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LA DIVINA COMMEDIA
Difatti Dante scrisse la Divina “Commedia”, perché al suo interno non fa una selezione linguistica.
Dante arriva a questa consapevolezza dopo aver scritto per tutta la sua vita la Divina Commedia. Nella
Divina Commedia c’è una lingua che richiama lo stile comico sin dal titolo: presenta una lingua
pluristratificata, passando quindi dallo stile estremamente alto fino a quello estremamente basso. Il
plurilinguismo è quindi l’essenza stessa della Divina Commedia. Ci sono vari strati e vali stili diversi:
il fiorentino parlato (es: introcque (=intanto), parola che era stata condannata del DVE)
elementi plebei (es: “grattar la rogna”, scritto addirittura nel Paradiso / es: puttana, puttaneggiar)
elementi aulico-cortesi (es: amor ch’a nullo amato amar persona)
linguaggi speciali dei mestieri (es: gonne contigiate, ovvero le gonne ricamate)
lingua familiare (es: il pappo e il dindi = le pappe e i soldi)
latinismi o latino crudo, soprattutto quando parla di discorsi filosofici o scientifici
neo-coniazioni (es: infuturarsi, per dire “proiettarsi nel futuro”)
forestierismi (es: delle terzine scritte in provenzale, dette da uno scrittore provenzale del paradiso)
dialettismi, diversi dal fiorentino (es: issa (=adesso) detto da un personaggio lucchese)
C’è quindi una capacità di Dante di muoversi all’interno dei vari stili linguistici, utilizzati a seconda dei
personaggi che incontra o dei temi che tratta. Si possono vedere delle preferenze per determinati
linguaggi quindi a seconda del tema trattato. Nell’inferno infatti tende ad usare un linguaggio basso, ma
quando incontra personaggi cortesi come Paolo e Francesca tende ad utilizzare un linguaggio vicino allo
stile cortese. L’importante è però la mescolanza dei vari stili perché, per esempio, all’interno di un
discorso filosofico si possono trovare termini bassi. La capacità di Dante è data quindi dalla bravura di
mescolare gli stili in un unico discorso. Il linguaggio viene raccolto da Dante dalla realtà e viene fatto
“esplodere” tutto all’interno di un’unica opera. In questo modo, Dante riesce a descrivere il carattere
plurimo della realtà: la realtà è spesso disomogenea e si esprime quindi attraverso un linguaggio
anch’esso disomogenea. Per Dante quindi la difficoltà è quella di trovare una lingua che meglio riesca a
descrivere la complessità del reale. C’è quindi una perfetta aderenza tra la pluralità del mondo e la pluralità
del linguaggio che esprime la realtà. Da questo punto di vista, posiamo quindi parlare di un grande
“realismo linguistico”. È con quest’opera che Dante riesce a far vedere bene che cos’è il volgare.
Domanda: qual è l’opera che meglio descrive le idee del DVE? NON la DC, bensì la Vita Nova.
LA CIRCOLAZIONE DELLA DIVINA COMMEDIA
Come i contemporanei di Dante e i lettori successivi hanno percepito la lingua della DC?
La DC ha subito sin da subito un’enorme circolazione, probabilmente ancora prima di essere concluso e
probabilmente anche per cantiche separate. Subito dopo la morte di Dante, il testo comincia a circolare in
un’unica opera, soprattutto al nord. Le vicende le possiamo seguire tramite i manoscritti (siamo ancora in
un’epoca in cui le opere non potevano essere stampate perché non esistevano ancora le stampanti), che
erano un centinaio. Questo è un caso sconvolgente perché l’opera per circolare doveva essere copiata
interamente, o dagli appassionati o da degli esperti che venivano pagati per copiare le opere.
L’opera iniziò a circolare soprattutto in Veneto e in Romagna, perché gli ultimi anni della sua vita li passò in
queste zone. Dante dedicherà infatti l’opera allo stesso Cangrande della Scala, suo protettore. La
circolazione della DC non solo a Firenze è importante per identificare l’opera non come un’opera locale,
bensì come un’opera “italiana”, in cui tutti potevano riconoscersi.
È comprensibile come sin da subito gli intellettuali italiani che avevano una cultura volgare guardavano la
DC come un modello assoluto, sia a livello di temi che di lingua. La lingua della DC è una lingua capace di
parlare dell’intera realtà. Già in questa fase molto precoce comincia a diffondersi tra gli intellettuali
italiani di cultura volgare la consapevolezza che la lingua della DC poteva essere il modello di una lingua
letteraria comune in cui tutti gli italiani potevano riconoscersi.
Questo spiega le precoci tentazioni di imitazioni della lingua dantesca, che cominciano in Veneto sin da
quando Dante era ancora vivo. Non si deve intendere che questi intellettuali scrivessero in toscano, bensì
possiamo parlare di una sorta di imitazione di un codice espressivo. Per il resto, gli autori settentrionali
continuano a scrivere nel loro linguaggio municipale, adattandolo però al modello espressivo dantesco.
La funzione che ha svolto la lingua della DC per lo sviluppo della lingua italiana è fondamentale perché è la
prima opera che ha costituito per gli intellettuali a venire un modello imprescindibile. Ormai esiste un
modello di lingua poetico guardato da tutti, e siamo in un momento in cui non si può più tornare indietro.
