 sebbene sancisse la necessità di prevedere le
attrezzature pubbliche, non ne stabiliva le quantità). Decreto interministeriale (DM) n.1444 del
1968 che contiene i cosiddetti standard urbanistici: parametri quantitativi e dimensioni ottimali,
riguardanti le funzioni e le esigenze espresse per abitante da garantire nella costruzione della città. Il
DM (diritto alla città), la Legge “ponte” n.765/67 (diritto al piano) e la Legge n.162/1962 (diritto
alla casa) rappresentano la concretizzazione dell’importante stagione delle riforme portate avanti
per garantire alla popolazione i diritti primari, non negoziabili e inderogabili, come avviene nello
stesso periodo anche negli altri paesi europei, ad esempio in Spagna con la Ley de suelo del 1976.
L’approccio utilizzato è quantitativo, e l’attuazione della città pubblica è demandata al meccanismo
espropriativo.
Il DM 1444/1968
Gli “standard urbanistici” sono dotazioni minime di spazi pubblici, espresse in mq per ogni abitante
insediato e/o da insediare, che devono essere riservate nei piani, sia generali che attuativi.
Rappresentano i minimi inderogabili al di sotto dei quali non sono garantite le minime condizioni di
vivibilità all’interno delle aree urbane. Riferiti a diversi tipi di attrezzature:
- “interesse locale”, direttamente accessibili dagli utenti con percorsi pedonali o comunque in
tempi brevi: “18 mq così ripartiti: 4,5 per asili nido, scuole materne e dell’obbligo; 2 per
attrezzature di interesse comune (culturali, amministrative, religiose, sociali, sanitarie,…);
2,5 per parcheggi pubblici; 9 per il verde, il gioco e lo sport.”
- “interesse generale” localizzati in relazione a bacini d’utenza più vasti: “17,5 mq così
ripartiti: 15 mq di parchi territoriali, 1 mq per attrezzature ospedaliere e di 1,5 mq per
l’istruzione di livello superiore”
Vi sono dotazioni minime differenziate per “zone omogenee” (ambiti di verifica dello standard
urbanistico) • zone A (centro storico) e zone B (di completamento): lo standard può essere
dimezzato
• zone C (residenziali d’espansione) e zone D (produttive): devono essere applicati integralmente gli
standard relativi all’utilizzazione prevalente
• zone E (agricole): sono caratterizzate da uno standard ridotto
• zone F (attrezzature di interesse generale) – standard di livello urbano
Il DM assume che, salvo diversa dimostrazione, ad ogni abitante insediato o da insediare
corrispondano 25 mq di superficie lorda abitabile (pari a circa 80 mc), eventualmente maggiorati di
una quota non superiore a 5 mq (pari a circa 20 mc) per le destinazioni strettamente connesse con le
residenze (commercio di prima necessità, servizi collettivi per le abitazioni, studi professionali,
ecc).
Dagli anni ’90 la “qualità primaria”, legata alla dotazione quantitativa in senso stretto, è oramai
considerata un “prerequisito”. E’ sempre più richiesta dalla popolazione anche una “qualità
complessa”, che integri l’approccio prescrittivo-quantitativo, proprio del DM, con logiche e
meccanismi più flessibili di determinazione dei bisogni dei cittadini, definiti in termini qualitativi e
prestazionali, oltre che quantitativi, sulla base di processi valutativi e concertati, compiuti in sede di
pianificazione locale.
Oltre il DM 1444/1968 verso un approccio prestazionale
Il concetto di prestazione è strettamente connesso a una richiesta dipendente a sua volta da
un'esigenza dell'utente. Le prestazioni richieste ad un oggetto indicano i modi in cui questo risponde
a tali domande; concettualmente l'iter seguito è sintetizzabile nella successione "bisogni-esigenze-
requisiti prestazioni-controlli", cioè a partire dalla consapevolezza di un dato bisogno, lo si
trasferisce in esigenza e quindi in requisito di un oggetto o di un intervento progettuale. Si parla di
prestazione nel definire indicatori esterni e valori di accettabilità per lo svolgimento di una data
attività nello spazio e nell'ambiente interessati. Ciò determina che il servizio pubblico rappresenta
una attività che, in un dato momento storico e in una determinata società e in un dato contesto,
viene percepita come fondamentale per il mantenimento e lo sviluppo della società stessa. Non
esiste una regola valida per tutti, in quanto le variabili in gioco sono molteplici.
I servizi ecosistemici
I servizi ecosistemici sono, secondo la definizione data dalla Valutazione degli ecosistemi del
millennio (Millennium Ecosystem Assessment, 2005), "i benefici multipli forniti dagli ecosistemi al
genere umano". Il Millenium Ecosystem Assessment descrive quattro categorie di servizi
ecosistemici:
• supporto alla vita (come ciclo dei nutrienti, formazione del suolo e produzione primaria),
• approvvigionamento (come la produzione di cibo, acqua potabile, materiali o combustibile),
• regolazione (come regolazione del clima e delle maree, depurazione dell'acqua, impollinazione e
infestazioni), controllo delle
• valori culturali (fra cui quelli estetici, spirituali, educativi e ricreativi).
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Pianificazione Territoriale T
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Pianificazione territoriale
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Appunti di Pianificazione Territoriale - modulo 1
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