Le Piccole Dionisie o Dionisie rurali, infine, si
svolgevano all’inizio dell’estate. In occasione delle
Grandi Dionisie, verso il 535 furono istituiti gli agoni
tragici a cui seguirono, nel 508 gli agoni ditirambici e dal
486 gli agoni comici.
Nel V secolo agli agoni tragici prendevano parte tre
tragediografi e ognuno di loro portava in scena una
tetralogia mentre agli agoni comici partecipavano cinque
commediografi che portavano in scena una commedia
ciascuno.
La nascita del teatro veniva associata, in maniera a volte
confusa, al culto di Dioniso ma il rapporto del dio con il
teatro è vago e, allo stesso tempo, molto articolato.
Dioniso era un dio della natura in particolare della vite e
della vinificazione che presiedeva a riti orgiastici eseguiti
soprattutto da donne; questi riti includevano musica e
manifestazioni di trance ed erano praticati in alcune zone
della Grecia anche in epoca storica.
Probabilmente il legame tra Dioniso e gli spettacoli
teatrali ad Atene ha come fondo la connessione delle
manifestazioni teatrali primitive con feste agricole della
vegetazione, durante le quali si praticavano forme
imitative con finalità rituali Ma sorge spontanea la
domanda se veramente il teatro, in particolare la tragedia,
siano da correlare ai riti religiosi in onore di Dioniso. In
alcune fonti antiche è possibile trovare un collegamento,
più o meno esplicito, tra l’origine del teatro e i riti
dionisiaci.
Tra queste fonti basta citarne alcune per comprendere
questo tipo di correlazione. Per sempio Orazio, nell’Ars
Poetica 275-280, collega l’invenzione del genere tragico a
Tespi il quale fa salire sul suo carro degli attori che
cantavano con il viso sporco di mosto; secondo la
leggenda, Tespi sarebbe nato a Ikarion, un piccolo borgo
vicino ad Atene, dove Dioniso avrebbe svelato per la
prima volta il vino agli uomini. Anche dalle notizie
provenienti da una cronaca epigrafica di età ellenistica (
Marmor Parium, FGrHist 239 A 43) e dal lessico bizantino
del X secolo d.C. (Suda) si evince cheTespi fu il
vincitore del primo concorso tragico svoltosi ad Atene,
durante le Grandi Dionisie tra il 535 e il 533 a.C. In
Plutarco , nel De divitiarum cupidine si evidenziano dei
riferimenti alle feste dedicate a Dioniso che mettono in
risalto delle peculiarità popolari tipiche della ritualità
dionisica.
La stessa cosa dicasi per Evanzio; nel suo trattatello De
comoedia vel de fabula il grammatico esterna che i generi
drammatici, tragedia e commedia, sarebbero di
derivazione religiosa; si descrive infatti un caprone che
veniva fatto girare attorno ai fuochi sacri da un sacer
chorus che danzava e cantava un carmen in onore del Pater
Liber. Il grammatico Diomede, rievoca il capro e le feste
del Pater Liber, riproponendo una correlazione tra la
tragedia e il τράγος, collegandolo al praemium cantus che
sarebbe consistito proprio nell’animale ritualmente
sacrificato a Bacco, in quanto – ut Varro ait – i caproni
«si cibano della vite». Servio (IV secolo d.C.) in un
commento alle Georgiche correla i primi ludi theatrales alle
feste in onore di Libero identificando nei veteres ludi le
Dionisie.
Altre fonti negano la connessione del teatro, in
particolare della tragedia, con i riti dionisiaci; un esempio
è il proverbio riportato nella Suda:“ nulla a che fare con
Dioniso”; secondo la Suda, nel passaggio dal satyrikon
alla tragedia sarebbe andata smarrita l’originaria
ispirazione dionisiaca. Plutarco riporta un’altra versione
del detto affermando che Frinico ed Eschilo avevano
lasciato Dioniso per dedicarsi a “storie ed eventi”.
Aristotele, in un passo della Poetica (1449a 9 ss) afferma
che tragedia e commedia sono frutto
dell’improvvisazione nel contesto delle feste dionisiache
in particolare ditirambo e cori fallici; secondo Aristotele,
la tragedia non è un’evoluzione del ditirambo, ma parla
esplicitamente di una “improvvisazione” degli
exarchontes del ditirambo (canto in onore di Dioniso).
Quindi c’è stato un momento in cui un cantore, in virtù
di un’intuizione improvvisa, ha smesso di narrare storie
degli eroi in terza persona ed è passato a identificarsi lui
stesso con un eroe, esprimendosi in prima persona in un
dialogo con il coro. Allo stesso modo, per quanto
riguarda la commedia, Aristotele parla di
improvvisazione di exarchontes, però in questo caso non
più del ditirambo, ma dei cori fallici. Venivano fatte
processione falliche (falloforie) in onore di Dioniso, in
cui veniva trasportato ed esibito ritualmente un fallo di
legno per scopi di fecondità o per allontanare gli spiriti
maligni. Queste cerimonie erano accompagnate da canti
in onore del dio e da battute e scherzi osceni verso i
presenti. Ancora una volta, dall’interazione tra un solista
e un coro si accese la scintilla dell’azione drammatica.
Quindi viene meno l'ipotesi ritualistica sull'origine della
tragedia greca; le feste in onore del dio
rappresenterebbero una sorta di incubatrice entro cui
nascono e si sviluppano, man mano, i generi tatrali. Il
teatro e la tragedia in particolare si distaccano dal rito
perché trattano di “miti”, trame di vita e di azioni, storie
ed eventi e si assiste ad una rottura rispetto ai temi
dionisiaci che costituivano il repertorio dei satirikà.
Diogene Laerzio (II-III sec. d.C.) nella Vita dei filosofi
accomuna l’evoluzione della filosofia a quella della
tragedia nel passaggio tra VI e V secolo a.C.; da una
filosofia della natura si arriva, con Platone, alla filosofia
del logos, la dialettica. Questo tipo di evoluzione
Diogene la riscontra anche nella tragedia; se agli arbori
l’azione drammatica era affidata al coro, con Tespi venne
introdotto un attore, un personaggio che utilizzava il logos
come strumento drammatico.
Con Eschilo e poi con Sofocle la parola assume una
importantissima funzione performativa; da forme
unicamente liriche si passa al trimetro giambico, una
forma più vicina al parlato. Per Aristotele il poeta tragico
utilizza il mito come trama e quindi anima della tragedia;
il mito rappresenta la struttura entro cui si inseriscono
tutta una serie di elementi: personaggi; stile, concetto,
spettacolo e musica.