IL CONCETTO DI PLUSVALORE
Dall'analisi delle merci Marx è condotto a studiare quella che considera una merce del
tutto particolare e unica, la merce-uomo, ovvero l'operaio, che viene acquistato dal
capitalista affinché produca altre merci, in virtù della forza delle sue braccia (forza-
lavoro). In cambio, il capitalista paga all'operaio un salario. Ma su quali basi esso viene
stabilito? Marx non ha dubbi in proposito: il capitalista paga l'operaio sulla base del
valore dei corrispondenti beni necessari per la sopravvivenza sua e della sua famiglia
(non a caso, etimologicamente "proletario" denota colui che ha una sola proprietà,
quella dei figli - la prole - da sfamare). Dunque, il salario dell'operaio-proletario è
l'equivalente del valore dell'operaio, che consiste essenzialmente nel costo dei mezzi
necessari al suo sostentamento.
Nel momento in cui l'operaio vende la propria forza-lavoro al capitalista, tutto quello
che produce nella fabbrica non gli appartiene più, in quanto è proprietà del padrone.
Supponiamo, ad esempio, che l'operaio lavori effettivamente dodici ore al giorno, ma
che in otto ore riesca a produrre una quantità di merce capace di coprire le spese del
mantenimento di se stesso e della propria famiglia («tempo di lavoro necessario»); il
suo salario corrisponderà a quello di otto ore lavorative. Le rimanenti quattro ore di
lavoro costituiscono un tempo di lavoro supplementare, in cui l'operaio produce merce
non pagata dal capitalista. Questo lavoro non pagato, che crea valore non pagato,
viene definito da Marx plusvalore ???
Il plusvalore dipende, dunque, dal pluslavoro, cioè dal lavoro in più svolto dall'operaio
e offerto gratuitamente al padrone. Dal plusvalore deriva il profitto del capitalista, che
pertanto sfrutta la forza-lavoro dell'operaio a proprio vantaggio.
Quanto detto può raffigurarsi con la seguente formula, proposta dallo stesso Marx:
D - M-D
dove D è il denaro speso per l'acquisto della merce; M rappresenta la merce, ossia la
forza-lavoro e i mezzi di produzione; D'è il denaro guadagnato.
D' rappresenta quell'incremento di denaro che è la caratteristica essenziale del modo
di produzione capitalistico, finalizzato alla produzione di una quantità di denaro
maggiore rispetto a quella investita. La formula D - M - D' mostra bene questo
fenomeno anche visivamente: il denaro genera più denaro di quello speso.
Tale "accumulazione" non ricorre nel modo di produzione pre-capitalistico, che può
essere illustrato con la seguente formula:
M-D -M
dove M è la merce, D il denaro e M ancora una merce. Consideriamo l'esempio
seguente: il contadino vende parte del prodotto del suo terreno, ne ricava una certa
quantità di denaro, che adopera per comprare il latte per i suoi bambini. In questo
caso non c'è accumulazione di ricchezza, ma uno scambio merce-denaro-merce.
L'elemento caratteristico di questo processo pre-capitalistico è la funzione del denaro
come semplice intermediario per l'acquisto di beni da usare nella vita quotidiana.
Il profitto non si identifica con l'intero plusvalore, anche se dipende da esso. Per capire
questo fatto occorre tenere presente la distinzione operata da Marx tra il capitale
costante (cioè il capitale investito nel macchinario della fabbrica e nelle materie
prime) e il capitale variabile (cioè il capitale investito nei salari pagati agli operai). Il
plusvalore, nascendo soltanto in rapporto al salario pagato agli operai, dipende dal
capitale variabile, non da quello costante. Dunque, per calcolare il profitto del
capitalista - cioè il suo effettivo guadagno = dobbiamo sottrarre, in termini
percentuali, dal plusvalore gli investimenti necessari per l'acquisto, il rinnovo e la
manutenzione delle macchine (capitale costante). In definitiva, il profitto è sempre una
quantità inferiore rispetto al plusvalore, dal quale comunque deriva.
I PUNTI DEBOLI DEL SISTEMA CAPITALISTICO E DI PRODUZIONE
-Da quanto abbiamo esposto emerge come lo scopo primario del capitalismo sia di
aumentare il più possibile il profitto, obiettivo che viene perseguito cercando di
incrementare al massimo la produttività e quindi introducendo macchine e strumenti
che, con la medesima forza-lavoro a disposizione, consentano di realizzare una
quantità di merce superiore. L'aumento della produttività genera plusvalore e
ricchezza, e questa viene a sua volta reinvestita per migliorare la tecnologia e
modernizzare le strutture, guadagnando in efficienza e competitività. Marx rileva
come, storicamente, ciò si traduca nel passaggio dall'industria manifatturiera alla
grande industria meccanizzata.
Si tratta di una svolta che ha conseguenze molto pesanti, nonostante l'apparente
miglioramento delle condizioni generali di vita. Innanzitutto la meccanizzazione della
produzione peggiora la situazione dei lavoratori, aggravando quel fenomeno
dell'alienazione di cui Marx si era occupato nelle opere giovanili. L'introduzione delle
macchine, infatti, determina un'organizzazione del lavoro che lo rende unilaterale e
ripetitivo, specializzando e semplificando all'estremo le funzioni dell'operaio, il quale
perde la possibilità di svolgere un mestiere compiuto. Questo capita in quanto tutte le
diverse operazioni necessarie per produrre un oggetto finito sono ormai svolte dal
sistema integrato operaio-macchina, di cui il lavoratore diventa un mero ingranaggio.
