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CSX.
Il piano Solo
Antonio Segni fu al centro della vicenda del “Piano Solo”. Il generale dei
carabinieri Giovanni De Lorenzo, ex capo dei servizi segreti militari, aveva
raccolto informazioni su oltre 100.000 italiani, usate per controllare e
ricattare l’élite politica e culturale.
Durante la crisi del governo Moro I, Segni voleva fermare l’alleanza di
centro-sinistra e formare un governo tecnico vicino al Presidente. Per
prevenire proteste come quelle del passato, ordinò a De Lorenzo di
preparare un piano per occupare Rai, sedi di partito e deportare 731
persone in Sardegna. Il piano sarebbe stato eseguito solo dai carabinieri,
violando la Costituzione.
Il piano rimase segreto ma alcune voci trapelarono. Nel 1967 una
commissione parlamentare lo indagò: la maggioranza lo definì ipotetico e
illegittimo, la minoranza lo considerò una reale minaccia antidemocratica.
Il Piano Solo non fu mai attuato perché DC, PSDI e PRI confermarono
l’alleanza con i socialisti, opponendosi a Segni.
Si parla anche di “doppio stato”, cioè uno ufficiale e uno occulto, ma
l’interpretazione è controversa. Negli ultimi anni alcuni documenti sono
stati resi pubblici.
Il governo Moro II
Dopo la scoperta del Piano Solo, Segni si dimise e si formò una nuova
maggioranza di centro-sinistra con Moro II. Prima di lasciare, Segni ottenne
la rimozione di Giolitti dal ruolo di ministro del bilancio. La
programmazione economica continuò, ma perse importanza rispetto al
passato.
Solo il 27 luglio 1967 fu approvato un programma economico
quinquennale (1966-1970), che recuperava anche l’anno ‘66 per
evidenziare il ritardo. Gli obiettivi erano quelli già indicati da La Malfa e
Giolitti: coordinare le risorse, sviluppare l’agricoltura, favorire
l’occupazione nel Sud, aumentare il reddito nazionale del 5% annuo,
accompagnare lo spostamento dall’agricoltura ai settori secondario e
terziario, migliorare sanità e previdenza.
Il programma però ebbe scarso effetto reale, perché gli enti pubblici
continuarono ad agire in modo autonomo e si mantennero meccanismi
clientelari.
Nel 1973 la programmazione nazionale si concluse, segnando la fine del
boom economico, anche a causa delle difficoltà monetarie e dello shock
petrolifero. Tuttavia, nella seconda metà degli anni ’60 furono approvate
diverse leggi più efficaci.
Tra queste, importanti riforme sanitarie: con la legge del 1968, gli ospedali
furono trasformati in enti pubblici, un passo verso il Servizio Sanitario
Nazionale che nascerà dieci anni dopo, riconoscendo la salute come
diritto per tutti. Nel 1968 fu introdotta anche la pensione retributiva per i
lavoratori dipendenti, che rimarrà in vigore fino agli anni ’90, quando sarà
modificata con il sistema contributivo.
Sempre nel ’68, la legge sull’autocertificazione semplificò molte procedure
burocratiche, ma restò in gran parte inapplicata fino agli anni ’90.
Infine, con la legge del 17 febbraio 1968 si stabilì la modalità di elezione dei
consigli regionali, anche se le prime elezioni si tennero più tardi, dopo una
legge sul finanziamento regionale.
La IV legislatura si chiuse nel 1968, anno di grandi contestazioni
studentesche e del movimento operaio, segnando l’inizio dell’“autunno
caldo”.
La V legislatura:
La V legislatura nasce dalle elezioni del 1968, che confermano la DC come
partito dominante con il 39,1% dei voti. In maggioranza c’è anche il Partito
Socialista Unificato, nato dalla fusione del PSI di Nenni e del Partito
Socialdemocratico di Saragat. Tuttavia, questa unificazione si rivela un
fallimento: il nuovo partito ottiene solo il 14,5%, meno della somma dei
due partiti separati nel 1963, e presto si divide di nuovo.
Da segnalare è il PSIUP, scissione di sinistra del PSI, che con il 4,4% si
oppone al centrosinistra. Il PCI, guidato da Luigi Longo dopo la morte di
Togliatti, cresce fino al 26,9% e inizia a prendere una posizione più critica
verso l’URSS, soprattutto dopo l’invasione della Cecoslovacchia nel 1968,
esprimendo dissenso senza però condannare apertamente.
Il clima politico è influenzato dal fermento internazionale del 1968:
movimenti studenteschi e operai scuotono anche l’Italia. Dal 1966 si
registrano scontri e mobilitazioni, culminate nel 1969 con la legge che
liberalizza l’accesso all’università, aprendo la strada alle “università di
massa”. Nello stesso anno, l’“autunno caldo” vede una forte mobilitazione
operaia per il miglioramento dei salari e dei diritti, in un contesto di
discriminazione verso lavoratori vicini a PCI e CGIL.
Sul fronte politico, Aldo Moro apre nel 1969 una prima “strategia
dell’attenzione” verso il PCI, ritenendo impossibile continuare a escluderlo
dal sistema politico. Contemporaneamente però, si intensifica la
cosiddetta “strategia della tensione”: il 12 dicembre 1969, la strage di
Piazza Fontana a Milano, attribuita a forze neofasciste, mira a creare un
clima di terrore per giustificare un governo autoritario di destra. Nel 1970 si
registra anche un fallito tentativo di golpe guidato da Junio Valerio
Borghese, che mantenne però contatti ambigui con l’ambasciata
americana.
