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SUPERIORE AL PIL POTENZIALE DI MASSIMA OCCUPAZIONE SI AGGIRA CON POLITICHE MONETARIERESTRITTIVE PER STABILIZZARLO
Regola di Taylor: basta gestire il tasso di interesse di breve periodo per garantire che l'inflazione sia pari a 2%: r = R* + a (π - π ^)t
Dove:
- r = tasso di interesse overnight
- R* = tasso di interesse reale
- π = inflazione attuale
- π ^ = inflazione futura
Una visione più ampia della regola di Taylor tiene conto anche del reddito potenziale: r = R* + a (π - π ^) + b (y - y*) π t
Da qui: riducendo i tassi di interesse, aumenteranno gli investimenti privati. Ipotizzando che ciò avvenga, avendo y < y*, si avrà una riduzione del PIL effettivo (y); viceversa l'aumento del tasso di interesse potrebbe comportare una riduzione degli investimenti privati, e quindi una riduzione del PIL effettivo (y) in modo tale che raggiunga il PIL desiderato (y*). La BC ha attribuito alla politica fiscale di ogni Paese il
potere di gestire y t– y* e si è quindi soffermata solo a gestire la prima parte dell’equazione. La regola di Taylor applicata dalleBC genera quindi stabilità.
Le politiche redistributive
- Il loro fine ultimo è quello di perseguire l’equità e la giustizia sociale. Esse possono essere giustificate dall'esistenza di distribuzioni del reddito e della ricchezza ritenute intollerabili o indesiderabili poiché fortemente inique; più in particolare comprendono anche le politiche di contrasto alla povertà. Vi può essere un possibile trade-off tra equità ed efficienza (Okun) mentre economisti pre-keynesiani preferivano concentrarsi sugli obiettivi di stabilità e di efficienza (economia politica come «scienza neutrale» per L. Robbins);
- Vi sono diverse accezioni di distribuzione del reddito:
- funzionale: tra capitale e lavoro;
- personale: tra individui o famiglie;
- territoriale: riguarda ad
esempio le disparità interregionali;
4) sociale: fasce deboli della popolazione, poveri, minoranze, ecc;
5) intergenerazionale: ◦ coinvolge interventi quali la spesa pensionistica piuttosto che quella per l'istruzione(oppure gli effetti duraturi di un elevato debito pubblico).
▪ Strumento tipico della politica redistributiva è la politica fiscale, che è quindi (diversamente dalla politica monetaria) uno strumento:
1- sia delle politiche di stabilizzazione macroeconomica,
2- sia di quelle redistributive,
3- sia infine di quelle allocative Il Welfare State.
▪ Al fine di correggere una distribuzione (del reddito e della ricchezza) ritenuta iniqua, vi è l'azione redistributiva dello Stato, che agisce attraverso la politica fiscale.
◦ Il Welfare state è nato in Inghilterra con il "piano Beveridge" del 1942; ha avuto in seguito una notevole diffusione nei paesi nord-europei (in primo luogo nei paesi scandinavi).
▪ Le finalità
redistributive (oequitative) possono riguardare:
- la lotta alla povertà;
- la stabilizzazione dei redditi individuali, sia nei confronti di rischi quali malattia e disoccupazione, sia rispetto alle oscillazioni durante il ciclo vitale (es. schemi pensionistici);
- la riduzione delle ineguaglianze di reddito, sia di tipo verticale (distribuzione dei redditi personali e familiari), sia di tipo orizzontale (in funzione di età, sesso, dimensioni della famiglia, sua localizzazione, etc.);
- il miglioramento della distribuzione delle opportunità (di investimento in istruzione, di lavoro e di reddito), anche per aumentare il grado di "mobilità sociale".
