STRUTTURA ANATOMICA DELLA RETINA
La retina è una lamina sottile che ricopre la parte posteriore dell’occhio
costituita da ben dieci strati corrispondenti a specifiche tipologie di
cellule nervose, sinapsi, assoni e membrane. La retina ospita dunque una
rete neurale complessa, che viene
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considerata a tutti gli effetti un’estroflessione della parte più interna del
cervello.
Ci concentreremo solo su 2 strati del tessuto retinico:
quello dove sono presenti i fotorecettori
• quello dove troviamo le cellule gangliari
• FOTORECETTORI
I fotorecettori sono le cellule nervose che hanno il compito di trasformare
l’energia luminosa in un segnale neurale
(trasduzione).
Nell’occhio umano, essi sono di due tipi:
i coni, a loro volta divisi in coni di
• tipo C, M ed L
bastoncelli
•
I nomi hanno origine dalla forma di queste cellule viste al microscopio, e
per la precisione, dalla forma del loro segmento esterno, a forma
appunto di coni e bastoncelli, che contiene pigmenti sensibili all'energia
elettromagnetica.
Oltre alla forma coni ebastoncelli differiscono nella sensibilità e nella
gamma dello spettro visibile a cui sono in grado di rispondere.
I bastoncelli: vi è un unico tipo e rispondono in maniera
• particolarmente efficiente a luce di bassa intensità e nella parte
centrale dello spettro. Queste caratteristiche fanno sì che i
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si discernono le forme nel buio ma non si ha visione cromatica né
capacità di vedere dettagli molto fini. Vanno a costituire una specie di
pellicola a bassa risoluzione. Sono sparsi sulla retina, non formano una
matrice di “pixel” densa. Hanno però una sensibilità alta, dunque
rispondo a luci molto deboli.
I coni: ne abbiamo 3 tipi diversi che differiscono per la sensibilità
• spettrale. Dentro il segmento esterno vi è il foto-pigmento, il quale
assorbendo luce in una determinata gamma di lunghezze d’onda, da’
inizio a una cascata di eventi chimici/elettrici che alla fine produce un
potenziale. Viene modulato un potenziale in funzione della luce che è
stata assorbita. Quindi a seconda dello spettro di assorbimento si
distinguono 3 tipologie di coni. I coni sono deputati alla visione diurna
(fotopica), cioè a colori e ad alta definizione ma solo in condizioni di
buona illuminazione.
Normalmente si dice che i coni ci consentono di vedere i colori: questa
affermazione non è propriamente corretta siccome non percepiscono
la lunghezza d’onda ma funzionano più che altro come “contatori” di
fotoni, sanno solo quanti fotoni sono arrivati, producono un segnale
neurale proporzionale ad un’intensità (cioè quanti fotoni ci sono) e
non ad una lunghezza d’onda.
N.B. tutti i fotorecettori sono ciechi ai colori, il colore è una cosa
percepita solo dopo.
(Per completezza, esiste anche una condizione intermedia detta
mesopica in cui sono attivi sia coni che bastoncelli.)
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La disposizione dei fetorecettori
sulla superficie retinica è
ampiamente disomogenea. La
figura mostra come i coni e i
bastoncelli si distribuiscono sulla
superficie retinica. La variabile
sull’asse verticale è una misura
di densità, ossia il numero di fotorecettori per unità di
spazio (un millimetro quadrato). Notate che il numero
sull’asse va moltiplicato per 100.000 (10 elevato alla
quinta potenza). La variabile sull’asse orizzontale è la
distanza, misurata in gradi lungo un arco di cerchio, dalla
fovea. La fovea è un
piccolo avvallamento di forma circolare (il suo diametro è poco più di un
millimetro), che può essere considerato il centro della retina sia dal punto
di vista anatomico (si colloca all’estremo dell’asse ottico, il segmento
ideale che corrisponde all’asse di simmetria dell’occhio) sia dal punto di
vista funzionale (quando muoviamo gli occhi per fissare un oggetto, lo
proiettiamo sulla fovea; il centro del campo visivo pertanto coincide, in
coordinate retiniche, con la fovea). Come si può vedere dal grafico, in
corrispondenza del centro (lo zero sull’asse orizzontale) si ha la massima
densità di coni (è stato stimato che la fovea ne contenga circa 50.000),
mentre non sono presenti bastoncelli. Spostandosi di pochi gradi dalla
fovea, la densità dei coni si riduce rapidamente, e a circa 10 gradi si
stabilizza su un valore piuttosto basso. A questa variazione di densità si
accompagnano altri due fenomeni interessanti. Innanzi tutto, le
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dimensioni dei fotorecettori, che sono minime in fovea, aumentano
spostandosi verso l’anello circostante (la parafovea) e diventano ancora
più grandi verso la periferia. In secondo luogo, nella fovea sono presenti
solo i coni M ed L (quelli impropriamente chiamati «verdi» e «rossi»),
mentre i coni C («blu») fanno la loro comparsa solo al di fuori della fovea.
