Come si può notare il tempio si conserva relativamente bene. Certo è frammentato ma tali frammenti,
tutti presenti, ne permettono una corretta ricostruzione.
Dalle fonti sappiamo che il tempio è opera di un architetto dell’Elide, Libone di Elis. La data di
costruzione si colloca presumibilmente intorno al 472 a.C., data di una delle ricorrenze olimpiche. Si
pensa che possa essere stato completato negli anni 60. Certamente nel 454 a.C. era integralmente
compiuto perché gli spartani appendono alla sommità del frontone uno scudo d’oro per celebrare la
vittoria della battaglia di Tanagra. LEZIONE N.2 17 ottobre 2019
Del tempio si conserva moltissimo. Le colonne in crollo sono praticamente integralmente conservate,
possono essere rimontate come è stata rimontata questa colonna in anni recenti. I frammenti ci danno
informazioni importanti sull’edificio perchè ce ne consentono una ricostruzione sicura. Il materiale
utilizzato è un calcare locale (nel Peloponneso non c’è molto marmo).
- IMPIANTO PLANIMETRICO
Presenta caratteristiche peculiari dell’ordine dorico della madrepatria.
Tempio di Zeus a Olimpia. Planimetria.
La tipologia è quella tradizionalmente monumentale dei tempi dorici della madrepatria, quella che si
chiama periptero esastilo. Periptero poiché vi è un giro di colonne intorno alla cella, esastilo perché sui
lati brevi le colonne sono sei.
All’interno di questo giro di colonne vi è una cella tripartita che prende il nome di naos. Avanti ad essa vi
è il pronaos, una sorta di vestibolo che introduce alla cella, replicato simmetricamente sul retro, a creare
una simmetria bilaterale, in quello che noi chiamiamo opistodomo.
Questa soluzione architettonica, del pronao e dell’opistodomo, è definita distilo in antis perché la
terminazione dei muri longitudinali è caratterizzata della presenza delle ante e poiché vi sono due colonne
tra le ante il termine corretto è distilo (due colonne tra le ante). La cella è tripartita da due file di colonne
interne (sette colonne disposte su due ordini sovrapposti) che contribuiscono a sostenere la copertura
dell’edificio. Al centro sul fondo della cella la base della statua di culto, in questo caso la statua di Zeus
realizzata da Fidia con materiali eterogenei (crisoelefantina, parte in avorio parte in tessuto parte in oro)
seduta sul trono, la cui altezza raggiungeva 12 metri (vuol dire una palazzina di quattro piani). Vi sono
due scale che permettono l’accesso al ballatoio superiore al fine di conservare meglio la statua.
L’accesso è verso oriente. L’altare è sempre di fronte alla fronte del tempio e prevede che il sacerdote dia
le spalle al tempio e sacrifichi guardando verso oriente. La fronte del tempio è genericamente, per i culti
più diffusi esposta a oriente. E l’ingresso prevede una rampa, caratteristica tipica del Peloponneso.
Tutte le colonne e i muri della cella posano su una superficie che prende il nome di stilobate. Non è un
piano, che non è al livello del terreno ma sopraelevato mediante un nucleo bordato da gradini. Tre gradini
elevano il tempio rispetto all’altis circostante, che prendono il nome di crepidine. Il nucleo interno dei
gradini, la massa di blocchi che costituisce il basamento, prende il nome di crepidoma.
Le colonne a questa data sono quasi equidistanti tra di loro. L’interasse sulla fronte e sui lati è quasi
uguale. Tradizionalmente in età arcaica l’intercolumnium dei lati brevi è maggiore di quello dei lati lunghi,
in età classica si equivalgono, unificandosi. In questo tempio sopravvive ancora la prevalenza dei lati
brevi però si va verso l’unificazione della misura dell’interasse.
LEZIONE N.2 17 ottobre 2019
Non possiamo dire comunque che tutte le colonne sono equidistanti perché quelle disposte vicino gli
angoli sono più ravvicinate delle altre. Questo problema è legato a delle problematiche intrinseche alla
stesse regole che presiedono all’organizzazione dell’ordine dorico, regole molto rigide che giungono in
alcune occasioni a determinare dei conflitti. Questo ravvicinamento che prende il nome di contrazione
angolare è l’esito di quello che si chiama conflitto angolare.
Laddove l’interasse è maggiore, è maggiore il diametro delle colonne. È abbastanza comprensibile,
laddove il carico da sostenere è maggiore le colonne sono più massicce. Questo soprattutto in età arcaica
quando gli interassi sono diversi.
In età classica quando si tende all’unificazione degli interassi le colonne presentano gli stessi diametri,
salvo eventualmente la colonna ad angolo può averlo maggiorato.
La posizione del nucleo della cella all’interno della peristasi apparentemente non ha una regola,
comunque si può notare una certa correlazione tra peristasi e cella nella realtà. Possiamo dire che solo
nella madrepatria e solo nell’ordine dorico, il filo esterno dei muri longitudinali corrisponde con l’asse della
seconda e quinta colonna dei lati brevi. Questa correlazione comporta una relativa regolarità
dell’inserimento del nucleo della cella all’interno della peristasi.
