HIV
Nel 1981 in America iniziarono a comparire numerosi casi di polmonite da pneumocystis carinii e
anche di sarcoma di Kaposi, specialmente in pazienti omosessuali. Si trattava di malattie piuttosto
gravi e quasi contemporaneamente, in Francia, ma anche negli Stati Uniti, iniziarono a studiare
questi pazienti e scoprirono che si trattava di un virus. Questo virus era inizialmente sconosciuto,
ma andando avanti con gli anni prese il nome di virus dell’immunodeficienza acquisita.
Nel 2019 le persone che vivevano con una infezione da HIV erano 38 milioni, solo nel 2019 le
nuove infezioni erano 1.7 milioni e, invece, i morti per AIDS sono stati 690.000. Tuttavia, dal 2001
al 2012 le nuove infezioni sono leggermente diminuite, ma il numero di morti rimane più o meno
sempre lo stesso, e colore che vivono con l’HIV sono leggermente aumentate.
In Italia gli MSM(maschi che fanno sesso con maschi) a cui è stata diagnosticata l’infezione da HIV
sono circa il 40%, gli eterosessuali maschi sono il 20%, le eterosessuali donne sono circa il 10% e i
tossicodipendenti sono in percentuale inferiore. Tuttavia, gli stranieri MSM in Italia a cui è stata
diagnosticata questa infezione da HIV non sono neanche del 20%, gli eterosessuali maschi stranieri
sono in percentuale più alta, ma specialmente le eterosessuali donne sono in percentuale
maggiore perché ci sono numerose prostitute.
Tuttavia, a causa delle varianti del virus che si sono formante nel tempo, non esiste un vaccino.
Il virus dell’HIV appartiene alla famiglia dei retrovirus e alla sottofamiglia dei lentivirus in quanto
possiede un enzima, chiamato trascrittasi inversa, che lavora al contrario, cioè trascrive il DNA a
partire dall’RNA. È definito un “virus lento” perché c’è un lungo intervallo tra l’infezione e le
manifestazioni cliniche e, inoltre, si distingue in due tipologie, ossia HIV-1 e HIV-2(più diffuso in
Africa, ha le stesse modalità di trasmissione dell’1 ha un minore effetto patogeno ed è resistente ai
comuni farmaci antiretrovirali), entrambi agenti responsabili della sindrome da immunodeficienza
acquisita(AIDS).
La trasmissione è uguale a quella dell’epatite C e B, cioè l’HIV viene trasmesso per via
sessuale(sesso con un partner affetto), verticale(dalla madre al figlio nell’utero, durante il parto o
durante l’allattamento) e mediante l’utilizzo di droghe iniettabili. Generalmente, l’HIV non è in
grado di sopravvivere nell’ambiente esterno(solo per poche ore) e viene rapidamente inattivato
dal calore(56 gradi per 10 minuti), H2O2, NaClO e UV. Inoltre, nella maggior parte dei casi il sangue
contiene l’infezione, il seme e il fluido vaginale possono contenerla, il fluido amniotico più o meno
e la saliva per niente.
Il virus dell’HIV utilizza una lipoproteina presente sulla sua superficie, ossia la 120, per potersi
attaccare ai CD4, ossia i linfociti in grado di proteggerci; quindi, questo virus attacca direttamente i
linfociti, fonde la superficie, inietta il materiale patogeno all’interno dei CD4 e questi ultimi
vengono distrutti. Questo significa che la persona affetta non avrà le difese immunitarie, cioè
questi virus causa l’immunodeficienza umana.
Nella prima fase, ossia nella fase acuta o primaria(che può durare circa 3 mesi), si ha una carica
virale elevata, un abbattimento dei CD4(che rimangono però abbastanza funzionali) e si possono
presentare diversi sintomi, come febbre, malessere, dimagrimento, diarrea, artralgia, mal di gola,
rash, mialgia, ulcere orali, linfoadenopatia… In questa fase, la carica virale si abbassa
notevolmente e la situazione si stabilizza.
