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ISABELLA D’ESTE
Nipote di Lionello e Borso d’Este, Isabella sposò Francesco Gonzaga nel 1489 e da Ferrara si trasferì a
Mantova, trasformando la città in un polo di attrazione culturale per letterati e artisti. Isabella ereditò la
passione per le arti dai genitori, Ercole d’Este ed Eleonora d’Aragona. Dal 1491 concentrò i suoi sforzi
nella creazione dello studiolo e di altri ambienti della sua residenza, per la cui decorazione chiamò i più
rinomati artisti del suo tempo. Nell’archivio dei Gonzaga, che ci è pervenuto, possiamo attingere a una
ricchissima corrispondenza, che permette di far luce sulla sua passione collezionistica. Abbiamo
inoltre l’inventario del 1542 redatto da Odoardo Stivini oggi conservato all’Archivio di Stato di
Mantova.
Tiziano, Ritratto di Isabella d’Este, 1534, Vienna, Kunsthistorisches Museum
Isabella d’Este, ritratto di Tiziano, nipote degli autori dello studio di Belfiore. Da Ferrara va a Mantova, e
trasforma la città in un polo di attrazione culturale per letterati e artistici.
Serie di ambienti destinati a raccogliere la sua grande collezione, noi abbiamo inventari ed epistolari
che raccontano molte cose, ma non abbiamo più la collezione, solo parti sparpagliate in vari musei,
ipotesi di ricostruzione, a ora a Mantova ambienti vuoti.
Inoltre inventario
Inizialmente Isabella colloca la sua ricca collezione di arte antica e moderna nel Castello di San
Giorgio, in due ambienti collocati l’uno sopra l’altro: in alto lo studiolo, in basso la cosiddetta
«grotta». Di questi ambienti ci resta oggi la ricca volta a botte lignea della «grotta» e le tarsie, che
decoravano gli armadi all’interno dei quali erano custodite le preziose gemme.
Nel 1519, dopo la morte del marito, Isabella si trasferì in Corte Vecchia, dove allestì di nuovo la
grotta e lo studiolo, oltre a due «camerini». Nello studiolo vennero collocati i dipinti, oggi al Louvre,
che celebravano temi allegorici, in particolare quello della contrapposizione fra vizio e virtù.
Le opere che decoravano la reggia di Mantova furono vendute in blocco nel 1627 da Vincenzo II
Gonzaga al re Carlo I d’Inghilterra.
Prima collocazione dello studiolo, ce ne sono 2 diverse in varie fasi cronologiche e degli ambienti
limitrofi, che costituiscono gli appartamenti della duchessa. Prima nel Castello di San Giorgio, ambienti
uno sopra l’altro studiolo e cosiddetta “grotta”.
Oltre a bronzi antichità, opere d’arte all’antica, raccoglieva anche grande numero di quadri e gioielli.
Dopo la morte del marito, il quale non aveva grande interesse culturale.
In queste casate nobiliari hanno spesso personaggi molto discutibili che portano alla rovina delle opere.
La “Grotta” di Isabella d’Este a Mantova Il giardino segreto di Isabella a Mantova
Il giardino segreto, concepito come sorta di prolungamento degli spazi della collezione.
Studiolo, grotta, due camerini, poi non bastano e c’è espansione in altre stanze.
Importante tema del giardino perché di lì a poco vedremo il cortile ottagono del Belvedere all’interno dei
Musei vaticani, allo stesso tempo luogo ddi passeggio e esposizione dei grandi marmi antichi. Idea di
estroflessione e espansione della collezione in uno spazio aperto è elemento tipico dell’immaginario e
collezionismo rinascimentale.
Lo studiolo di Isabella a Mantova. Stato attuale
Studiolo ora
Lo studiolo di Isabella a Mantova. Ricostruzione virtuale
Ricostruzione virtuale per vedere la collocazione, lei aveva commissionato ad alcuni dei più famosi
Dettaglio di alcune opere.
Lorenzo Costa, Allegoria della corte di Isabella d’Este, tempera e olio su tela, Parigi, Louvre
Perugino, tema voluto da Isabella del rapporto tra vizi e virtù, legato al matrimonio, che s trova in
diverse tele.
Pietro Perugino, Lotta fra Castità e Amore, 1503, tempera su tela, Louvre
Lorenzo Costa, Il regno di Como, 1511, tempera su tela, Louvre.
Probabilmente ispirato dall’umanista Paride da Cesarara, il dipinto rappresenta il regno ideale di
Isabella d'Este, paragonato a quello del dio Como, protettore dell'allegria e delle feste.
Anche qui c’è umanista, Paride da Cesarara, aveva ispirato tema complesso.
Mantegna, Minerva che caccia i vizi, 1502 ca., tempera su tela, Louvre
Mantegna, Il Parnaso, 1497, tempera su tela, Louvre
Mantegna, che non godeva in realtà di particolare stima della duchessa, perché a lui preferiti pittori più
alla moda, questione e volontà sua di aprirsi a pittori più del momento, come Perugino e Bellini, si vede
nelle sue lettere. Il secondo però non realizzò tutto.
Mantenere alcune delle lettere, corrispondenza tra Isabella e mercanti suoi intermediari, a volte di
spicco come Bembo, che dialogano on lei e cercano di procurarle opere per il suo studiolo. Abbiamo
ricchissima documentazione d’archivio, per entrare dentro una delle vicende collezionistiche del
rinascimento.