Il progresso raggiunto con la grande industria finisce per ritorcersi contro il capitalista
stesso, poiché nel sistema produttivo emergono e si affermano forze che si rivelano
oggettivamente autodistruttive. La prima e più importante è quella che Marx definisce
la «caduta tendenziale del saggio di profitto ???. Si tratta di una legge in base alla
quale il profitto del capitalista, a un certo punto dello sviluppo produttivo, anziché
aumentare tende a ridursi. Vediamone il motivo. Accrescendosi in modo rilevante il
capitale costante, rappresentato dalle macchine e dalle materie prime, diminuisce il
peso del capitale variabile, in quanto con la meccanizzazione si richiede un numero
inferiore di operai.
L'effetto è il calo del plusvalore, che, come sappiamo, dipende dal pluslavoro
dell'operaio e, dunque, dal capitale variabile. Con il variare della composizione del
capitale a sfavore del lavoro dell'operaio, si ottiene pertanto una riduzione del saggio
(o tasso) di profitto che deriva dal plusvalore. Marx attribuisce molta importanza a
questa legge, che considera il punto debole dell'economia capitalistica.
Ma c'è di più. La crescente disoccupazione, connessa all'impiego sempre più massiccio
delle macchine nell'industria, comporta un altro grande rischio per il capitalismo:
disoccupazione, infatti, vuol dire maggiore povertà dei consumatori, i quali vedono
diminuire il loro potere di acquisto delle merci. Questo rappresenta una contraddizione
fatale per il sistema: lo sviluppo tecnologico crea la possibilità di incrementare la
produzione delle merci, le quali, però, rischiano di restare invendute a causa della
minore disponibilità
LA RIVOLUZIONE E L’INSTAURAZIONE DELLA SOCIETÀ COMUNISTA
Dalla critica radicale alla società moderna e allo Stato che la rappresenta deriva la
convinzione che occorra promuovere una rivoluzione sociale per procedere
all'abbattimento della civiltà egoistica della borghesia e alla distruzione della sua
«macchina» militare e burocratica.
Tuttavia, per Marx il passaggio dalla società capitalistica a quella comunista deve
prevedere un periodo di transizione, in cui il proletariato, salito al potere e divenuto
«classe dominante », eserciti una «dittatura» funzionale alla realizzazione del progetto
comunista stesso.
Sembra che Marx abbia usato per la prima volta l'espressione «dittatura» in una
lettera a Joseph Weydemeyer del 5 marzo 1852, in cui afferma che la «lotta di classe»
deve condurre necessariamente alla dittatura del proletariato ???. Tale regime ha lo
scopo di instaurare una prima forma di uguaglianza ancora "imperfetta",perché
fondata su un astratto livellamento degli individui, e di sopprimere poco per volta tutte
le strutture, le istituzioni e i residui burocratici della società capitalista, per arrivare
infine a eliminare i presupposti stessi dell'antagonismo di classe, e dunque anche il
proprio dominio. Esso, nella prospettiva di Marx, è destinato a esaurirsi non appena
abbia portato a termine il compito per il quale è stato istituito: la distruzione dello
Stato borghese e, in generale, l'estinzione di ogni forma di Stato.
Quella del proletariato non è più una lotta di classe, ma una battaglia per
l'affermazione di una società senza classi, in cui sia abolita la proprietà privata
attraverso la collettivizzazione dei mezzi di produzione e in cui vengano meno le
disuguaglianze reali tra gli uomini. È una lotta per una società formata da persone
«onnilaterali», «totalmente sviluppate», e non più da individui alienati, ridotti a merce
e costretti a vendere il proprio lavoro in condizioni di sfruttamento; una società in cui
non vi sia più bisogno di un apparato sta-tale, in quanto regna una compenetrazione
perfetta tra singolo e comunità.
Tali sono le indicazioni sul modello della società comunista ??? che si possono ricavare
dalle frammentarie riflessioni e annotazioni di Marx sull'argomento. Il filosofo, infatti,
non ha mai trattato compiutamente questo tema, preferendo, hegelianamente,
riflettere sulla realtà dispiegata piuttosto che delineare uno scenario futuro. I caratteri
della società comunista emergono non tanto in "positivo", cioè in una teoria
dettagliata, quanto in "negativo" rispetto a quelli del capitalismo, di cui intende essere
l'alternativa radicale: essa appare come la negazione dei principi che hanno portato al
sistema dello sfruttamento e, in particolare, della proprietà privata.
Il marxismo, tuttavia, conobbe in Europa un grande sviluppo alla morte di Marx ed
Engels, sviluppo strettamente connesso alla storia del movimento operaio
internazionale e dei vari partiti socialisti e comunisti. La prima fase della sua diffusione
è quella corrispondente alle vicende della "Seconda internazionale" (l'organizzazione
fondata a Parigi nel 1889 dai socialisti e dai laburisti europei allo scopo di coordinare
l'azione dei movimenti nazionali degli operai) che, al contrario dell'organismo che la
precedette (la "Prima i