Successivamente, iniziano le cosiddette infezioni opportunistiche, ossia infezioni causate da
batteri che normalmente non provocano malattie in persone con un sistema immunitario sano,
ma che approfittano quando un individuo ha le difese immunitarie indebolite. Queste infezioni
sono legate al numero dei CD4(anticorpi)—> CD4>500 non ci sono infezioni opportunistiche,
CD4<500 si ha sarcoma di Kaposi, linfoma, micobacterium tubercolosis e dermatite da virus
varicella-zoster, CD4<250 si ha pneumocystis carinii, riattivazione di toxoplasmosi e CD4<100 si ha
CMV, zoster alla retina, tubercolosi atipica, Cryptococcus, microsporidiosi, leucoencefalopatia
multifocale…
Dunque, le infezioni che consentono di effettuare la diagnosi di AIDS sono candidosi oro-esofagea,
criptococco, citomegalovirus disseminato, herpes simplex, sarcoma di Kaposi, linfoma di Burkitt,
setticemia da Salmonella, toxoplasmosi, tubercolosi, pneumocystis carinii…
Stadiazione:
• CD4>500–> Asintomatico stadio A1, sintomatico(non sintomi che fanno fare la diagnosi di
AIDS) stadio B1 e in condizioni che indicano l’AIDS(infezioni opportunistiche) stadio C1.
• CD4 compresi tra 500 e 200–> “ “ stadio A2, B2 e C2.
• CD4<200–> “ “ stadio A3, B3 e C3.
Le infezioni opportunistiche virali associate all’HIV sono: l’HPV(causa condilomi nelle aree genitali
e orali), il Poxvirus(causa mollusco contagioso), la leucopatia orale(uno dei sintomi della
mononucleosi, ma che si presenta nei pazienti immunodepressi), l’herpes zoster, le lesioni
ulcerative croniche erpetiche, l’encefalite da CMV, retinite da CMV, l’HIV direttamente nel cervello
può portare alla demenza…
Tra le infezioni opportunistiche batteriche associate all’HIV ritroviamo la tubercolosi.
Le infezioni opportunistiche fungine associate all’HIV sono: polmonite da Pneumocystis jiroveci(ex
carinii), candidosi orale, cheilite angolare, candidiasi esofagea, onicomicosi, criptococcosi cutanea
e cerebrale, aspergillosi…
Le infezioni opportunistiche protozoarie associate all’HIV sono: toxoplasmosi cerebrale,
criptosporidiosi, isosporiasi, microsporidiosi e Wasting Syndrome(“sindrome devastante”).
Le patologie oncologiche associate ad HIV sono: sarcoma di Kaposi(tumore della pelle che causa
macchie violacee, ma può essere anche viscerale), linfoma cerebrale primitivo(EBV), cancro
invasivo cervice uterina(HPV)…
La diagnosi di infezione da HIV viene effettuata mediante un test di screening, ossia il test ELISA,
in cui si ricercano anticorpi anti-HIV, e in più ci sono anche test HIV rapidi. Se, però, un individuo
ha avuto un rapporto sessuale a rischio oggi, domani sarebbe inutile eseguire il test, ma deve
attendere un paio di mesi. Tuttavia, la presenza di anticorpi non significa che il paziente ha l’HIV.
Poi c’è il Western Blotting assay, ossia un test che consente di ricercare più anticorpi
contemporaneamente e, in genere, i più importanti sono verso le proteine dell’envelope gp120,
gp160 e gp41; si può anche ricercare gli antigeni p24, ossia antigeni virali che sono generalmente
presenti, ma possono essere assenti negli stadi più tardivi.
Dopodiché abbiamo la viremia quantitativa(HIV-RNA), utile per la diagnosi e per il monitoraggio
della risposta alla terapia ed è una misura della quantità di virus presenti nel sangue.
