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Per evitare la morbilità chirurgica associata alla completa dissezione dei linfonodi ascellari, si fa quindi
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ricorso alla procedura del linfonodo sentinella , che permette di determinare il coinvolgimento dei
linfonodi ascellari (fornisce un indice di rischio circa la necessità di dover asportare altri linfonodi), al fine di
valutare la prognosi della malattia e di scegliere le strategie terapeutiche più adatte.
41. La linfoadenectomia (o svuotamento linfonodale) è un’operazione chirurgica che prevede l’asportazione dei
linfonodi ascellari.
42. Il linfonodo sentinella è definito come il primo linfonodo in un bacino linfatico regionale che riceve il flusso
linfatico dal tumore primitivo. La localizzazione del linfonodo sentinella può essere ottenuta mediante l’iniezione di
traccianti radiomarcati e sostanze coloranti.
La procedura del linfonodo sentinella segue generalmente due fasi, quali:
• 43 44
Una fase intra-operatoria , che consiste nell’effettuazione di un esame al congelatore o
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citologico in seguito alla biopsia del linfonodo sentinella.
Se l’esame è positivo, si procede all’asportazione di 3-6 linfonodi sospetti durante la stessa seduta
operatoria di asportazione del tumore (evitando quindi un secondo intervento chirurgico alla
paziente).
• Una fase post-operatoria, che si esegue nella settimana successiva all’intervento chirurgico, se
l’esame istologico del linfonodo sentinella è risultato negativo.
Questa fase è finalizzata ad aumentare il livello di certezza circa la presenza o meno di metastasi
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linfonodali , mediante una processazione a vari livelli del linfonodo sentinella (anche con l’ausilio
di tecniche immunoistochimiche).
Se l’esame definitivo post-operatorio è positivo, si procede all’analisi dei linfonodi ascellari; se
l’esame definitivo post-operatorio è negativo, i linfonodi ascellari vengono risparmiati.
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La cosiddetta Tumor Residual (R) Classification rappresenta il più antico, nonché grossolano, sistema di
valutazione della risposta alla terapia e distingue:
▪ R0, che indica l’assenza di residui tumorali;
▪ R1, che indica la presenza di un residuo tumorale microscopico;
▪ R2, che indica la presenza di un residuo tumorale macroscopico.
La classificazione di Mandard, invece, è un sistema di valutazione istologico del grado di regressione
tumorale a seguito di terapia neo-adiuvante. In particolare, andando verso una prognosi progressivamente
peggiore, tale classificazione distingue:
▪ Un grado I, che indica una completa regressione tumorale;
▪ Un grado II, che indica la presenza di nidi di cellule tumorali isolati;
▪ Un grado III, che indica la persistenza di una maggiore quantità di cellule tumorali, con ancora
predominanza di fibrosi (la quale rappresenta un segno di risposta tissutale);
▪ Un grado IV, che indica la presenza di un residuo tumorale che prevale sulla fibrosi;
▪ Un grado V, che indica l’assenza di regressione tumorale.
43. La fase intra-operatoria è proceduta (alcune ore prima dell’intervento) dall’iniezione in sede peri-tumorale (o, più
raramente, intra-tumorale) di una soluzione salina contenente particelle colloidali di albumina umana coniugata con
Tecnezio 99m (tracciante radioattivo).
Alcune ore dopo l’inoculo del tracciante, l’utilizzo di una sonda per chirurgia radioguidata, passata lentamente in
corrispondenza dei linfonodi del cavo ascellare, consente di individuare la zona di maggiore emissione del segnale. Il
primo linfonodo "caldo" (che ha filtrato il liquido linfatico e ha parzialmente trattenuto il radiocolloide, emettendo il
maggiore segnale di radioattività) rappresenta il primo linfonodo drenante l’area neoplastica (ovvero il linfonodo
sentinella).
44. L’esame al congelatore prevede l’analisi di frammenti bioptici appena prelevati in sala operatoria e congelati
all’interno di un criostato (mantiene temperature estremamente basse, in genere tra −25°C e -40°C), il quale è dotato
di supporti e lame per ottenere fette sottili del campione congelato, permettendo così di allestire vetrini (“frozen
section”) da esaminare prontamente al microscopio ottico.
45. Un campione istologico permette l’osservazione di una porzione di tessuto, mentre un campione citologico
permette l’osservazione delle caratteristiche cellulari.
46. Possono esistere incongruenze tra ciò che viene definito a livello intra-operatorio e ciò che viene definito a livello
post-operatorio, ma nella quasi totalità dei casi (> 99,5%) il risultato dell’esame intra-operatorio viene confermato
anche a livello post-operatorio.
47. Ad oggi “R” (“residual”) si riferisce in campo chirurgico al residuo di lesione che non è stato possibile asportare e
che è rimasto in sede.
Caratterizzazione bio-patologica del carcinoma della mammella
La caratterizzazione bio-patologica del carcinoma della mammella viene eseguita mediante un insieme di
test atti a stabilire il livello di aggressività biologica del tumore e l’eventuale alterazione di molecole che ne
controllano la crescita.