EVOLUZIONE DELLA POESIA LIRICA AMOROSA
Nel 1300 si assiste ad uno sviluppo della linea lirica: i modelli della lirica siciliana e toscana si espandono in
altre regioni, sia dal punto di vista tematico che linguistico. In questo allargamento del campo di espansione
della poesia lirica amorosa si possono fare delle osservazioni:
si ha anzitutto un allargamento della base della poesia lirica amorosa.
1. Un allargamento geografico (passando da Sicilia, Toscana ed Emilia ad altre città emiliane e il
Veneto).
2. Questo allargamento vale anche dal punto di vista socio-culturale, nel senso che si allarga la
base dei poeti, andando ben oltre le cerchie ristrette che si avevano con le scuole siciliane o
con gli stilnovisti. Spesso nel 1300 ci sono poeti del rango basso, che spesso lavorano nelle
corti signorili, in cui si sviluppa un’intensa attività di intrattenimento cortigiano. La poesia lirica
amorosa viene spesso musicata e danzata. Difatti abbiamo adesso molti manoscritti musicali di
opere, di cui non si sa neanche l’autore.
Questo allargamento alla base porta anche ad un deterioramento del carattere aulico di questo
genere. Non siamo più difronte ad un gruppo compatto di intellettuali che si organizzano e
decidono uno stile comune. L’amore rimane l’argomento centrale e i nuovi poeti riprendono spesso
dei modi con cui l’amore era stato trattato dai poeti precedenti, solo che vengono ripresi in
maniera ripetitiva. Non c’è più quindi il tentativo di creare qualcosa di nuovo. Questo perché i
poeti cortigiani scrivono appunto delle poesie cortigiane, ovvero scritte per intrattenere le corti.
Tutto ciò ha delle conseguenze sul linguaggio. La lingua dei poeti precedenti era pura, tesa a purificare la
lingua da qualsiasi contaminazione plebea. Questa lingua viene effettivamente ripresa nel 1300, solo che
la selezione linguistica tende a diventare una povertà linguistica, a causa delle ripetitività dei concetti e
delle scene.
La scelta di Dante di scrivere la DC con una lingua così plurilinguista si può prendere anche come una
reazione rispetto alla povertà linguistica a cui stava andando incontro la lingua della poesia lirica amorosa.
Dante sceglie quindi una lingua nuova, non ripetitiva e molto ricca e variegata. C’è un cambiamento
radicale quindi sia nell’argomento che nella lingua.
La lingua però che ora si ha con le nuove poesia liriche amorosa ha avuto però la funzione di creare una
lingua comune in tutta Italia, pur essendo però una lingua impoverita. Lingua comune perché tutti hanno
adottato la stessa lingua, portando quindi ad un effetto di omogeneità. Lo sviluppo della poesia lirica va
quindi incontro ad un quadro di allargamento e di impoverimento.
FRANCESCO PETRARCA
Petrarca è l’unico che in questo periodo si distingue da tutto quello che invece stava succedendo. Scrive in
volgare due sole opere: “il canzoniere” e “i tronfi”. Il Canzoniere avrà una funzione importante per lo
sviluppo della lingua italiana, portando quest’opera, la Divina Commedia e il Decamerone ad essere i
modelli su cui si fonderà la lingua italiana.
IL CANZONIERE
Titolo originario: rerum vulgarium fragmenta
È diviso in due parti: la prima parte dedicata al momento in cui Laura era ancora viva e la seconda agli anni
a seguire dopo la sua morte, dovuta alla peste nera.
Abbiamo ora due manoscritti autografi, ovvero scritti direttamente da Petrarca, uno riporta l’intero
Canzoniere (scritto in parte da Petrarca e in parte dal suo segretario, anche se la parte del segretario è stata
corretta da Petrarca stesso) e un altro riporta fogli sparsi in cui aveva scritto delle poesie prima di copiarle
nel manoscritto completo. Nel caso di Petrarca abbiamo per la prima volta un testo che si vede per intero
alla volontà dell’autore, anche negli aspetti più minuti (nessuna opera di Dante ci è arrivata tramite
manoscritti autografi, bensì sono tutti dei manoscritti da altre persone, che può darsi abbiamo cambiato
delle parole o abbiamo sbagliato a trascrivere).
Petrarca era nato da famiglia fiorentina, solo che il padre era stato esiliato e si trasferisce ad Avignone
(Francia), dove si era trasferita la corte papale per cui il padre lavorava come notaio. Petrarca vivrà poi
principalmente tra la Francia e il Nord-Italia. Il suo fiorentino non è quindi acquisito dagli usi cittadini, ma
è un fiorentino familiare o acquisito dai testi che leggeva e studiava.
Petrarca opera fra il 1320 e il 1370, quando appunto la poesia lirica amorosa si trovava nel periodo di
allargamento e impoverimento. Noi possiamo leggere quindi l’opera di Petrarca come una forte reazione
rispetto alla crisi di impoverimento, da due punti di vista:
1. punto di vista dei contenuti. L’amore resta il tema centrale, ma viene portato ad una visione alta.
Non è più quindi una ripetizione, bensì propone una visione profonda dell’amore, spostando però il
punto di vista: non gli interessa la filosofia su cos’è l’amore, bensì la riflessione sugli effetti che
l’amore fa nella sua psiche.
2. punto di vista del linguaggio. La sintassi del periodo per la tradizione lirica era una sintassi
elementare, che si basava sull’accostamento di frasi semplici. Per Petrarca la sintassi si basa invece
su frasi subordinative, portando quindi ad un&