Tra gli altri marcatori di laboratorio che vengono utilizzati del monitoraggio dell’infezione da HIV
possiamo ritrovare la conta dei CD4(diminuiscono) e dei CD8(aumentano), in quanto c’è una
inversione del numero normale(normalmente ci sono più CD4 rispetto ai CD8).
Per quanto riguarda la terapia, nei primi anni veniva utilizzata come unico farmaco solo la
Zidovudina(AZT), che era insufficiente. Fortunatamente, dal ‘96 è stata introdotta una terapia che
comprende più farmaci, la quale deve essere seguita correttamente perché altrimenti il virus
potrebbe sviluppare resistenza, causando la diffusione di virus resistenti ai farmaci.
Lo scopo della terapia è la progressione clinica verso l’AIDS e anche quello di azzerare la carica
virale in modo tale che il virus non possa più distruggere i CD4(i quali aumentano), ma è possibile
eradicare il virus con i farmaci ad oggi disponibili, per cui il paziente vive come una persona
normale, cioè come una persona non contagiosa.
Fino al 2003 venivano trattati i pazienti con i CD4 inferiori ai 200, nel 2007 si è deciso di trattare
anche quelli con 350, nel 2009 anche quelli con 500 e attualmente vengono trattati tutti perché lo
scopo è U=U(se non è rilevabile/dosabile non è trasmissibile).
Inoltre, bisogna prestare attenzione alle donne in gravidanza perché la trans di HIV prodotta dal
concepimento varia dal 13% al 40% ed avviene specialmente nelle fasi tardive della gravidanza(25-
40%), nel travaglio e nel parto(65-70%). Pertanto, con l’allattamento al seno il rischio di
trasmissione è aumentato del 14% nel caso la madre abbia un’infezione stabilizzata e del 29% nel
caso di infezione primaria. Per poter evitare la trasmissione dell’infezione da HIV nel bambino
bisogna innanzitutto conoscere il proprio stato di infezione, seguire una terapia antiretrovirale,
effettuare un parto con taglio cesareo d’elezione e allattare artificialmente. In più, nel corso della
gravidanza, le donne possono essere trattate con dei farmaci non teratogeni(non tossici per il feto)
da somministrare qualche settimana prima del parto o addirittura anche il giorno prima del parto
per via endovenosa.
Inoltre, il rischio di sieroconversione dopo esposizione, cioè il rischio di contrarre l’HIV dopo una
esposizione accidentale, è: precutanea con sangue infetto(es. puntura con ago) rischio 0,3%,
superficie mucosa a sangue infetto(es. schizzi in bocca/occhi) rischio 0,9%, cute non integra a
sangue infetto rischio <0,9% e fluidi biologici diversi dal sangue(molto più basso rispetto ai
precedenti).
I fattori che influenzano il rischio di trasmissione dopo un’esposizione sono la quantità di
materiale biologico a cui si è esposti, contaminazione visibile dello strumento, se il presidio
inserito direttamente in vena o in arteria, profondità della ferita e fase della malattia del soggetto
fonte(es. HIV non trattato o in fase avanzata=carica virale alta). Tuttavia, anche se la viremia è
bassa(HIV-RNA<1500
copie/ml) la trasmissione non può essere esclusa e se, invece, il paziente è in terapia efficace con
HIV-RNA negativo non è contagioso.
La PEP(Post-Exposure Prophylaxis) è la terapia antiretrovirale d’emergenza che si assume dopo
un’esposizione a rischio. Il 14-47% di pazienti sospende per effetti collaterali, soprattutto
gastrointestinali e se il soggetto fonte è confermato HIV negativo si sospende la PEP. Questa
terapia consente di ridurre il rischio dell’infezione di circa l’80%.
In più, c’è anche al PrEP(profilassi pre-esposizione), ossia un farmaco utilizz
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