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(INCARNATO)
Il reometro rotazionale consente di realizzare una serie di misure che non è possibile
effettuare con il reometro a capillare, per via delle traiettorie aperte che si hanno nello
stesso. È possibile infatti studiare i transitori e in particolare vi è una differenza tra il
reometro rotazionale piatto-piatto e il reometro rotazionale piatto-cono, perché
nell’ultimo caso è possibile realizzare delle prove con un gamma punto costante.
Questo ci consente di studiare anche altri effetti che non è possibile studiare nel
capillare e in particolare ci consente di studiare l’effetto tempo, oltre che di valutare gli
effetti dovuti alla temperatura, che si potevano analizzare anche nel caso del reometro
a capillare.
Il reometro rotazionale consente di studiare le proprietà viscoelastiche.
(slide 1)
Il reometro rotazionale non solo consente di studiare le proprietà legate al fluido
polimerico e quindi la viscosità -come fa anche il capillare-, ma consente anche di fare
delle misure sulla viscoelasticità.
Per l’acciaio o l’alluminio si hanno esclusivamente fenomeni di elasticità, non troviamo
fenomeni di viscoelasticità; quando invece un materiale si dice viscoelastico?
Quando il comportamento del materiale è funzione del tempo, quando per esempio la
risposta del materiale rispetto ad una sollecitazione -rispetto ad una deformazione o
una forza applicata- cambia nel tempo, è una funzione del tempo e quando pure la
risposta del materiale dipende dalla velocità con cui applico una sollecitazione. Infatti,
posso avere un comportamento più vicino ad un solido elastico o un fluido viscoso a
seconda che applichi una deformazione con una certa velocità.
Vediamo come studiare il fenomeno. Prima di fare questo, richiamiamo alcuni concetti:
vediamo relativamente alle forze, quali sono le forze che possono agire su di un fluido
o su un corpo (allo stato fluido o meno)? Ve ne sono di due tipi: (slide 2)
Le prime agiscono su tutta una massa, le seconde solo una parte del corpo.
Queste sono le due tipologie di forze; quando devo andare a valutare i comportamenti
dei materiali è più corretto parlare di sforzi, ovvero forze per unità di superficie.
L’informazione della sola forza non è completa: una superficie piccola quella forza può
distruggere il materiale, su una superficie il materiale resiste a quella forza.
Ci sono due tipologie di sforzi (slide 3). Gli sforzi normali sono molto frequenti nei
polimeri.
Altrimenti vi è lo sforzo di taglio (slide 4).
Quando io devo definire il comportamento di un materiale, in realtà posso adottare
una sorta di scala: alle estremità abbiamo due comportamenti diversi.
Ad una prima estremità vi sono i solidi elastici, connotati da un comportamento
elastico; dall’altro lato trovo materiali fluidi, connotati da un comportamento
newtoniano (è possibile per tali materiali stabilire un’equazione costitutiva dei fluidi).
Viaggiamo quindi da un comportamento descritto della legge di Hooke (slide 5) - le
deformazioni sono di taglio (gamma) oppure di trazione (epsilon)-, ad un
comportamento di fluido newtoniano.
Dove sono i materiali polimerici? Essi sono nel mezzo della scala. Ce ne sono alcuni
più spostati verso il fluido (vengono chiamati liquidi viscoelastici) e altri più spostati
verso il solido (vengono chiamati solidi viscoelastici).
Quando io parlo di un solido, esso si associa in genere al concetto di elasticità; quando
posso parlare di materiale elastico?
(slide 6)
La costante è chiamata modulo elastico; se io applico un carico costante, sforzo
costante, sul materiale solido elastico, se vale questa legge, il valore di deformazione
sarà anche esso costante.
Il materiale, sottoposto ad una forza subisce una deformazione proporzionale alla forza
applicata, tramite il modulo elastico, e la mantiene costante nel tempo.
Quando io rimuovo la forza, o lo sforzo, automaticamente anche la deformazione va a
zero e quindi il materiale recupera tutta la deformazione e torna nella forma iniziale.
Questo significa lavorare in un campo di elasticità lineare: in esso vale la legge di
Hooke.
Il materiale cioè, quando non applico più una forza recupera la sua geometria iniziale
in quanto non subisce nessuna deformazione permanente. Il materiale, sottoposto a
questo tipo di prova, ha immagazzinato l’energia necessaria a deformarlo.
Questo tipo di sistema si dice puramente conservativo, ovvero, quando io elimino la
causa che ha generato la deformazione, il sistema ritorna nella dimensione iniziale.
Non vi è dissipazione di energia.
Questa definizione vale per materiali come acciaio, ma anche vetro, materiali più
cosistenti.
Per altri materiali, come i polimeri, questo comportamento lo riusciamo a trovare ma
per deformazioni molto piccole, per il limite di epsilon che tende a zero riesco a
trovare questo tipo di linearità che mi consente di calcolare il modulo elastico o
modulo di Young.
Come determino questo modulo? Devo fare una curva stress-strain o sforzo-
deformazione e vado ad analizzare il primo tratto della curva che è un tratto lineare.
