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Una cosa è certa: esso non può più rimanere in una posizione di stasi(rallentamento, arresto). Il “guado”, quindi, è
rappresentato da una posizione tra disincanto e innovazione, necessaria per la sopravvivenza della professione stessa.
Consolidata l’esigenza di contribuire e innovare la professione adeguandola alla post-modernità, ben altra questione sono le
direzioni da intraprendere, le strategie da adottare, gli strumenti da usare. In relazione a tale tema vi è bisogno di riscoprire il
lavoro sociale di comunità (community care), ossia la relazione di aiuto fra tecnico e utente. Ciò va fatto data la contemporanea
complessità sociale, ambientale, economica e culturale. In un certo senso il significato normativo della legge 328/2000 spinge a
una reinterpretazione della relazione di aiuto con gli utenti (ma anche la riforma del Titolo V, che spinge a un più ampio
rapporto tra privato e pubblico, tra privato e sociale).
3. Alcune definizioni di base
Per quanto riguarda il profilo professionale dell’ass.sociale e la sua definizione nell’atlante delle professioni,
“L’assistente sociale promuove l’autonomia e la valorizzazione delle risorse personali e sociali dei cittadini in condizioni di
vulnerabilità o disagio sociale. L’assistente sociale deve avere 3 fuochi principali di attenzione: l’utente, la propria
organizzazione di appartenenza e il contesto sociale e territoriale in cui opera”.
Possiamo affermare che quella dell’ass.sociale quindi è una professione multidimensionale, o meglio multifocale e la sua storia
professionale ricopre un grande spazio nella realizzazione del welfare. I 2 documenti che definiscono tale professione sono:
- il Codice deontologico dell’assistente sociale, approvato dal Consiglio nazionale nella seduta del 17 luglio 2009, negli
artt. 33-39;
- e ovviamente la legge di riforma n. 328/2000. C’è da dire, tuttavia, che il welfare state italiano (welfare state= assetto di
politiche sociali) è in gran parte incompiuto, dato che la legge 328/2000 non è ancora completamente applicata.
Analizziamo ora i vari significati che la parola welfare possiede per i vari dizionari italiani:
● Sabatini-Coletti= welfare, sistema sociale che vuole garantire a tutti i cittadini la fruizione dei servizi sociali ritenuti
indispensabili;
● Treccani= welfare, comprende il complesso di politiche pubbliche dirette a migliorare le condizioni di vita dei cittadini.
● Welfare state= complesso delle istituzioni e delle politiche economiche e sociali pubbliche volte a garantire a tutti i
cittadini l’assistenza sanitaria, l’istruzione e la previdenza sociale. (Marina Demozzi in Borzaga-Fazzi)
Possiamo sintetizzare che il welfare è la strategia politica volta alla protezione/promozione delle classi deboli, e ad assicurare a
ogni cittadino livelli minimi di reddito, sussistenza, servizi sanitari e previdenziali (LEAS), di istruzione e abitazione.
Per quanto riguarda il concetto di Stato sociale (o Welfare State), invece, esso è un’organizzazione istituzionale, politica ed
economica, che ha per obiettivo la produzione di benessere, attraverso la politica sociale.
Lo Stato sociale, a differenza dello Stato liberale, interviene attivamente nell’economia di mercato e nella società per correggere
gli effetti dell’azione di mercato e per conseguire degli obiettivi sociali, perseguiti attraverso apposite legislazioni,
provvedimenti pubblici e programmi amministrativi.
Inoltre, gli obiettivi del Welfare State tendono ad “assicurare ad ogni cittadino un livello minimo di reddito”, dare sicurezza a
individui e famiglie (es. istruzione e sanità, Wilensky).
Forse è più coerente parlare di politiche sociali, un termine più realistico rispetto a welfare; (Nel 1993, Pierpaolo Donati
affermava che: “La politica sociale è nata come forma di controllo sociale della popolazione, a fini di stabilità e pace sociale,
attraverso la promozione del benessere. Quali che ne siano state le motivazioni e quali che ne siano stati i fattori propulsivi il
risultato è stata la crescita del welfare state”. Benessere inteso come integrazione sistemica= assicurata per via istituzionale
dello “Stato” attraverso regolazioni impersonali e centralizzate).
Gli attori del Welfare sono, oltre lo Stato, la Famiglia, il Mercato e il Terzo settore.
A questi tradizionali attori del Welfare si affianca l’idea di comunità come quinto caposaldo.