Lettera di Isabella d’Este a Michele Vianello, Mantova, 27 giugno 1501
Messer Michele. Se Zoanne Bellino fa tanto male volentieri quella istoria, come ne aveti scripto, siamo
contente remetterne al judicio suo, pur chel dipinga qualche istoria o fabula antiqua et de bello
significato: haveremo ben charo che sollecitati chel gli dii principio: acio che al termine che l’ha tolto, et
più presto sel serrà possibile la habiamo: la mesura del quadro non è mutata dappoi che vui foste qua,
et vedesti il loco dove se havere da ponere, nondimeno per magiore secureza ve mandiamo un’altra
volta la mesura et sopra ciò ve scriverà Zoan Cristoforo nostro scultore.
Italiano con dettagli del nord.
Giudizio suo – di Giovanni Bellini, sollecitare che inizi subito. Dalle lettere viene fuori questione
rilevante, che all’altezza di inizio 500, es. artista come Bellini poteva tenere testa alla duchessa di
Mantova. Bellini non vuole fare certe storie, lei dice di fare quello che vuole.
Qui si entra nella specificità anche del Rinascimento italiano, in nessun altro contesto, non esiste
apporto analogo, non esiste da altre parti d’Europa, è caratteristica precipua del rinascimento italiano,
entrare in dinamiche collezionistiche interessanti.
Lettera di Isabella d’Este a Paride da Cesarara, Mantova, 15 novembre 1504
Messer Paris. La inventione vostra non ne potria più piacere come fa. Laudamo la prompteza et
gallanteria del l’ingegno vostro et commendavomi de la diligentia et presteza usati in servirmi.
Desideraressimo essere cossì bene servite da li pictori, ma el desiderio seria vano; bisogna che
acceptamo da loro quello che voleno o scianno. Per fare schizzare questa fabula a vostro modo,
mandarimo lì a vui uno pictore aciò ch’l Bolognese [Lorenzo Costa] non possi errare. Benevalete.
Loda all’inizio Paride, lui risponde subito a differenza dei pittori. Rafforza l’idea dei pittori di prima.
Lettera di Pietro Bembo a Isabella d’Este, Venezia, 1 gennaio 1505
Il Bellino, col quale sono stato questi giorni, è ottimamente disposto a servire V. E. ogni volta che le
sieno mandate le misure o telaro. La invenzione, che mi scrive V. S. che io truovi al disegno, bisognerà
che l’accomodi alla fantasia di lui chel ha a fare, il quale ha piacere che molto signati termini non si
diano al suo stile, uso, come dice, di sempre vagare a sua voglia nelle pitture, che quanto in lui
possano soddisfare a chi le mira. Tutta volta si procaccerà l’uno et l’altro. Oltre a ciò, perché la molta
mia devozione e servitù verso V. E. mi dà ardire di così fare, pregherò la sua buona mercè di cosa che
molto mi è a cuore, con tanta speranza d’esser ora da lei exaudito, quanto io sempre tengo desiderio di
servirla […]
Lettera a Pietro Bembo
Bellini non ha piacere che si diano limiti alla sua fantasia, al pittore viene lasciata libertà, lui la rivendica
e ottiene di dipingere quello che vuole e sa fare. Entriamo nel meccanismo delle commissioni di
Isabella.
11/03 - Lezione 5
Libertà che avevano gli artisti del Rinascimento di agire liberamente e rifiutare anche.
Lettera di Bembo a Isabella d’Este su Bellini.
Sua libertà di scegliere il soggetto a lui congeniale.
Importante storia collezionistica, un lato abbiamo inventari del notaio, poi abbiamo carteggio in cui lei
cerca di farsi fare dipinti, ma non abbiamo più la collezione in loco, sparse, alcune al Louvre. Ma per
motivi di ordine dinastico, la famiglia di Isabella a in rovina, le opere vengono vendute.
Negli inventari di solito non c’è descrizione dettagliata del quadro, e non si sa se informazioni accurate.
Spesso identificazione deriva da un dato registrato, le misure, ma attenzione che a volte i quadri
vengono anche tagliati.
Lettera di Taddeo Albano a Isabella d’Este, Venezia, 8 novembre 1510
Ho inteso quanto mi scrive la Ex. V. per una sua de XXV del passatto, facendomi intendere haver
inteso ritrovarsi in le cosse et eredità del q. Zorzo de Castelfrancho una pictura de una notte, molto
bella et singulare; che essendo cossì si debba veder de haverla. A che rispondo a V. Ex. che ditto
Zorzo morì più dì fanno da peste, et per voler servir quella ho parlato cun alcuni miei amizi, che
havevano grandissima praticha cum lui, quali me affirmano non esser in ditta heredità tal pictura. Ben è
vero che ditto Zorzo ne fece una a m. Thadeo Contarini, qual per la informatione ho autta non è molto
perfecta sichondo vorebe quela. Un’altra pictura de la nocte feze ditto Zorzo a uno Victorio Becharo,
qual per quanto intendo è de miglior desegnio et meglio finitta che non è quella del Contarini. Ma esso
Becharo al presente non si atrova in questa terra, et sichondo m’è stato afirmatto né l’una né l’altra non
sono da vendere per pretio nesuno, però li hanno fatte per volerle godere per loro; sicché mi doglio non
poter satisfar al dexiderio de quella.
Importante per la storia di Giorgione
Si dicono tantissime cose importanti, che a questo punto Giorgione è morto, quondam – come “il fu”,
abbiamo questo termine, di lui abbiamo pochissime notizie di vita e opere, questa lettera è molto
importante.
Si dice che ne momento in cui lui era morto da pochissimo era molto famosa, perché Isabella voleva un
notturno e si dice che ne aveva fatta più di un’opera, una per Taddeo Contarini non tra le più belle, una
per Antonio becaro, in Veneto significa macellaio, dunque anche una classe borghese di mercanti,
acquistava quadri e suoi.
Altra cosa importate, ultima frase che il Bechar al momento non è a Venezia, dice che nessuna delle
due