ACCIAMO ATTENZIONE AL PRIMO HE DEITTICO TESTUALE QUESTO POTREBBE AVERE SIA FUNZIONE CATAFORICA
, , , ,
ANTICIPANDO QUALCOSA CHE VERRÀ DETTO IN FUTURO O ANAFORICA RIFERENDOSI AL TITOLO CHE A TUTTI GLI EFFETTI
.
DEVE ESSERE CONSIDERATO COME LA PRIMA SEQUENZA DEL TESTO
Continuiamo il nostro lavoro riguardante l’individuazione dei deittici nel testo di Hemingway:
soffermiamoci sul deittico testuale di terza persona singolare it: ci chiediamo se la sua funzione sia
anaforica o cataforica e giungiamo alla conclusione che sia cataforica.
OSTENSIONE:
facciamo un lavoro etimologico del termine, che deriva dal latino ostendere, “mettere davanti, far
vedere”: l’ostensione indica quei momenti di comunicazione muta, in cui comunica la realtà nel suo
esserci, darsi ed eseguirsi; certamente avviene un momento di comunicazione di senso, ma questo
è dato dalla realtà e il significato non è veicolato da un messaggio verbale.
Ex. n.1. Supponiamo che un uomo, in pieno inverno, stia indossando una camicia a mezze maniche
e sia tremante e piangente: non traduce la sua comunicazione in semiosi verbale, eppure ci
comunica il senso di disagio che sta provando in questo momento muto di comunicazione.
Ex. n.2: Supponiamo poi che una mamma apra la porta della stanza di un bambino e dice “ma che
bell’ordine”: il messaggio è ironico e sensato, perché preceduto da un momento di ostensione in cui
a comunicare il messaggio non verbale è stata proprio la camera, probabilmente in disordine.
Proviamo a fare un confronto tra deissi e ostensione, due momenti in cui si vede intervenire in modo
significativo la realtà: la differenza tra i due momenti della comunicazione, nel caso dell’ostensione
comunica la realtà e non interviene semiosi verbale; nel caso della deissi abbiamo comunque un
intervento della realtà che ci permette di decifrare il significato di una parola, quindi qui abbiamo
dei segni linguistici.
Osserviamo l’interazione tra i fattori costitutivi della comunicazione verbale: a volte è complesso
stabilire dei confini, poiché se ci riferiamo a un certo momento della comunicaziojne. Eci chiediamo
a quale fattore attribuirlo spesso non ne siamo capaci.
Ex. sorriso
Vediamo due esempi: il primo si riferisce a un antropologo occidentale, amico di un antropologo
cinese, che va a salutare in Cina: apre la porta la figlia, che gli comunica il decesso del padre e nel
frattempo sorride; in alcune culture, come nelle culture orientali, ci sono convenzioni che ci guidano
nella modalità in cui esprimiamo le emozioni; in seguito la ragazza accompagna l’antropologo presso
il cimitero e lì scoppia a piangere. Il sorriso iniziale con cui la figlia accoglie l’antropologo è dettato
da una convenzione, è un sorriso di semiosi contestuale; al contrario l’atto del pianto è un gesto di
ostensione.
Un secondo esempio legato al sorriso è quello dell’attore: quando l’attore sorride a teatro segue un
copione, un’indicazione, quindi in quel caso il sorriso è un atteggiamento convenzionale, non
naturale poiché siamo nel caso del ludus, che si traduce in inglese con play, altra parola legata alla
dinamica del gioco.
Lavorando sul termine ludus, una parola che appunto significa gioco, attività regolata, e che è
utilizzata con la stessa frequenza di iocus, una parola diversa che sta ad indicare un’attività
scherzosa, e non il gioco.
Il gioco simula la realtà, per questo il termine ludus pian piano ha sviluppato il significato di
“inganno”, che ritroviamo in alcuni verbi come ingannare o deludere.
Procediamo con un nuovo aspetto del percorso che ci conduce alla dispensa storica: prima di
analizzare il discorso riguardante il passaggio dalla linguistica prescientifica allo strutturalismo,
esplicitiamo la ragione per cui andiamo a prendere la storia prelinguistica.
Analizziamo la storia della linguistica che ci precede perché prendiamo il nostro modello della
comunicazione verbale che è il risultato di una rivisitazione del passato, in cui linguisti che ci
precedono hanno individuato i fattori costitutivi del modello della comunicazione verbale; ci
agganciamo quindi alla tradizione che ci precede, lavoro fondamentale per descrivere i fenomeni
linguistici.
Goethe, nel Faust, in un passaggio descrive proprio questo rapporto con la tradizione:
ciò che hai ereditato dai tuoi padri riguadagnatelo, per possederlo.
Ciò che ci viene dal passato va sfidato con le domande che a noi si aprono; in ta, modo, facendo
tesoro del passato, sviluppiamo ulteriormente attraverso un passo ulteriore; il passato ci permette
di prendere in esame questo stesso, il presente e il futuro, in modo tale anche da portare avanti
l’innovazione, che deve necessariamente essere confrontata con la tradizione.
I modelli delle varie scuole ci hanno quindi permesso di arricchire la nostra riflessione.