(E anche questo ci fa riflettere sull’ipotetica immagine retinica, questa
volta in riferimento alla visione dei colori.) La fovea rappresenta l’unica
zona della retina in cui è possibile campionare l’assetto ottico con un alto
potere di risoluzione spaziale. Questo grazie a due caratteristiche
anatomiche: l’alta densità del mosaico recettoriale, e il fatto che le
cellule gangliari che ricevono l’output foveale non stanno davanti ai
fotorecettori ma ai margini dell’avvallamento, il che fa sì che i recettori
foveali siano gli unici esposti direttamente ai raggi luminosi che entrano
nella camera vitrea. Ben diversa è la distribuzione dei bastoncelli. Innanzi
tutto, come si può vedere dal grafico il numero di bastoncelli supera di
gran lunga quello dei coni. Inoltre i bastoncelli non hanno uno ma due
picchi di densità, circa una decina di gradi a lato della fovea (questo è il
motivo per cui di notte non conviene fissare un oggetto se si vuol capire
di cosa si tratti). Infine, i bastoncelli sono massicciamente presenti nella
periferia della retina, dove i coni sono invece relativamente rari.
Ovviamente, né coni né bastoncelli sono presenti in corrispondenza della
macchia cieca (il «buco» nelle curve del grafico a destra della fovea).
12 CELLULE GANGLIARI
Le cellule gangliari sono invece le cellule i cui assoni (le fibre che dal
corpo cellulare conducono gli impulsi nervosi verso altri neuroni) escono
dalla retina per andare a formare il nervo ottico, che invia il
segnale neurale della retina verso il nucleo genicolato laterale, la
struttura sottocorticale intermedia fra la retina e la corteccia.
In sostanza, dunque, i fotorecettori producono un segnale neurale
iniziale, attivato dalla luce visibile che arriva a colpire i loro segmenti
esterni. Le cellule gangliari ricevono questo segnale, variamente
rielaborato nel passaggio attraverso altri strati di cellule, e sono
responsabili dell’ultimo passo dell’elaborazione effettuata dalla retina.
La prima cosa che la luce incontra sulla retina, dopo avere attraversato
la camera vitrea, è proprio lo strato delle cellule gangliari. Deve quindi
attraversare questo strato, e successivamente anche gli altri strati
cellulari, prima di arrivare ai nuclei dei fotorecettori e infine ai loro
segmenti esterni.
La freccia di destra in figura ci fa
vedere che la parte interna dell’occhio
è in basso mentre la parte esterna è in
alto;
Passaggi: la membrana interna
all’occhio, poi c’è uno strato di fibre
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nervose, poi vari strati di cellule gangliari e infine abbiamo strati interni
bipolari,
dove sono presenti diversi tipi di cellule intermedie dette
amacrine e orizzontali. Poi solamente a questo punto troviamo i nuclei
dei fotorecettori di coni e bastoncelli e poi i segmenti esterni che
rappresentano l’epitelio pigmentato che riceve la luce e da cui inizia il
processo di fototrasduzione.
Se ci pensate, già questa sembra una differenza non da poco rispetto alla
pellicola di una macchina fotografica.
Gli assoni delle cellule gangliari si riuniscono in un unico fascio di fibre si
connette successivamente al genicolato. Questo fascio, che forma il
nervo ottico, deve quindi bucare la retina producendo una zona in cui per
costruzione non ci possono essere fotorecettori, la macchia cieca.
LA MACCHIA CIECA
La macchia cieca è perfettamente visibile con un oftalmoscopio
(strumento oculistico per osservare il fondo dell’occhio) e risulta come un
disco bianco al lato della fovea (nella retina nasale) e più grande di
questa. In questa macchia non è possibile l’acquisizione di info visive in
quanto non ci sono fotorecettori.
Dimostrazione: La dimostrazione è disegnata
per l’occhio destro, dove la macchia cieca si
trova a sinistra della fovea (emiretina nasale
destra), quindi non dimenticate di tenere chiuso
l’occhio sinistro! La distanza a cui il disco grigio
chiaro scompare dovrebbe essere all’incirca di
una ventina di centimetri (dipende dalle dimensioni della figura sul
libro). Localizzare in questo modo la propria macchia cieca è
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interessante, ma ancora più interessante è riflettere su quello che si
percepisce quando gli elementi che cadono sulla macchia cieca
diventano invisibili: sembra,
rispettivamente, che ci siano solo due dischi invece che tre, su uno
sfondo omogeneo bianco; e che ci sia una sola barretta nera senza
interruzioni. Si tratta di un primo esempio di un fenomeno che gli studiosi
completamento modale
di percezione visiva chiamano .
Nel produrre il percetto, il sistema visivo completa la parte mancante e la
parte mancante viene percepita con le qualità fenomeniche che sono
proprie della modalità visiva: hanno un colore e, nel caso della barretta,
sono delimitate da contorni. Sono, in altre parole, fenomenicamente
equivalenti al percetto che si avrebbe in presenza di un autentico sfondo
bianco o di una autentica barretta completa. Si potrebbe quasi dire, il
cervello ha riempito i “buchi”, o meglio, le zone da cui è assente
informazione, del segnale codificato dalla retina. E lo ha riempito in
maniera per così dire intelligente, tenendo conto dell’informazione di
contesto.
Le fibre che escono dalla retina, riunite a formare il nervo ottico,
rimangono infatti segregate in base all’origine nasale o temporale del
segnale.
Possiamo suddividere ciascuna retina in due metà, rispetto a una linea
mediana:
emiretina nasale
• emiretina temporale
•
Il campo visivo viene diviso dal meridiano verticale in:
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