Nonostante queste tensioni, la legislatura continua con i governi Rumor e
alcune importanti riforme:
• Nel 1970 viene approvato lo Statuto dei Lavoratori, una legge
fondamentale che tutela la libertà di espressione sul lavoro, vieta
indagini sulle opinioni politiche dei lavoratori e protegge dal
licenziamento ingiustificato, rafforzando la rappresentanza
sindacale.
Il passaggio tra gli anni ‘60 e ‘70: un decennio di crisi, violenze e
cambiamenti
Gli anni ’70 furono un periodo complesso e contraddittorio, segnato da
importanti trasformazioni culturali e politiche, ma anche da una crescente
violenza legata al terrorismo, sia di estrema destra che di estrema sinistra.
In questo decennio si affermò con forza il movimento femminista, che
nasceva dall’onda del ’68, diventando un protagonista centrale nel
dibattito sociale.
Dal punto di vista economico, gli anni ’70 rappresentarono la fine di
un’epoca di crescita stabile, basata sul modello fordista e sugli accordi di
Bretton-Woods, che garantivano la stabilità monetaria tramite la
convertibilità del dollaro in oro. Questo sistema venne messo in crisi dalla
spesa americana per la guerra in Vietnam, e dal 1971 Nixon abolì la
convertibilità del dollaro, scatenando una crisi monetaria in Europa. A
questo si aggiunse lo shock petrolifero del 1973, quando i paesi esportatori
di petrolio quadruplicarono il prezzo del greggio dopo la guerra dello Yom-
Kippur, causando inflazione e stagnazione simultanee (stagflazione).
In Italia l’impatto fu forte: l’inflazione passò dal 6,3% del 1972 al 20% del
1974, con un calo della produzione industriale e un aumento vertiginoso
del debito pubblico. Politiche di austerità e svalutazioni competitive furono
adottate per far fronte alla crisi, ma con effetti negativi sui prezzi e sulla
qualità della vita. Un nuovo shock petrolifero nel 1979 aggravò
ulteriormente la situazione.
Sul piano politico, gli anni ’70 videro la crisi del centrosinistra, con governi
instabili e un primo scioglimento anticipato del Parlamento nel 1972. Nel
1971 il presidente della Repubblica diventò Giovanni Leone, eletto dopo 23
scrutini, segnale delle tensioni interne alla Democrazia Cristiana e della
difficoltà a mantenere un governo stabile.
Questi anni furono anche segnati da una forte escalation della violenza
politica. Dopo la strage di Piazza Fontana del 1969, opera di gruppi
neofascisti legati a pezzi dello Stato, si susseguirono altri atti terroristici di
estrema destra come la strage di Brescia e quella del treno Italicus.
Contemporaneamente, l’estrema sinistra iniziava a organizzarsi in gruppi
come le Brigate Rosse e Prima Linea, con azioni violente che avrebbero
caratterizzato gli anni di piombo.
Accanto a queste tensioni, si svilupparono importanti movimenti sociali e
culturali. Il movimento femminista ottenne risultati legislativi significativi,
come l’introduzione della legge sul divorzio. Nonostante la forte
opposizione degli ambienti cattolici e della DC, che chiesero un
referendum per abolirla, la legge venne confermata nel 1974 con un ampio
sostegno popolare e intellettuale.
Infine, il Partito Comunista Italiano, con la guida di Enrico Berlinguer dal
1972, si distaccò nettamente dall’URSS, perseguendo un’autonomia
politica e una democrazia partecipata, anticipando un nuovo ruolo
centrale nella vita politica italiana.
• Viene introdotto il referendum abrogativo, strumento previsto dalla
Costituzione ma mai attuato fino ad allora, anche in vista della legge
sul divorzio (1970).
• Si attua lo Statuto regionale (Titolo V della Costituzione), con il
passaggio di competenze dallo Stato alle regioni, malgrado forti
opposizioni da parte del MSI e di altri partiti conservatori.
L’attuazione però è lenta e problematica, con conflitti come la rivolta
di Reggio Calabria per la scelta del capoluogo regionale.
Nel 1971 vengono riformati i regolamenti parlamentari, coinvolgendo
maggiormente l’opposizione nell’ordine del giorno e rafforzando il ruolo
delle commissioni e il voto segreto. Questo processo riflette un modello di
consociativismo imperfetto: il PCI è coinvolto nel sostegno esterno alle
leggi, ma non entra formalmente nel governo.
In sintesi, la V legislatura è un periodo di grandi cambiamenti e tensioni:
un’apertura politica verso il PCI, importanti conquiste sociali e legislative,
ma anche l’emergere di una violenza politica che segnerà profondamente
gli anni successivi. Negli anni ’70, Berlinguer sfrutta il clima di distensione
internazionale, ossia il rallentamento della Guerra Fredda, per proporre un
nuovo ruolo del PCI come partito di governo. In questo contesto nasce
l’“eurocomunismo”, un’alleanza con i comunisti di Spagna e Francia che
puntano a un socialismo democratico, distinto dal comunismo autoritario
dell’Est. Questo percorso però allontana sempre più Berlinguer dall’URSS,
tanto che nel 1973 un grave incidente durante un viaggio in Bulgaria
alimenta sospetti di un attentato sovietico. Nel 1977, nel discorso a
Mosca, Berlinguer sottolinea l’autonomia del PCI e il suo radicamento
nella costituzione italiana, un messaggio che Mosca vede come pericoloso
perché diffonde l’idea di democrazia univers