● Famiglia= senza approfondire il senso normativo della famiglia “anagrafica” (l’insieme di persone legate da vincolo
matrimoniale, parentela, adozione ecc.), qui si fa riferimento al nucleo familiare, che può essere formato da un nucleo
più altri membri aggregati ( es. anziano che vive nella casa di un figlio sposato), da più nuclei più o meno aggregati, o
da nessun nucleo (persone sole, famiglie composte). Una famiglia può essere costituita anche da una persona sola. Le
tipologie di famiglie sono molteplici: vi è la famiglia di origine, quella coniugale (di procreazione), quella estesa (oltre i
confini della nucleare), quella fraterna (che precede il clan), quella multipla (o multinucleare). A queste caratteristiche
classiche oggi se ne aggiungono di nuove, come la multietnicità, l’omosessualità, la separazione, la ricomposizione e il
ricongiungimento. Quanto ha inciso l’attore-famiglia nell’evoluzione italiana delle politiche sociali? Tantissimo (in
letteratura: modello di welfare italiano di tipo “familiaristico”: la famiglia si fa carico di una parte molto cospicua del
lavoro di assistenza che si rende necessario. La sua funzione è quella di produrre beni e servizi distribuiti ai singoli
membri, al di là della forma di famiglia). Il modello afferente all’attore-famiglia è quello delle cure di prossimità;
● Stato= il concetto di Stato ha origini nella filosofia aristotelica (entità preesistente nell’individuo). A lungo, poi, si è
ritenuto che lo Stato sia la somma delle volontà individuali e ,quindi, creato/realizzato dai singoli. Oggi, lo Stato è la
comunità, “il gruppo sociale residente su un determinato territorio”. Nonostante la rigidità delle definizioni e delle
tipologie legate allo Stato, nel corso della storia si è assistito a variopinti mutamenti dal punto di vista geo-politico, sul
piano ontologico e sul piano delle varie forme istituzionali, ragion per cui è necessario avvalersi di alcuni riferimenti di
antropologia politica. Secondo Hobbes, in assenza di uno Stato, gli uomini sono tutti contro tutti, ognuno per la propria
supremazia. Quindi lo Stato detiene il potere. Sempre nella prospettiva antropologica, lo Stato è l’organizzazione sociale
più diffusa in Occidente. Essa esercita i propri compiti mediante la P.A. (che si suddivide in tre sotto-categorie:
Amministrazione centrale, locale ed Enti di previdenza). Le sue funzioni principali consistono nel regolamentare,
redistribuire, assicurare, produrre. Dai primi diritti di cittadinanza si è passati ai primi diritti civili, poi a quelli sociali
e oggi a quelli ambientali, gli eco-diritti. Il modello afferente all’attore-Stato è il Welfare State;
● Mercato= terzo attore del welfare, indica il luogo dove si incontrano domanda e offerta di uno o più beni o servizi. Le
funzioni del mercato sono di tipo produttivo (cioè favorire e governare la produzione) e allocativo (offrire una gamma
sempre più ampia) di beni, servizi e prestazioni. Nel welfare, il mercato è in grado di rispondere più dello Stato e
(spesso) della stessa famiglia ai bisogni e ai desideri del singolo, che tuttavia perde lo status di cittadino e acquista
quello di consumatore, il quale può accedere al mercato solo se dispone di sufficienti risorse finanziarie (limite,
soprattutto in questi anni di forte crisi di Mercato, sia come luogo, che come principio). Un modello alternativo per
l’attore-Mercato è l’economia solidale (green economy), mentre il modello afferente all’attore-Mercato corrisponde al
Welfare mix;
● Terzo settore= l’ultimo attore tradizionale del welfare, altrimenti detto no profit. Non è una funzione alternativa allo
Stato e al Mercato (come erroneamente si può pensare), ma è una dimensione integrativa dell’uno e dell’altro,
garantito dal punto di vista normativo (il Codice del Terzo Settore, nonostante abbia avuto bisogno di 20 decreti
ministeriali per funzionare). Le figure tipiche del Terzo settore sono: cooperative, associazioni di volontariato – laiche
religioso - fondazioni, enti morali, organizzazioni non governative (ONG), imprese sociali, associazioni di promozione
sociale, organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS), che sono obbligati a registrarsi presso il Registro unico
nazionale del Terzo Settore. I principi ai quali esso risponde sono la solidarietà, la sussidiarietà, la cooperazione, la
promozione sociale, la fiducia nei rapporti con l'utenza. La principale vulnerabilità del T.S. corrisponde a una esagerata
dipendenza dallo Stato e a uno scarso investimento sulle politiche sociali, con conseguente precarizzazione del lavoro
degli operatori. Il modello afferente all’attore-T.S. equivale al welfare mix mediante una solidarietà organica di
Durkheim (divisione del lavoro, cooperazione cosciente e libera degli agenti sociali).
4. Brevi cenni storici sul concetto di welfare
Diversi studiosi concordano sulla nascita del welfare in Europa, collocando le sue origini alla fine dell'Ottocento, in risposta ai
processi di industrializzazione e urbanizzazione dei contadini attratti dalle promesse di migliori condizioni di vita e maggiore
mobilità sociale. In realtà, la stanzialità delle masse contadine caratterizzate da alte densità abitative, condizioni igieniche e
strutturali degradate, scarse opportunità educative e socio-sanitarie, conduce a problemi di povertà, a un aumento delle
malattie e degli infortuni sul lavoro, per non parlare delle condizioni dell’infanzia sfruttata, (descritta da Charles Dickens in
“David Copperfield”), delle condizioni femminili e dei minatori di carboni.
Il primo modello di welfare si fa risalire alla Germania del cancelliere Bismarck e alle sue 3 famose leggi di assicurazione contro
malattie, infortuni e vecchiaia e invalidità (viene invece attribuito all’arcivescovo inglese William Temple il termine “welfare
state”, Stato del benessere, contrapposto allo Stato di guerra dei nazisti, “warfare state”).
Gli Stati Uniti, dal canto loro, a partire dal 1929 versano in un'epocale crisi economica denominata, non a caso, la Grande
Depressione, che produce milioni di disoccupati. I sistemi e le teorie economiche dominanti in quel periodo attribuiscono al
mercato la primaria responsabilità