Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
York e Giona di Orléans, impegnati nell’elaborazione di riflessioni e trattati sui modelli corretti di
comportamento cristiano sia per il clero sia per i laici. Tali intellettuali furono attivi anche
nell’elaborazione ideologica di un modello di regalità, con la figura del re che era assimilata a quella
di Cristo: il potere del re, tramite la consacrazione dei vescovi e la loro collaborazione, restituiva in
terra il regno di Dio.
21. Economia e società altomedievali
749: Si tratta della data simbolica in cui Carlo Magno avrebbe emanato il capitulare de villis, ovvero
l’insieme di regole che voleva fossero osservate nella gestione delle grandi aziende agricole del regno,
dette villae o curtes. Tornava ad esserci un piano pubblico per l’aumento della produttività agricola. Il
capitolare introdusse l’obbligo per gli amministratori regi di redigere inventari dettagliati delle grandi
proprietà, che dovevano censire le terre, i mezzi di produzione, le riserve e anche i lavoratori
dipendenti, servi e liberi. Anche i monasteri regi seguirono le disposizioni e predisposero così grandi
inventari, detti polittici, che i loro archivi hanno conservato fino a noi.
Nell’età tardoantica, con il diminuire del numero degli schiavi e l’aumentare della pressione fiscale
per il mantenimento dell’esercito, i grandi proprietari sperimentarono un sistema che si rivelò
maggiormente produttivo rispetto a quello schiavista: i latifondi vennero suddivisi in tante piccole
unità produttive e affidati alla gestione di contadini (liberi/servi), pretendendo da loro un affitto che
poteva essere corrisposto in denaro/natura. Direttamente coinvolti nella gestione di un fondo loro
affidato, l’efficacia produttiva in un primo tempo aumentò, ma con il passare del tempo le richieste
sempre più onerose dei proprietari peggiorarono in modo significativo le condizioni della loro
esistenza.
Fino alla conquista vandala dell'Africa, lo stato romano aveva gestito una fitta circolazione di prodotti
lungo il Mediterraneo, che coinvolgeva tutte le regioni dell’impero. Si trattava di trasferimenti di
natura fiscale o prelievi dello stato sotto forma di derrate alimentari/prodotti artigianali che dalle
regioni di produzione venivano distribuiti nelle altre aree dell’impero. I mercanti sfruttavano questa
rete di trasporti gestita dallo stato per commercializzare in modo autonomo prodotti specifici
(soprattutto ceramica da mensa e beni di lusso). Questo sistema di scambi gestito dallo stato aveva
attivato una forte specializzazione produttiva delle diverse regioni dell’impero: la Sicilia e la costa
africana producevano grano, dalle coste mediorientali arrivavano olio e vino, dall’Egitto papiro e
tessuti. Quando l’impero entrò in crisi, il sistema iniziò a sfaldarsi fino a scomparire: cessata la
circolazione su ampia scala di merci accessibili a tutti, fu necessario riadattare le produzioni su base
locale, a detrimento vistoso della qualità e della quantità dei manufatti. Gli scavi archeologici hanno
accertato, per esempio, che nella Britannia del secolo V la ceramica scomparve quasi totalmente,
perché mancavano sul posto le competenze per produrla e perché solo un’élite molto ristretta poteva
permettersela. La crisi colpì duramente tutte le aree di produzione specializzata perché, una volta
venuto meno l’enorme mercato garantito dai collegamenti statali, non potevano più collocare i loro
prodotti e cessarono quindi le attività, con gravi conseguenze sull’intero sistema economico e sociale
delle regioni coinvolte.
Tra i secoli V e VI, si verificò un impressionante calo della popolazione nel continente europeo
occidentale: si stima la metà degli abitanti. Non esistono dati quantitativi certi, ma la diminuzione
dell’area occupata dagli insediamenti urbani/rurali e la regressione dei terreni agricoli in favore
dell’incolto ci permettono di effettuare stime credibili. Oltre alla crisi del sistema
economico/produttivo romano, un fattore rilevante per questa caduta della curva demografica può
essere rappresentato dai mutamenti climatici del periodo. Combinando infatti dati dendrologici (studio
degli anelli di crescita degli alberi plurisecolari) con i risultati delle indagini condotte sui diversi strati
di ghiaccio delle calotte polari, la climatologia storica ha identificato e datato con precisione alcune
drammatiche eruzioni vulcaniche (536 e 540) che dispersero nell’atmosfera enormi quantità di polveri
e di solfati. Le polveri si diffusero su tutto l’emisfero settentrionale della Terra e velarono il cielo per
almeno 18 mesi, causando una diminuzione drastica dell’irraggiamento solare. Le temperature estive
crollarono e avviarono un brusco cambiamento climatico detto “piccola età glaciale della tarda
antichità”. Questa piccola glaciazione, con lunghi inverni rigidi e brevi estati fresche e piovose, incise
senza alcun dubbio sulla produzione dei cereali maggiori (il grano soprattutto) e sulla maturazione di
uva e olive, ma ebbe effetti molto meno importanti per le popolazioni che coltivavano cereali più
resistenti/meno bisognosi di irraggiamento solare (come segale, miglio e panìco) e associavano a
questa agricoltura più semplice caccia, pesca e sfruttamento dell’incolto. Gli effetti più pesanti furono
avvertiti nella penisola italiana che, in coincidenza dei due picchi maggiori, stava affrontando la
durissima guerra greco gotica. Le grandi proprietà fondiarie scomparvero e la peculiare situazione
climatica non consentì certo di rimettere in funzione la produzione cerealicola in tempi rapidi: in
questo contesto poi si inserì anche la gravissima epidemia di peste.
