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La nascita del teatro pirandelliano
L’interesse di Pirandello per il teatro fu molto precoce: si trattava di una vera e propria passione,che diede luogo a progetti ed esperimenti fin dalla prima giovinezza. Solo alla fine del primodecennio del Novecento debuttò sulla scena con la rappresentazione tenuta a Roma degli atti uniciLa morsa e Lumié di Sicilia, ma l’esordio nel grande giro del teatro nazionale, anche se senzasuccesso, si ebbe a Milano nel 1915 con il dramma Se non così…, nuova versione del precedente Ilnibbio.Più soddisfacenti risultati produsse invece il rapporto con Martoglio e con il teatro dialettalesiciliano: qui abbiamo un grande impegno di Pirandello nella vita teatrale, che intorno al 1915assunse quasi l’aspetto di una “conversione” dalla narrativa al teatro.In una prima fase, egli lavorò contemporaneamente al teatro in lingua e a quello in dialetto,preparando per molte commedie versioni diverse.italiane e dialettali.Il diretto impegno di Pirandello nel teatro costituì l’atto di nascita di un nuovo tipo di dramma,che sconvolgeva gli schemi del dramma borghese e si presentava con caratteri dissacranti eaggressivi, che rispondevano a un sotterraneo disagio, lo stesso che si esprimeva nella suanarrativa umoristica.
Nel teatro Pirandello riconosce la forma espressiva più adatta a rappresentare la sua visione dellarealtà: sul palcoscenico, infatti, traspare il contrasto tra maschera e persona, fra vita e forma equindi fra realtà e finzione.
Troviamo:
- L’autonomia del personaggio: egli pensa che il personaggio debba avere dei trattiessenziali immutabili nel corso dell’opera, in modo da diventare autonomo, indipendentedall’autore e attore;
- L’artificiosità dell’opera teatrale: l’opera teatrale umoristica deve diventare beffa eparodia di sé stessa, deve sdoppiarsi per dimostrare la propria
comunicazione tra i personaggi.
Sei personaggi in cerca d'autore di Pirandello con Sei personaggi in cerca d'autore arrivò a una vera e propria frattura dell'organismo drammatico e scenico, che fa di quest'opera, scritta tra il 1920-21, uno dei cardini di tutto il teatro del Novecento.
Il teatro e i suoi meccanismi vengono qui messi a confronto con qualcosa che piove sui personaggi dall'esterno, dal mondo della fantasia.
Mentre una compagnia di attori sta provando Il giuoco delle parti, irrompono sul palco sei figure, i membri di una famiglia, personaggi rifiutati dall'autore che li ha concepiti, i quali chiedono con insistenza al capocomico di mettere in scena il dramma che hanno vissuto, la loro vita autentica che nessun autore ha trasposto sul piano della forma artistica.
Alla finzione del teatro e dei suoi meccanismi i personaggi oppongono così la loro volontà di vivere la loro vita autentica e disperata, in cui si ripete l'angoscia.
per colpe da cui è impossibile sottrarsi. Il conflitto tra vita autentica e i meccanismi teatrali dà luogo qui a un'espansione del teatro nel teatro, che comporta una scomposizione critica e razionale delle strutture drammatiche tradizionali, aprendo la via al teatro d'avanguardia contemporaneo. Enrico IV Un'opera del 1922 esprime nel modo più intenso la ricerca di un destino tragico che viene mentita e contraddetta dalla meschina realtà dei rapporti sociali. Enrico IV si presenta, nel titolo e nei costumi scenici, come una tragedia storica, ma ben presto si scopre che si tratta solo di una tragedia della follia; il protagonista è un ricco che, in seguito a una caduta avvenuta durante una cavalcata storica in cui era mascherato da Enrico IV, è divenuto pazzo e crede di essere veramente l'imperatore medievale. Dodici anni dopo rinsavisce, ma i conflitti che vengono a crearsi con gli amici e i rivali di un tempo, la sua difficoltà aritornare nella realtà lo condanneranno a un tragicogesto finale che lo costringerà per sempre nel suo universo di follia. Personaggio di serietà assoluta, il falso Enrico IV può vivere la sua serietà tragica solo nel ridicolo della finzione della storia e nella follia. In questa tragedia lo scontro tra il mondo sublime della storia e quello volgare della quotidianità borghese si svolge con una moltiplicazione di piani scenici, con una sottile divaricazione tra tempi, immagini, livelli stilistici diversi; in ogni momento del dialogo vengono a intrecciarsi prospettive opposte: realtà e finzione, passato e presente, giovinezza e vecchiaia, dolore reale e illusioni della scienza, serietà e ridicolo. L'ultima narrativa pirandelliana Mentre si confronta con il teatro, Pirandello riduce notevolmente la sua produzione narrativa, facendone lo strumento per un'indagine più interna e segreta: egli cerca ora più ostinatamente.diavvicinarsi a quellavita nuda, a quella verità intima e autentica, di cui nelle altre opere aveva spesso affermato l'inafferrabilità. Tensioni verso le prospettive più diverse si incontrano nell'ultimo romanzo pirandelliano, Uno, nessuno e centomila; la lunga elaborazione, che aveva preso avvio già intorno al 1910, continuò variamente fino alla prima edizione sulla rivista La Fiera letteraria, tra il dicembre 1925 e il giugno 1926. Il tessuto narrativo raggiunge qui un'estrema disintegrazione, frantumandosi nelle riflessioni, divagazioni, fratture, digressioni di un ininterrotto monologo. Vitangelo Moscarda, personaggio che riassume in sé i tratti di molte altre figure pirandelliane, dissolve ogni consistenza della realtà narrativa e della propria stessa persona parlante, oscillando tra una corrosiva comicità e un malinconico furore intellettuale: come suggerisce lo stessotitolo,l'unità del soggetto parlante svanisce nel nulla e nello stesso tempo si moltiplica in infinite varianti, regolate dallo sguardo degli altri. Pirandello, la politica, il fascismo. Per tutto il lungo periodo che precede il successo teatrale, fino al 1920 circa, Pirandello guardò con radicale distacco al sistema di potere giolittiano e agli stessi intellettuali che vi si opponevano; nutrì una forte diffidenza verso l'idealismo, l'irrazionalismo, l'estetismo. Anche per lui risultò essenziale il contatto con le ideologie della "vita" allora circolanti; ma, come si è visto, la sua ricerca della vita autentica si fondò su un pessimismo che svalutava il mondo sociale. Egli non abbandonò mai una posizione di patriottismo conservatore, che lo portò a una piena adesione all'intervento dell'Italia nella Prima guerra mondiale; ma anche in questa occasione egli mantenne uno spirito critico e un senso didistanza. In questo stesso periodo Pirandello acquisisce d'altra parte un nuovo senso della modernità, della vitalità e dell'energia, avvicinandosi (specie nel suo lavoro teatrale) anche alle tendenze delle avanguardie. Il suo nazionalismo e il suo spirito di conservazione sociale si intrecciano ambiguamente con l'aspirazione al movimento e all'energia, e lo portano a vedere nel fascismo una specie di compimento degli ideali risorgimentali, una sintesi tra modernità e tradizione, che parrebbe promettere la realizzazione di quei valori vitali che il grigio mondo dell'Italia postunitaria aveva umiliato e cancellato. L'adesione ufficiale di Pirandello al fascismo nel 1924 volle essere una specie di definitivo rifiuto del mondo dell'Italia liberale giolittiana: nel fascismo egli credette di vedere il movimento della "vita" che distruggeva le "forme" consunte di una realtà di maschere e menzogna. Egli siinizio.