vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
X
N : numero dei lavoratori
L
POP: popolazione totale
Il rapporto spesa pensionistica/PIL può essere sviluppato in 4 componenti:
numero pensionati / numero di anziani → indice di eleggibilità (fattore istituzionale) = ci
dice quanti, tra coloro che hanno raggiunto l’anziana età possono andare in pensione o sono
in pensione. Questo numero può essere ridotto aumentando l’età pensionabile.
numero di anziani / popolazione → indice di dipendenza (fattore demografico) (i demografi
però definiscono come indice di dipendenza il rapporto tra popolazione non in età di lavoro
e popolazione in età di lavoro). Per diminuire l’indice di dipendenza bisogna aumentare il
denominatore, quindi ad esempio è possibile incentivare le nascite (con contributi, congedi
parentali) ma questo metodo è di lungo periodo; conviene aprirsi all’immigrazione.
popolazione / numero di lavoratori → inverso del tasso di occupazione (fattore economico).
Per aumentare l’indice di occupazione e quindi diminuire questo rapporto, non esiste una
politica occupazionale che vada bene per tutti; ci sono delle aree/età/generi altamente
occupabili ed altre viceversa. Generalmente le fasce più difficilmente occupabili sono le
donne, i giovani e nell’area del sud. Il tasso di occupazione generale sulla popolazione è
poco più del 50%. Bisognerà quindi fare delle politiche mirate e sensate. Per aumentare
l’occupabilità delle donne bisogna dare dei contributi per rendere loro possibile la gestione
della vita famigliare, diminuire il gender gap ecc.
(spesa pensionistica / numero di pensionati) / (PIL / numero lavoratori) → tasso di
sostituzione (indicatore di sostenibilità). Questo tasso diminuisce cambiando la formula del
calcolo delle pensioni.
Benefici immediati → aumentare l’età pensionabile e cambiare la formula di calcolo delle pensioni.
Benefici di lungo periodo → favorire l’occupabilità delle persone e attuare politiche per attrarre
lavoratori dall’estero o aumentare le nascite.
4. Costi di Transizione
E’ facile o difficile passare da un sistema a ripartizione a un sistema a capitalizzazione (o
viceversa)? Se fosse facile non ci sarebbe alcun problema. Nella realtà non è così.
Da CR a PAYG → immaginiamo che un gruppo di individui siano all’ultimo anno di lavoro e
abbiano fino a quel momento versato i contributi in un loro fondo pensionistico, mentre un altro
gruppo ha appena iniziato a lavorare. Se lo stato cambia da CR a PAYG i giovani lavoratori
pagheranno i contributi per coloro che sono appena andati in pensione. I neo pensionati quindi
avranno una pensione doppia; questo è il pasto gratis (=si ottiene un beneficio senza avere mai
pagato per averlo).
Da PAYG a CR → i neo pensionati hanno per tutta la vita versato contributi in un sistema a
ripartizione; se lo Stato decide di cambiare da un sistema a ripartizione ad uno a capitalizzazione, i
neo lavoratori cominciano a contribuire per la costituzione del proprio fondo pensionistico, mentre
chi è appena andato in pensione non avrà nessuno che paga per la sua pensione.
Emerge il cosiddetto conto del pasto gratis, ovvero il debito pensionistico implicito: lo Stato quando
aveva un sistema a ripartizione, si era assunto un onere con i lavoratori, aveva promesso che
qualcuno avrebbe pagato la pensione degli allora lavoratori; questa promessa non è un’obbligazione
contabile, ma di fatto costituisce un debito pensionistico implicito, ovvero l’ammontare di tutte le
promesse pensionistiche fatte ai lavoratori e che devono essere onorate dallo Stato. Per uscire da
questa situazione, bisognerà richiedere ai nuovi lavoratori almeno per il periodo iniziale di pagare
una doppia contribuzione. È quindi estremamente costoso, dal punto di vista finanziario e politico,
passare da un sistema a ripartizione ad uno a capitalizzazione.
Transizione da capitalizzazione a ripartizione → Italia (dal dopoguerra in poi)
Transazione da ripartizione a capitalizzazione → Cile (nel 1981). Nel ‘73 c’è stato un colpo di
stato; il Presidente è stato giustiziato ed è entrata una dittatura militare, che progressivamente fa
arretrare lo stato da tutti gli ambiti economici in cui era coinvolto e passa alla privatizzazione di un
sacco di attività, tra cui anche il sistema pensionistico. Il ministro del lavoro del governo di quegli
anni aveva studiato alla Scuola di Chicago (particolarmente rinomata perché piena di economisti
che sostengono il ruolo del mercato e non dello stato). Il sistema pensionistico viene cambiato il 1
maggio 1981, e prevede il passaggio da un sistema pensionistico pubblico a ripartizione ad un
sistema privato a capitalizzazione, con la promessa che questo avrebbe aiutato l’economia e che le
pensioni sarebbero state adeguate. Eccezioni: per i membri dell’esercito venne mantenuto il sistema
a ripartizione. Vi erano alcune regole di adesione al nuovo sistema:
chi era già in pensione avrebbe mantenuto la sua pensione (si garantiva il sistema a
ripartizione per loro);
chi già lavorava poteva decidere se rimanere nel sistema a ripartizione o effettuare il
passaggio al sistema a capitalizzazione (in questo caso i contributi già versati sarebbero stati
riconosciuti attraverso il conferimento di titoli di Stato);
chi invece non aveva ancora iniziato a lavorare era obbligato ad aderire al nuovo sistema.