I regni altomedievali rinunciarono ben presto ad imporre un prelievo fiscale sulla produzione
agricola/artigianale, a causa degli elevati costi per il mantenimento di un sistema amministrativo che
era già in crisi da tempo. Così il sostentamento venne garantito per mezzo della tassazione indiretta:
pedaggi e imposte che venivano riscossi per l’uso di porti, vie d’acqua, mercati e rendite che
provenivano dal patrimonio fondiario pubblico, il fisco. Si trattava di grandissime estensioni di terra,
solo parzialmente messe a coltura, gestite da una rete di amministratori regi che le assegnava a
contadini, in cambio di canoni in genere molto modesti. Quando i re e le loro corti si spostavano (non
esistevano capitali, fatta eccezione per Pavia nel regno longobardo) risiedevano nelle proprietà del
fisco, attuando una sorta di prelievo diretto/in natura dei surplus produttivi delle terre pubbliche. La
scomparsa della tassa fondiaria diminuì le richieste dei proprietari di terra nei confronti dei contadini
da loro dipendenti e in molte aree vennero meno anche le grandi proprietà (spesso appartenute
all’aristocrazia senatoria). In alcune aree, certamente nella penisola italiana e nel sud della Francia,
esistevano numerosi piccoli e medi proprietari, che talvolta coltivavano la loro terra oppure che
vivevano della piccola rendita che ottenevano affittando a terzi le loro proprietà.
Ebbe grande rilievo in questo periodo lo sfruttamento delle aree incolte, sia per attività di caccia e di
pesca, sia per l’allevamento brado degli animali (soprattutto i maiali, che si nutrivano delle ghiande
prodotte dalle querce). Le comunità di villaggio accedevano a queste risorse senza vincoli e si
organizzavano in una loro gestione condivisa. I ritrovamenti archeologici negli insediamenti rurali
europei mostrano una società molto semplice, poco diversificata negli stili di vita e che aveva a
disposizione oggetti di uso comune di produzione locale, in cui l’autoconsumo (ovvero il consumo
diretto da parte dei produttori) aveva un ruolo spesso predominante. Le condizioni di vita e di salute
delle persone erano poi decisamente migliori rispetto a quelle d’età romana, come dimostrano le
indagini condotte sui resti umani delle necropoli: mangiavano a sufficienza, con una dieta varia e ricca
di proteine animali, e potevano raggiungere e superare i 60 anni.
Tra i secoli VII e VIII le fonti scritte attestano la progressiva formazione di nuove grandi
concentrazioni fondiarie nelle mani dell’alta aristocrazia, che cerca di sfruttare razionalmente il
surplus produttivo attraverso il sistema curtense. Questo modello, che si adattava bene a gestire grandi
proprietà non coese (formatesi per accumulo progressivo di terre), si affermò nel nord del regno
franco e fu poi diffuso dalle conquiste carolingie. Il sistema prevedeva una bipartizione gestionale:
una parte gestita direttamente dal proprietario/da un suo delegato, per questo detta dominicum/pars
dominica, era dotata di magazzini per lo stivaggio/conservazione della produzione (a volte
accompagnati da impianti produttivi artigianali) e si avvaleva di manodopera servile a cui veniva
garantito vitto e alloggio a spese del proprietario (per questo venivano detti servi prebendari, con
prebenda che significa “mantenimento”); l’altra parte a conduzione indiretta, detta massaricium/pars
massaricia, consisteva invece in un numero più o meno grande di poderi/mansi che venivano affidati a
contadini liberi (massari)/servi (detti in questo caso casati, perché veniva loro assegnata una casa e la
gestione maggiormente autonoma di un podere), che erano tenuti a conferire alla proprietà censi in
denaro/canoni annuali in natura che corrispondevano a quote parte della produzione. Per quei
lavoratori liberi, che stipulavano con il proprietario un contratto scritto detto livello (libellum, da qui
la loro definizione di livellari), sappiamo che queste quote, pur molto variabili, corrispondevano
spesso a 1/3 o 1/4 dei cereali e a un ½ di vino e olio. La produzione degli orti, dei pollai e quanto
derivava dallo sfruttamento dell’incolto (piccola caccia, pesca, raccolta di frutti spontanei) rimaneva
nella piena disponibilità dei contadini. La connessione fra le due parti di una grande azienda curtense
era rappresentata dalle corvées, o prestazioni di opera (operae). Regolate dal contratto per i livellari,
talora arbitrarie per i dipendenti di condizione servile, le prestazioni d’opera procuravano manodopera
per le terre dominicali nei periodi dell’anno in cui i lavori agricoli richiedono maggiore impegno di
lavoro (aratura, mietitura, vendemmia) o mettevano a disposizione del proprietario persone che
potevano svolgere lavori di trasporto merci e manutenzione, comunque impiegabili secondo necessità.
I grandi proprietari aumentarono progressivamente il numero di corvées con l’obiettivo di accrescere
la produzione e facendo crescere la tensione nelle campagne.
Le tecniche agrarie dell’epoca erano poco produttive: il rapporto tra quantità di frumento seminato e
frumento raccolto era appena di 1:3, se non interven