2. Le politiche strutturali o d'offerta, pur agendo sul comportamento degli individui o sugli equilibri dei mercati, a livello aggregato riescono a spostare la curva AS. Le politiche strutturali possono quindi:
- far diminuire il tasso di disoccupazione naturale (cfr. ad es. le politiche attive
per il lavoro), o accrescere il livello naturale del prodotto Yn (ad es. le politiche industriali ed a favore della concorrenza), o perfino innalzare il tasso di crescita del prodotto gY (agendo sul progresso tecnico, sulle innovazioni, sulla ricerca e sviluppo, sulla formazione del capitale umano). Ne sono esempi:
- la politica industriale, con interventi mirati ai settori, oppure ai fattori produttivi;
- le politiche commerciali in economia aperta: protezionismo, sostegno delle esportazioni;
- le politiche del lavoro: politiche passive e/o attive per il mercato del lavoro; per l'istruzione e la transizione da scuola o università al lavoro, per la mobilità sociale e territoriale);
- la politica regionale (di sviluppo o riequilibrio territoriale), per i trasporti e le comunicazioni;
- le politiche energetiche e per la salvaguardia ambientale.
Gli strumenti e le modalità d'intervento dello Stato nell'economia, per modificare l'allocazione
delle risorse, possono essere molteplici: 1. Fissazione del quadro economico-istituzionale 2. Regolamentazione dell'iniziativa privata 3. Incentivi e disincentivi all'iniziativa privata 4. Intervento pubblico diretto nella produzione Quanto più l'intervento pubblico è pervasivo, tutte e quattro le forme di intervento sono utilizzate; quindi l'economia, pur rimanendo fondamentalmente di mercato, diviene "economia mista". Inoltre, le riforme strutturali implicano una complessa manovra - più qualitativa che quantitativa - di numerosi strumenti. Per quanto già abbiamo studiato, lo stato interviene nell'economia in modi diversi in base a quale teoria si approccia. Secondo Musgrave, lo Stato deve intervenire nell'economia per migliorare: - L'allocazione (efficienza) - Redistribuzione (equità) - Stabilizzazione Per quanto riguarda l'allocazione, lo Stato dovrebbe garantirel’efficienza del sistema economico, superando i fallimenti del mercato, attraverso: produzione pubblica, regolamentazione di attività private e tassazione. Per quanto riguarda invece l’obiettivo è la realizzazione di una equa distribuzione delle risorse attraverso trasferimenti monetari, imposte e offerta di servizi. Per quanto riguarda la stabilizzazione, lo Stato regola il livello dell’attività economica con gli obiettivi del pieno impiego e di una inflazione sotto controllo attraverso manovre relative a spese e imposte e misure che incentivano l’attività produttiva. Per esempio, nei momenti di boom economico quando la domanda è maggiore dell’offerta e c’è piena occupazione si crea inflazione; per ridurre la domanda ai fini di evitare l’inflazione lo Stato aumenta le imposte; nei casi contrari si riducono le imposte o si aumenta la G (politiche cicliche di stabilizzazione). L’economia del benessere.base di informazioni complete e perfette, i teoremi dell'economia del benessere dimostrano che, in pratica, un mercato concorrenziale è in grado di raggiungere un equilibrio efficiente senza l'intervento dello Stato. I due teoremi fondamentali dell'economia del benessere sono: 1. Il primo teorema dell'economia del benessere afferma che, in un mercato perfettamente concorrenziale, l'allocazione delle risorse sarà efficiente dal punto di vista di Pareto. Ciò significa che non è possibile migliorare la situazione di almeno un individuo senza peggiorare quella di un altro individuo. 2. Il secondo teorema dell'economia del benessere afferma che, se esistono condizioni di concorrenza perfetta e informazione completa, qualsiasi allocazione efficiente può essere raggiunta come equilibrio competitivo, senza la necessità di intervento esterno. Questi teoremi sono spesso utilizzati per sostenere l'importanza del liberomercato e per criticare l'intervento dello Stato nell'economia. Tuttavia, è importante notare che esistono anche limitazioni e condizioni in cui il mercato può fallire nel raggiungere un equilibrio efficiente, come nel caso di esternalità negative o di beni pubblici.La base delle preferenze e delle produttività dei singoli agenti economici, è anche chiaro che in condizioni realistiche nessun pianificatore centrale potrebbe mai disporre di sufficienti informazioni per attuare una tale soluzione. E se anche il pianificatore sociale centrale fosse "benevolo" e "pienamente informato", non potrebbe rimpiazzare l'allocazione competitiva dei beni con un'altra capace di aumentare il benessere di ogni singolo consumatore. Sarebbe dunque preferibile affidarsi a soluzioni decentralizzate, quale il meccanismo di mercato in concorrenza perfetta, che raggiungono un equilibrio in condizioni di ottimalità Paretiana senza richiedere che alcun agente disponga di una quantità non realistica di informazioni.
