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INFLUISCE SUI DIFFERENZIALI SALARIALI FRA LAVORATORI QUALIFICATI E NON
QUALIFICATI: per es. nel periodo della competizione globale i nuovi paesi produttori
fanno una concorrenza sleale basata non sull’efficienza produttiva, ma su altri elementi
( come bassissimi costi della mano d’opera, nessun rispetto delle leggi anti inquinamento
ecc. ). Tutto questo, ovviamente, comporta minori costi per le imprese. Le imprese dei
paesi industrializzati non possono più competere con la concorrenza di questi nuovi paesi
produttori in termini di prezzi. l’unica possibilità che hanno è specializzarsi nella
produzione di prodotti di qualità, che possono vendere ad un prezzo maggiore. Per
produrre prodotti di qualità queste imprese devono disporre di lavoratori qualificati e ne
hanno bisogno non solo per la produzione di questi prodotti, ma anche per poterli vendere
( devo essere soggetti capaci di poter convincere i consumatori a comprare quale
prodotto, in quanto è di qualità superiore rispetto ad altri ). Questo ha fatto aumentare il
salario dei lavoratori qualificati. Non solo, ma negli anno 90 i lavoratori qualificati sono
stati sempre più richiesti, mentre i lavoratori meno qualificati sono rimasti con un pugno di
mosche in mano, sia per la concorrenza delle nuove imprese sia per l’ingresso degli
immigrati i quali, ovviamente, accettano di lavorare anche a salari bassi.
2.3. LE QUALIFICHE DEL LAVORO
Il lavoro ha diverse qualifiche, questo significa che i lavoratori che hanno certe qualifiche
non possono fare concorrenza ai lavoratori che hanno altre qualifiche. I neoclassici hanno
dato una soluzione al problema affermando che le diverse qualifiche del lavoro non
escludono che il sistema possa giungere ad una situazione di pieno impiego. In
particolare, il neoclassico Pigou ha affermato che in realtà non c’è un unico mercato del
lavoro, ma ci sono diversi segmenti del mercato del lavoro ed in ognuno di questi segmenti
ci sono dei lavoratori con determinate qualifiche. In questo caso una situazione di pieno
impiego è possibile: in ognuno di questi segmenti ci saranno i disoccupato involontari che
faranno concorrenza agli occupati, si farà pressione sui salari e il salario cadrà. Da qui si
giungerà ad un livello tale da consentire il pieno impiego. Inoltre, ci saranno salari di
equilibrio diversi nei vari segmenti. Quindi, coloro che rimarranno disoccupati saranno solo
quelli volontari, ovvero colo che accetterebbero di lavorare solo ad un salario più alto.
2.4. LA DISOCCUPAZIONE DERIVANTE DAL PROGRESSO TECNICO E
DISOCCUPAZIONE TECNOLOGICA
Anche qui, di questo tipo di disoccupazione se ne occuparono i seguaci di Keynes, mentre
non se ne era occupato lo stesso Keynes perché egli disse “ occupiamoci dei problemi
attuali, di quello che accadrà in seguito se ne occuperanno gli altri”. Il progresso tecnico
non è un qualcosa che avviene nell’immediato ma, di solito, avviene con delle ricerche
effettuate dai ricercatori delle imprese. Questo avviene o per produrre un prodotto nuovo
da immettere sul mercato o per innovare un prodotto già esistente ( per es. si è passati
dai telefono ai cellulari ), e allora si parla di innovazione di prodotto, o per introdurre
nuovi macchinari, e allora si parla di innovazione di processo. Normalmente i nuovi
macchinare servono per sostituire i lavoratori: l’impresa riduce i costi della mano d’opera,
licenzia lavoratori e si crea disoccupazione. Per i classici questo, comunque, non
rappresentava un grosso problema perché loro dicevano che è vero che l’introduzione di
nuovi macchinari può creare disoccupazione, ma si tratta di un effetto temporaneo: infatti,
l’imprenditore ora avrà profitti più alti e sarà indotto a voler aumentare la produzione. Per
aumentare la quantità prodotta avrà bisogno di lavoratori, e quindi dovrà aumentare
l’occupazione. Tutti i classici erano d’accordo su questo, tranne Ricardo. Lui, pur essendo
un neoclassico, afferma che il progresso tecnico può creare disoccupazione perché
non è un qualcosa che si verifica “una tantum”, ma è un processo continuo: può
esserci un impresa che lancia un macchinario nuovo e prima ancora che la
disoccupazione rientri ci può essere, nel frattempo, un’altra impresa che introduce un altro
macchinario e crea di nuovo disoccupazione e così via. Non a caso, questa
disoccupazione è anche chiamata ricardiana.
Sebbene, come abbiamo detto, Keynes non si sia preoccupata della disoccupazione
derivante dal progresso, egli scrive in una sua opera di essere preoccupato per una nuova
malattia che avrebbe afflitto i posteri, ovvero la disoccupazione tecnologica. Tuttavia egli
non analizza questi aspetti, che verranno, invece, analizzati da un suo successore,
Kaldor, il quale afferma che l’effetto del progresso tecnico sarà quello di creare
disoccupazione. Cosa succederà in seguito, però, è molto incerto, non è sicuro che
l’effetto iniziale negativo venga compensato da un effetto positivo in seguito, perché
questo dipenderà dall’impresa, da quanto produrrà e da quanto venderà all’estero. Quello
che è sicuro è che l’effetto iniziale è negativo.