I principali marcatori prognostici nel carcinoma della mammella, consolidati secondo un preciso ordine
gerarchico, sono:
• L’età (stato menopausale), in quanto i tumori pre-menopausali giovanili ormono-dipendenti,
dovuti ad una risposta alterata agli estrogeni, sono più aggressivi;
• La classificazione pTNM (staging);
• L’istotipo;
• Il grado di differenziazione tumorale (grading, G);
• L’attività proliferativa tumorale;
• L’ormono-dipendenza (estrogeni e progesterone);
• L’espressione dell’oncogene HER2/neu (Human Epidermal Growth Factor Receptor 2).
Grading
La gradazione esprime il grado di differenziazione tumorale, distinguendo:
o Un grado G1, che indica una buona differenziazione;
o Un grado G2, che indica un livello di differenziazione intermedio;
o Un grado G3, che indica una scarsa differenziazione.
In particolare, partendo dalla attribuzione di un punteggio da 1 a 3 ai parametri “t” (con t1 e t3 che
indicano rispettivamente un elevato e un basso grado di differenziazione tubulare), “n” (con n1 e n3 che
indicano la presenza rispettivamente di nuclei piccoli e monomorfi e di nuclei grandi e polimorfi) e “m” (con
m1 e m3 che indicano rispettivamente un basso e un numero alto di mitosi), e sommando poi il punteggio
dei singoli parametri:
▪ Se il risultato è compreso tra 3 e 5, si ha un grado G1;
▪ Se il risultato è 6 o 7, si ha un grado G2;
▪ Se il risultato è 8 o 9, si ha un grado G3.
Attività proliferativa
L’attività proliferativa tumorale si correla in modo proporzionale con il livello di aggressività biologica della
neoplasia (un’eccezione è il carcinoma midollare).
L’attività proliferativa viene studiata sulla base di:
• 48
La conta mitotica , che rappresenta la più antica tecnica di valutazione dell’attività di crescita
neoplastica. Tale valutazione però è soggettiva e fallace, essendo gravata da una forte variabilità
intra- (momenti diversi) e inter-osservatore.
48. Le cellule in mitosi sono cellule che hanno completato la duplicazione del DNA e si stanno dividendo.
Le cellule in mitosi presentano precise caratteristiche, quali: assenza di membrana nucleare (che deve essersi già
solubilizzata, altrimenti sarebbe un ostacolo alla divisione cellulare); presenza di una figura mitotica (se si osserva una
figura apparentemente mitotica con presenza della membrana nucleare, probabilmente si tratta di una cellula
apoptotica).
Esiste, tuttavia, un metodo standardizzato di conta delle mitosi, che misura il numero di mitosi per
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10 campi ad alto ingrandimento (High Power Field) e quindi in un’area di superficie istologica
2
osservata pari a circa 2 mm .
• 50
L’evidenziazione immunoistochimica dell’antigene nucleare Ki-67, che viene riconosciuto
51
dall’anticorpo monoclonale MIB-1.
• 52
La percentuale di cellule neoplastiche nella fase S del ciclo cellulare , che rappresenta la stima più
precisa dell’attività proliferativa. 53
In particolare, si esegue utilizzando coloranti selettivi per il DNA, come la colorazione di Feulgen
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nell’ambito della microscopia ottica oppure un agente intercalante (ad es. ioduro di propidio)
nell’ambito della biologia molecolare. Tali sostanze hanno il vantaggio di coniugarsi in modo
stechiometrico al DNA, saturando i legami tra le due eliche del DNA in rapporto 1:1.
In questo modo viene fornita una indicazione sulla quantità di DNA presente all’interno del nucleo
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delle cellule neoplastiche (la quale è direttamente proporzionale al contenuto di colorante) ,
evidenziando una variazione di almeno il 5% rispetto alla normale quantità euploide.
L’attività proliferativa viene contrastata mediante terapie antiblastiche e citostatiche, anche se la presenza
di un elevato rate proliferativo non può essere ovviamente l’unico fattore ad indirizzare la scelta del
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trattamento . L’obiettivo è arrivare ad una somministrazione terapeutica di precisione e quanto più
possibile personalizzata.
Ormono-dipendenza ed espressione di HER2/neu
L’ormono-dipendenza e l’espressione dell’oncogene HER2/neu sono fondamentali fattori predittivi di
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risposta alla terapia. L’ormono-dipendenza , infatti, può rendere la neoplasia trattabile mediante terapia
ormonale, mentre l’espressione di HER2 può rendere la neoplasia trattabile mediante targeted therapy.
49. L’HPF rappresenta il massimo potere di ingrandimento a secco dell'obiettivo utilizzato.
50. L’antigene Ki-67 è un indice di proliferazione cellulare espresso in tutte le fasi del ciclo cellulare tra G1 e M (quindi
eccetto solo G0).
51. La reazione molecolare viene marcata con cromogeno in modo da essere visibile. Il cromogeno più utilizzato è la
diaminobenzidina (DAB), a cui corrisponde un colore “marrone bruciato”.
La conta percentuale del numero di nuclei positivi per Ki-67 sul numero totale degli elementi neoplastici valutati
fornisce un indice dell’attività proliferativa neoplastica (ad es. se vi sono 20 cellule positive su 100, si ha un indice
proliferativo pari al 20%).
52. Il ciclo cellulare è composto dalle seguenti fasi: G0, in cui le cellule sono in uno stato di quiescenza; G1, in cui le
cellule diventano “committed” alla replicazione, per cui raddoppiano le proprie dimensioni e aumentano il numero di
enzimi e organuli; S, in cui si verificano la sin