NASCITA DELLA LINGUISTICA
Quando è nata la linguistica? La riflessione sulla lingua è antichissima: da quando l’uomo riflette su
di sé, riflette anche sulla lingua: in passato la riflessione sulla lingua si svolge in maniera affine a
quella filosofica. A partire da un momento, la riflessione linguistica è diventata autonoma: la nascita
della linguistica si identifica con la pubblicazione dell’opera di Franz Bopp, nel 1816, momento in cui
quindi nasce la disciplina scientifica della linguistica come autonoma. L’opera di Bopp riguarda il
sistema di coniugazione del sanscrito a confronto con il sistema di coniugazione della lingua greca,
latina, persiana e germanica: nasce un primo confronto tra le lingue.
La linguistica viene fatta nascere con un orientamento storico-comparativo: si comparano le diverse
lingue per ricostruire una matrice, una protolingua, ossia una lingua originaria da cui sono discese
le parole delle lingue europee.
Quando nasce la linguistica come disciplina autonoma questa nasce come disciplina storica, in una
riflessione diacronica, che guarda lo sviluppo delle lingue attraverso il tempo.
A un certo punto, a cavallo tra Ottocento e Novecento, nasce l’esigenza di indagare le lingue
osservando nella struttura non lo sviluppo attraverso la storia, ma l’indagine della struttura, per cui
la prospettiva diventa sincronica, e la riflessione è presa in un momento preciso del tempo: questo
orientamento è tipico dello Strutturalismo, il cui fondatore è Saussure, ma che comprende i
precursori cel movimento che, pur vivendo in contesti geografici lontani hanno anticipato la
riflessione di Saussure.
Stiamo percorrendo il segmento di storia della linguistica analizzando i precursori dello
Strutturalismo: se questo movimento ha come fondatore Saussure ma abbiamo degli autori che
sviluppano nella loro riflessione linguistica degli accenti che sanno di Strutturalismo.
Parliamo di due autori che fanno parte della Scuola di Kazan’, una scuola russa, fondata da Baudouin
che Courtenay, che ebbe come allievo Kruszewski.
Baudouin de Courtenay:
in uno dei primi testi prende in esame la fonetica, lo studio dei foni: definisce l’oggetto della fonetica
e laddove definisce la fonetica introduce un orientamento strutturalista: la fonetica ha due oggetti,
i suoni dal punto di vista fisiologico, quindi anche dal punto di vista della genesi e dello sviluppo,
quindi dal punto di vista diacronico; il secondo oggetto è quello di studiare la funzione dei suoni nel
meccanismo della lingua prendendo in esame il loro funzionamento, un anticipo dello
Strutturalismo data l’importanza del ruolo dei suoni nel sistema linguistico.
In un testo successivo definisce il fonema e segnala che ciascun parlante ha in sede mentale questi
fonemi, che sono per definizione unità fonetiche vive sul piano psichico, una sorta di matrice dei
vari suoni che andremo ad articolare.
Il fonema è quindi una sorta di prototipo dei suoni, che abbiamo in sede psichica e che rende
possibile l’articolazione del suono per n occasioni: anche in questa definizione del fonema Baudouin
si colloca in un momento sincronico della lingua.
Kruszewski:
anche in lui troviamo delle anticipazioni dello Strutturalismo: prende in esame la lingua francese, in
cui troviamo parole di altra origine e che, una volta entrate nella lingua francese, si adeguano alle
leggi innanzitutto fonetiche della lingua; ciò vale anche dal punto di vista semantico, del significato,
per cui non ci dovranno essere delle parole, presenti nel lessico francese, con lo stesso significato.
La conclusione è che la lingua è un tutto strutturato, un insieme di elementi governati da leggi sul
versante del suono o del significato.
Kruszewski svolge una riflessione interessante sulla modalità con la quale apprendiamo le parole:
quando apprendiamo le parole queste non vengono imparate a memoria, bensì si individuano degli
elementi già noti al parlante grazie ad associazioni, per somiglianza o similarità.
Esiste un altro tipo di associazione, di contiguità: le parole contraggono tra di loro anche dei rapporti
sulla catena fonica, dei nessi nell’asse della contiguità, a livello semantico, sintattico e morfologico.
Ciascun enunciato si colloca sull’asse della somiglianza e della similarità, o sull’asse dell’equivalenza:
la linguistica nell’800 svolge di riflessioni per lo più diacroniche, storiche, ma in questi due linguisti
troviamo un’impostazione tipicamente strutturalista, quella sincronica.
FERDINAND DE SAUSSURE (1857-1913)
Il testo più diffuso di Saussure è il Cours de la linguistique générale, scritto dai suoi appunti che
presero appunti; infatti, per questo alcune pagine sono di difficile interpretazione. In italiano il testo
è stato tradotto da De Mauro, nel ’70.
Ecco i punti dell’opera saussuriana:
- Precisa dal punto di vista metodologico il suo approccio, proponendo le due alternative,
diacronia e sincronia: Saussure vive a cavallo tra Ottocento e Novecento e fu uno studioso
di linguistica storica; nasce in lui il desiderio di indagare la struttura della lingua, quindi
decide di operare in sincronia. Leggendo il Corso di linguistica generale Saussure all’inizio
pone queste dicotomie che indicano degli orientamenti metodologici e sceglie di operare in
sincronia.
- Fa una differenza tra linguistica interna ed esterna: Saussure capisce che quando decidiamo
di studiare una lingua questa si presenta come legata da una molteplicità di fatti
concomitanti, per esempio legata a uno spazio geografico in cui viene utilizzata ed è parlata
da un certo popolo, diviso in strati sociali, fattore esterno concomitante alla lingua. Questi
fattori costituiscono la linguistica esterna; ma proprio perché Saussure è interessato ad
indagare la struttura di una lingua prescinde da questi fattori di cui si
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