Diversamente per i lati lunghi possiamo dire che la fronte dell’opistodomo e del pronao cadono in un
punto intermedio ma non definito con chiarezza tra la seconda e terza colonna e tra la terzultima e
penultima colonna. La fronte del pronao si avvicina maggiormente alla terza colonna mentre nel caso
dell’opistodomo si avvicina piuttosto alla penultima colonna. Quindi questo spazio è tendenzialmente
maggiore davanti al pronao piuttosto che davanti all’opistodomo. Ma non vi è una regola esatta che ci
dica dove devono essere posizionate le fronti. Proprio questa mancanza di regole ha fatto parlare di
galleggiamento del naos per indicare che quest’ultimo ha una posizione indefinita.
Un’altra osservazione. Questo galleggiamento del naos fa sì che le ante che sono la terminazione dei muri
longitudinali si presentano planimetricamente asimmetriche perché il risvolto verso l’interno dell’alta deve
essere necessariamente uguale al diametro della colonna, perché qui c’è un architrave che passa sulla
fronte del pronao e un architrave che passa sulla fronte dell’opistodomo. La colonna e l’anta sostengono
lo stesso architrave che ha una determinata ampiezza e quindi questa misura interna è determinata
sostanzialmente. Diversamente all’esterno non vi è corrispondenza con la colonna, non vi è un architrave
passante. Vi sono travetti posti molto in alto più piccoli e più leggeri. Quindi la mancata corrispondenza fa
sì che il risvolto dell’anta qui sia più breve per cui l’anta dorica tradizionalmente ha una planimetria
asimmetrica.
Questa zona presenta un clima molto secco. Per fronteggiare questo davanti alla statua di zeus era stata
realizzata una vasca riempita di olio con il quale si ungeva l’avorio della statua per evitare che si
fessurasse. Decorazioni del pronao sono costituite da questo mosaico a ciottoli, con meandro. Il colonnato
interno alla cella vedremo poi che si sviluppa su due ordini sovrapposti ed è una struttura abbastanza
complessa.
- L’ELEVATO
Di questo colpiscono molti aspetti. Potremmo mettere a confronto una architettura dorica e una ionica per
capire quanto distanti siano. Dorico e ionico sono molto distanti tra di loro. Sono espressioni di due lingue
molto poco confrontabili. Nel caso del dorico emergono alcuni dati oggettivi: colonne molto massicce
sorreggono una trabeazione anch’essa molto pesante, che ha una misura tale da essere ottenuta due
volte o poco meno di tre volte nell’altezza di una colonna di un tempio classico, come in questo caso, e
poi naturalmente le terminazioni dei lati brevi con i frontoni e con la decorazione che nel mondo della
madrepatria si viene a disporre all’interno del frontone. Decorazione scultorea, che è presente nei
frontoni ma che può essere presente anche sulle metope.
Non è pensabile scindere l’architettura del tempio dalla scultura del tempio. Gli architetti erano
sostanzialmente degli scultori. Il tempio va preso nel suo insieme. La scultura è parte integrante del
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tempio e quindi una valutazione dell’edificio che scindesse da queste due componenti è impropria oltre
che errata.
Naturalmente il tempio ha dei significati che vengono espressi attraverso le dimensioni, le proporzioni e i
materiali e significati che vengono trasmessi in maniera ancor più facile attraverso le sculture. Vi è
sempre un messaggio che viene trasmesso. Se il dorico è la lingua dell’architettura greca della
madrepatria, vuol proprio comunicare qualcosa. Il tempio racconta una storia.
In questo caso la celebrazione attraverso il mito della legittimità del potere dell’Elide sul santuario di
Olimpia, che originariamente era sotto il controllo della Pisalide.
Il mito raccontato nel frontone. Pelope, inizialmente viveva nella terra lasciata dal padre, la Paflagonia,
dove governava con giustizia sia la Frigia sia la Lidia. Costretto da un'invasione di barbari, intraprese un
viaggio attraverso la Grecia alla ricerca di un regno da governare. Giunse quindi alla corte del re Enomao.
Questi, re di Pisa (in Elide) e figlio del dio Ares, non aveva mai acconsentito a concedere la mano della
figlia Ippodamia ai giovani che la corteggiavano perché un oracolo gli aveva predetto che sarebbe morto
per mano del proprio genero. Enomao possedeva dei cavalli divini, Psilla (pulce) e Arpinna (razziatrice),
perciò, sapendo di non poter essere mai battuto, proponeva ai pretendenti della figlia di gareggiare con
lui in una corsa di carri: se avessero vinto, avrebbero sposato Ippodamia; in caso contrario sarebbero
stati uccisi. Già tredici giovani avevano perso la vita (Pausania elenca diciotto nomi). Quando Pelope
arrivò a Pisa con un carro leggerissimo munito di cavalli alati datigli da Poseidone, vide Ippodamia e se ne
innamorò.
Terrorizzato però dalla vista delle teste inchiodate alle porte del palazzo d'Enomao e mozzate agli
sfortunati pretendenti, decise di vincere la gara slealmente: corruppe Mirtilo (figlio di Hermes, auriga del
sovrano e anch'egli infatuato di Ippodamia), promettendogli che non appena avesse vinto la corsa, gli
avrebbe permesso di passare una notte con la principessa. Mirtilo, accettando l'offerta di Pelope, tolse i
perni degli assali del carro di Enomao e li sostituì con dei pezzi di cera; durante la corsa le ruote si
staccarono, il carro si rovesciò e Enomao morì. Successivamente Pelope, certamente geloso dell'amore
d'Ippodamia, annegò l'auriga che, in punto di morte e invoc