Primo teorema dell'economia del benessere: Il primo teorema dell'economia del benessere afferma che le condizioni di efficienza paretiana sono realizzate in una particolare configurazione.
istituzionale costituita da un'economia decentrata di concorrenza perfetta. In altre parole, l'allocazione dell'equilibrio del mercato in concorrenza perfetta è Pareto-efficiente. È una situazione in cui non è possibile, attraverso modificazioni delle condizioni di produzione e scambio, migliorare il benessere di un individuo senza diminuire quello di qualche altro individuo. Il primo teorema vale solo se non sono presenti fallimenti di mercato, dunque: monopoli o altre forme di mercato non concorrenziale, beni pubblici, asimmetrie informative. L'intervento dello Stato così diviene necessario per correggere l'esito del mercato in presenza di fallimenti di mercato e dunque renderlo efficiente, attraverso: fornitura di beni pubblici e servizi che non sarebbero forniti in quantità ottimali a causa delle asimmetrie informative, antitrust e regolazione dei mercati. Tale equilibrio concorrenziale può essere efficiente, manon è detto che sia anche equo, cioè che corrisponda ai giudizi di valore distributivi che la società esprime. Per trovare l'ottimo sociale, cioè una allocazione che non è solo efficiente, ma anche equa, è necessario disporre di un criterio di scelta tra i punti della frontiera dell'utilità. Di conseguenza, se l'allocazione di equilibrio concorrenziale non corrisponde all'ottimo sociale, come ci si può arrivare? In soccorso a tale dilemma nasce il secondo teorema dell'economia del benessere.
Fallimento di mercato: situazioni in cui non si ha concorrenza e perciò lo Stato dovrebbe intervenire.
Secondo teorema dell'economia del benessere
Il secondo teorema dell'economia del benessere afferma che ogni allocazione Pareto-ottimale può essere raggiunta attraverso l'uso di imposte o trasferimenti in somma fissa (lump sum taxes) garantendo tutte le condizioni di efficienza (concorrenza).
non ci dice nulla sulla distribuzione di quel punto sulla frontiera. In altre parole, il I teorema ci dice che esiste un equilibrio competitivo, ma non ci dice quale sia l'equilibrio specifico. Il II teorema, invece, ci dice che ogni punto sulla frontiera delle utilità può essere raggiunto come equilibrio competitivo, a condizione che siano soddisfatte alcune condizioni tecniche. Questo significa che, in teoria, è possibile raggiungere qualsiasi distribuzione di utilità desiderata attraverso un processo di scambio concorrenziale. Tuttavia, è importante sottolineare che il II teorema si basa su alcune ipotesi molto forti, come l'assenza di esternalità e la completa informazione. Inoltre, il II teorema non ci dice nulla sulla giustizia o l'equità della distribuzione raggiunta. Può essere che una distribuzione sia efficiente dal punto di vista economico, ma ingiusta dal punto di vista sociale. In conclusione, i teoremi dell'economia del benessere ci forniscono importanti risultati teorici sul funzionamento dei mercati competitivi, ma non rispondono a tutte le domande sulla distribuzione delle risorse e sulla giustizia sociale.