Una transizione di questo genere è molto costosa, dal punto di vista politico e finanziario. Essere in
una dittatura aiuta a favorire una riforma, quindi dal punto di vista politico non è stata trovata una
grande opposizione. Dal punto di vista economico invece, la ricetta utilizzata prevede 5 strumenti:
1. privatizzazioni = il governo ha iniziato a dismettere le aziende pubbliche e i settori in cui lo
stato era coinvolto (questo ha portato ad avere dei disavanzi di bilancio, il debito pubblico è
stato annullato). Le privatizzazioni forniscono le prime risorse per la transizione.
2. tassa di transizione temporanea = l’aliquota contributiva previdenziale era scesa ad un
livello del 10%, più un altro 10% facoltativo. Per i primi anni il contributo obbligatorio era
pari al 14%. Questa era una sorta di doppia contribuzione: il 10% era destinato al proprio
fondo di contribuzione, mentre il 4% serviva a finanziare la transizione, ovvero le pensioni
di chi ha pagato contributi nel precedente sistema a ripartizione.
3. debito pubblico = è stato creato un rapporto debito pubblico/PIL fino al 40%.
4. tagli = ulteriori tagli alle spese pubbliche.
5. maggiori entrate = il fatto di avere stipendi aumentati, perché l’aliquota contributiva era
scesa, permetteva un aumento dei consumi e quindi anche delle entrate dello stato, che sono
utilizzate poi per finanziare questa transizione.
La Redistribuzione per genere nei Sistemi a Ripartizione
Ipotizziamo due individui, Antonio e Beatrice, con la stessa carriera (40 anni di lavoro e contributi)
e stesso profilo salariale.
Metodo di calcolo retributivo
Esempio 1→ Antonio e Beatrice hanno entrambi coefficiente di rendimento del 2%, il tasso di
sostituzione è uguale per entrambi e pari all’80% (equità previdenziale rispettata). Anche la
pensione cui hanno diritto sarà la stessa. L’unica differenza tra i due individui è il genere: Beatrice
ha un’aspettativa di vita superiore (a 65 anni sarà di 20 anni) mentre a 65 anni, Antonio avrà
un’aspettativa di 15 anni. Quindi l’ammontare totale dei benefici pensionistici sarà superiore a
Beatrice rispetto che ad Antonio. Beatrice prenderà 5 anni di assegni in più a parità di contributi.
Esempio 2 → Antonio e Beatrice hanno la stessa carriera lavorativa, stessi anni di lavoro, stesso
salario ecc. Ma Antonio ha 65 anni quando va in pensione, perché ha iniziato a lavorare a 25,
mentre Beatrice ha iniziato a lavorare a 15 quindi avrà 55 anni quando andrà in pensione.
Qui Beatrice si porterà a casa il doppio dei contributi pensionistici di Antonio, a parità di tutte le
altre condizioni.
È evidente che un sistema pensionistico a ripartizione con metodo di calcolo retributivo
redistribuisca a favore delle donne, perché a parità di condizioni le donne hanno
un’aspettativa di vita superiore. Questo è vero sempre, a maggior ragione se una donna può
andare in pensione prima. Questo sistema non favorisce le donne in quanto donne, ma in quanto
abbiano un’aspettativa di vita superiore.
Metodo di calcolo contributivo
Esempio 1 → Antonio ha 65 anni, Beatrice ha 55 anni (perché ha iniziato a lavorare a 15 anni). Qui
non contano più semplicemente gli anni di lavoro diventa importante l’ammontare dei contributi
versati e l’aspettativa di vita al momento del pensionamento. A parità di condizioni, i due avranno
accumulato lo stesso ammontare di contributi, hanno accumulato lo stesso Montante Contributivo
Fittizio, pari a 150.000€. Questi contributi fittizi accumulati con il metodo di calcolo contributivo,
vengono resi uguali al valore attuale delle pensioni; quest’ultimo però, dipende da quanti anni ci si
aspetta che si prenda la pensione. Antonio, andando in pensione a 65 anni, in media prenderà la
pensione per i successivi 15 anni; Antonio quindi avrà diritto ogni anno ad 1/15 della cifra
fittiziamente accumulata. Beatrice invece andando in pensione a 55 anni, prenderà in media una
pensione per i prossimi 30 anni; Beatrice quindi avrà diritto ogni anno ad 1/30 della cifra
fittiziamente accumulata.
Con questo metodo di calcolo contributivo, entrambi portano a casa il totale del MCF versati, ma
Antonio in 15 anni e Beatrice in 30, quindi la pensione di Beatrice sarà la metà di quella di Antonio.
Il metodo di calcolo contributivo è neutrale rispetto al genere, anche se va a sfavore delle donne.
Per ovviare a questo problema e redistribuire a favore delle donne, è possibile utilizzare
l’aspettativa di vita media per la popolazione e non un’aspettativa di vita per genere. In questo
modo si torna a redistribuire in maniera discrezionale (lo stato impone un’aspettativa di vita unica
per tutti) a favore delle donne.
In Italia è in vigore un sistema pensionistico pubblico a ripartizione con metodo di calcolo
contributivo, con utilizzo dell’aspettativa di vita media.
La redistribuzione per reddito e aspettativa di vita
Fin’ora abbiamo parlato di aspettativa di vita e di genere come due aspetti collegati, ma l’aspettativa
di vita dipende dalla salute, e la salute dipende dal reddito. Utilizzare l’aspettativa di vita media
della popolazione, vuol dire che l’uomo redistri