2.5. LA POLITICA MONETARIA
Innanzitutto dobbiamo partire da cosa sono le banche: le banche sono delle istituzioni che
hanno la funzione di raccogliere fondi dal pubblico e concedere prestiti a chi ne ha
bisogno. Il termine banca è un termine molto generico perché esistono vari tipi di banca, la
banca centrale per es. che coordina il sistema bancario nazionale. Vi sono, poi, le c.d.
banche ordinarie ( cioè quelle che raccolgono fondi e fanno prestiti ), le banche di
deposito, ( anticamente erano quelle banche che ricevevano moneta metallica dal cliente
ed emettevano dei “biglietti” come ricevuta dell’avvenuto deposito ), le banche di
emissione che emettevano carta moneta in quantità superiore rispetto alla moneta
metallica che vi veniva depositata, quindi senza rispettare dei criteri di proporzionalità tra
l’uno e la moneta metallica ( questo poteva creare dei problemi, tuttavia queste banche
non si preoccupavano perché difficilmente poteva accadere che i clienti chiedessero tutti
nello stesso momento di cambiare carta moneta in moneta metallica ).
Cos’è la politica monetaria? La politica monetaria può essere definita come
l’insieme di misure che incidono sulla quantità di moneta in circolazione in un
sistema economico. Che cos’è la moneta? La moneta è l’insieme
dei mezzi di pagamento a disposizione della collettività. La moneta va distinta dalla
c.d. base monetaria, che è l’insieme delle banconote e monete metalliche stampate e
coniate dagli istituti che ne hanno il potere, in genere le banche.
LA MONETA SVOLGE TRE FUNZIONI FONDAMENTALI:
a) unità di conto ( i prezzi dei beni e dei servizi sono espressi in moneta )
b) strumento di pagamento
c) riserva di valore ( perché la moneta è uno strumento di investimento e serve a
trasferire potere d’acquisto nel tempo )
la moneta è un bene che permette di essere accantonato nel tempo e utilizzarlo quando si
ha bisogno di comprare beni. Una volta si utilizzava il sale come moneta o, ancora, le pelli,
le luppine ecc. Esistono, poi, altre classificazioni di moneta:
M0= l’insieme delle banconote e monete in circolazione
M1= M0 + l’insieme dei depositi bancari in conto corrente
M2= M1 + tutti gli altri depositi in breve termine
M3= M2 + quote e partecipazione in fondi comuni monetari + obbligazioni con scadenza
originaria fino a due anni + operazioni pronti-contro termine effettuate dai residenti.
NOTE: Gli strumenti della politica monetaria possono essere: la base monetaria, il tasso
di interesse, il coefficiente di riserva obbligatori ecc. Alcuni obiettivi della politica
monetaria possono essere ad es. il livello di reddito di pieno impiego, o contenere il
tasso di inflazione o, ancora, l’equilibrio nei conti con l’estero.
2.6. CANALI DI CREAZIONE DELLA BASE MONETARIA
Le banconote vengono create come contropartita di specifiche operazione, che sono:
1) finanziamenti al tesoro. La banca centrale emette carta moneta per rispondere alle
esigenze del governo, che possono aver bisogno di prestiti. Tuttavia la banca non ha alcun
obbligo a prestare denaro al governo.
2) finanziamenti alle banche. La banca centrale può venire incontro alle esigenze delle
banche ordinarie. Queste possono richiedere liquidità alla banca centrale cedendo i titoli
che hanno presso i loro creditori.
3) finanziamenti al settore estero.
4) operazioni in mercato aperto. L’acquisto e vendita di titoli. l’acquisto di titoli è una
politica monetaria espansiva ( perché la banca immette liquidità nel mercato), mentre la
vendita è una politica monetaria restrittiva.
LA MONETA È UN MULTIPLO DELLA BASE MONETARIA.
PARTE PER L’ ESAME ORALE
CAPITOLO 3
LE PROBLEMATICHE DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE
3.1. LA BILANCIA DEI PAGAMENTI
La bilancia dei pagamenti è un prospetto contabile che registra tutte le transazioni
che avvengono tra residenti in un paese e non residenti in un certo periodo di
tempo. in altre parole, riguarda le transazioni tra un paese e il resto del mondo.
ATTENZIONE: la residenza non deve essere confusa con la cittadinanza: la residenza
indica l’abituale dimora. Non bisogna, poi, confondere la bilancia dei pagamenti col
bilancio dello stato: quest’ultimo, infatti, è un conto che riguarda le entrate e le uscite dello
stato.
La bilancia dei pagamenti si compone di quattro funzioni:
1) fase delle partite correnti ( quella che viene comunemente chiamata bilancia
commerciale ). Essa riguarda le esportazioni e le importazioni di beni e servizi.
2) movimenti in conto capitale, ovvero gli investimenti all’estero
3) movimenti in conto finanziario
4) errori od omissioni
la bilancia dei pagamenti funziona secondo la partita doppia. L’andamento della bilancia
dei pagamenti è determinante per la creazione della base monetaria.
3.2. LE POLITICHE COMMERCIALI
Le politiche commerciali utilizzate nel commercio internazionale sono il libero scambio,
che consiste nel favorire al massimo la libera circolazione di beni e servizi, e il
protezionismo, che pone delle restrizioni o tramite dazi o tramite altre misure. Vi è un
dibattito, sorto diversi anni fa, su qual è la politica migliore tra queste due.
Il libero scambio è la politica adottata dai Classici e dai Neoclassici, Smith per es. ne era
a favore perché una politica come questa favoriva la divisione del lavoro e la ricc