Il coefficiente angolare della retta rappresenta proprio il modulo elastico. Che cosa
rappresenta il modulo di Young? Esso rappresenta la resistenza del materiale alla
deformazione, ovvero ci dice quanto è rigido il materiale; se il modulo è molto elevato,
il materiale è molto rigido ovvero oppone una grande resistenza alla deformazione, se
invece al contrario ho un modulo basso, il materiale oppone una bassa resistenza alla
deformazione.
Il modulo dà quindi un’idea della rigidità del materiale.
Se non applico una deformazione uniassiale ma una deformazione di taglio, ho una
legge (slide 6). La legge ha la stessa forma di quella analizzata nel caso in cui si
parlava di una legge a trazione.
La curva è simile a quella precedentemente analizzata, faccio una prova di taglio:
vado a diagrammare lo sforzo di taglio in funzione di gamma, ottenendo una retta con
coefficiente angolare G.
G è chiamato modulo di taglio; esso rappresenta la resistenza del materiale a
deformarsi, quando è sottoposto a sforzi tangenziali.
Entrambi i moduli E e G sono dipendenti dalla temperatura, qui studiamo il caso di
temperatura costante, altrimenti dovremmo considerare anche l’effetto della stessa.
Spesso quando scriviamo queste formule, ipotizziamo di imporre una deformazione e
di misurare lo sforzo. Posso però anche fare diversamente, ovvero fare degli
esperimenti in cui invece di imporre una deformazione, impongo uno sforzo e misuro
come il materiale reagisce deformandosi.
In questo caso applico uno sforzo per esempio costante e vedo come si deforma il
materiale. Nell’altro caso io impongo una deformazione e vedo la risposta, in termini di
sforzo del materiale. Bisogna solo specificare qual è il parametro che ho imposto e
quale voglio misurare: misuro uno e ricavo l’altro, sfruttando la legge relativa.
Nell’Instron tipicamente si fanno delle prove in cui si impone una deformazione e si
legge lo sforzo (si fissa la velocità della traversa e con un trasduttore di forza era
possibile valutare la forza con cui il materiale si opponeva alla deformazione). Ci sono
strumenti che funzionano diversamente, invece di applicare la deformazione,
applichiamo lo sforzo e valutiamo come varia la deformazione -avremo un trasduttore
di deformazione-.
Si riscrive la legge per il fenomeno ponendo la deformazione proporzionale allo sforzo,
secondo il coefficiente J.
(slide 7)
La proporzionalità è sempre di tipo diretto, tramite una costante, nota come
cedevolezza. La costante è l’inverso della G, del modulo di taglio.
G è relativo a quando si impone una deformazione e si misura lo sforzo, mentre J è
relativo al caso in cui si impone uno sforzo e si misura la deformazione.
Io posso passare dall’uno all’altro parametro supponendo che l’uno è l’inverso
dell’altro; in realtà questa affermazione non è molto corretta, ma è una grande
approssimazione perché questo presupporrebbe che i cambiamenti morfologici che si
avrebbero in un materiale polimerico per effetto dell’applicazione di una deformazione
o per l’effetto dell’applicazione di uno sforzo sarebbero comparabili. Invece non è così:
i materiali polimerici sono infatti molto complessi e quindi la risposta è diversa se
applico una deformazione o una forza e questo tipo di affermazione la possiamo
considerare valida e reale solo quando ho dei materiali puramente elastici.
È un’approssimazione utile in alcuni casi, ad esempio quando ho uno strumento che
lavora applicando una deformazione o applicando uno sforzo, per misurare la
cedevolezza o il modulo di taglio.
Il comportamento di un materiale, anche per piccole deformazioni, si può discostare
dalla linearità: (slide 8) si vede nel grafico a sinistra un esempio.
Per i polimeri, il modulo di Young va calcolato entro piccole deformazioni, quindi per il
primo tratto del grafico per cui varrà la legge di Hooke.
Se ho un solido perfettamente elastico e lo deformo esso mi risponde con una certa
forza, fino a quando decido di togliere il carico: posso, durante lo scarico, osservare
che il materiale passando per gli stessi valori di sforzo e deformazione che ha
attraversato durante il carico per ritornare nel punto iniziale.
Se il materiale ha una componente viscosa, la parte di carico e di scarico non coincide
e quindi c’è una parte di energia che viene dissipata (l’area sottesa dalla curva
rappresenta un’energia, un lavoro), quindi tutta l’energia immagazzinata non viene
restituita e il sistema si dice non conservativo. Il ciclo di isteresi (slide 8) è del tipo
riportato in basso a destra: non abbiamo più esattamente le dimensioni iniziali del
campione. L’effetto può essere più o meno amplificato a seconda che si sia superato il
limite elastico.
(slide 9)
Vediamo il caso del fluido completamente viscoso: per esso vale la legge di Newton e
quindi, sappiamo che l’equazione costitutiva lega lo sforzo alla velocità di
deformazione.
La velocità di deformazione nella geometria semplice (piatti paralleli di cui uno fermo
e l’altro in movimento), la possiamo scrivere come nel riquadro (slide 9).
Il sigma fa riferimento agli sforzi normali, il tau allo sforzo di taglio.
Per un fluido perfettamente viscoso vale la legge di Newton, per il materiale
perfettamente elastico vale invece la legge di Hooke.
I materiali polimerici esibiscono un comportamento che è una combinazione dei due
modelli precedenti.
Come mai i polimeri hanno un comporta