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Questo codice comprende una serie di norme e viene pubblicato dalla IAPT
(International Association of Plant Taxonomy). Il primo codice risale al 1867 (Codice
di Parigi). Ogni 5/6 anni proposte di integrazione e/o modifica vengono discusse in
occasione dell’International Botanic Congress e ratificate nella nuova edizione.
Attualmente è in vigore il Codice di Shenzen, datato 2017. Questo aspetto non è una
prerogativa della botanica, bensì del mondo biologico, oggetto di intenti
classificatori. In qualunque ambito biologico è necessario un supporto normativo. Per
ogni gruppo di organismi viventi esiste un proprio codice, con le proprie regole e il
relativo modus operandi. All’interno di ogni codice, per ovvi motivi, si vieta che due
taxa formalmente validi abbiano il solito nome scientifico, questo può succedere tra
gruppi appartenenti a regni differenti, normati da diversi codici. È il caso del genere
Pieris, che può designare una pianta o una farfalla. Il codice ha un’architettura ben
specifica: permette di stabilire i gruppi tassonomici e le relazioni tra di loro e
fornisce le regole per nominarli correttamente. Non interviene solo per sorvegliare
l’applicazione di queste regole, ma si occupa anche di risistemare in maniera
retroattiva situazioni con problemi, errori, ambiguità. La struttura del codice è
disponibile online e si fonda su principi, regole e raccomandazioni. I principi
costituiscono la base filosofica del codice, su cui si costruisce l’intero impianto. Le
regole sono disposizioni che si snodano in articoli e presentano, talvolta, note
esplicative, per chiarire l’ambito di utilizzo, ed esempi, per permettere una
stringente applicazione delle regole. Esse sono mandatorie. Le raccomandazioni,
invece, sono suggerimenti, non obbligatori da seguire, ma garantiscono, se applicate,
un approccio ortodosso al problema tassonomico. Per esempio, il codice suggerisce
di usare il concetto di sottospecie nei casi di vicarianza geografica e di varietà nei
casi di vicarianza ecologica. I ranghi tassonomici sono strettamente codificati, quindi
oggettivi, mentre l’attribuzione di un gruppo di diversità, a carico della sistematica, a
un rango tassonomico presenta un certo grado di arbitrarietà e può variare da autore
ad autore l’interpretazione della variabilità riscontrata. Per vicarianza geografica si
intende un taxon che sostituisce, in un determinato luogo geografico, un altro taxon:
dov’è presente uno non c’è l’altro. Il taxon vicariante si va a distribuire in un’area più
o meno grande senza sovrapposizione con il taxon vicariato. Ad esempio, il genere
Fagus Nothofagus
ha distribuzione boreale e il genere ha distribuzione australe: sono
due taxa con vicarianza geografica. Lo stesso concetto si applica anche ad una
caratterizzazione ecologica.
I principi cardine su cui si basa l’impianto sono sei. Il primo principio riguarda
l’indipendenza del Codice di Nomenclatura di alghe, funghi e piante. Prima del 2014
si chiamava semplicemente Codice di Nomenclatura delle Piante, poi, alcuni gruppi
di specialisti hanno voluto includere alcuni gruppi di alghe e funghi nel titolo per
evitare ambiguità sull’ambito di pertinenza del codice (questo viene esplicitato nel
primo principio). Il secondo principio regola l’applicazione dei nomi dei gruppi
tassonomici attraverso l’utilizzo di tipi nomenclaturali. Il terzo principio riguarda la
priorità di pubblicazione. Il quarto principio afferma che ciascun gruppo tassonomico
con una particolare circoscrizione, posizione e rango può avere un unico nome
corretto, fatta eccezione per alcuni casi specifici. Il quinto principio evidenzia
l’utilizzo del latino per comporre nomi scientifici. Il sesto principio sostiene la
retroattività del codice, salvo dove diversamente indicato.
Le regole compongono buona parte del codice (la sezione centrale, più voluminosa),
distribuite in vari capitoli, costituiti da sezioni contenenti articoli numerati. Si
riportano note ed esempi per essere sicuri dell’applicazione corretta della regola
esemplificata. Con questo concetto di regole e di norme si definisce un nome
illegittimo: è un nome pubblicato validamente che viola, però, una o più regole del
codice e, quindi, non può essere accettato in quanto tale (va rigettato).
Come si scrive un nome scientifico? Secondo le regole presenti nel codice. Si scrive
sempre un binomio scientifico, cioè una combinazione di due nomi.
Il nome scientifico va scritto in corsivo, mentre il patronimico (ovvero il nome
dell’autore) non va in corsivo;
L’epiteto generico va indicato con la lettera iniziale maiuscola (“Quercus”),
mentre quello specifico (“ilex”) con la lettera iniziale minuscola;
Si possono avere trinomi, con l’inserimento di un terzo rango intraspecifico, la
sottospecie, il cui epiteto ha lettera iniziale minuscola; Quercus ilex
Nell’ambito della diversità riconosciuta all’interno della specie è
possibile rintracciare, in una determinata area geografica, una sottospecie, con
borealis.
caratteristiche diverse, ad esempio Chi ha descritto questa sottospecie,
avrà il proprio nome accanto alla sottospecie descritta, però, automaticamente, si
genera una seconda sottospecie “nominale”, che assume come epiteto sottospecifico
quello specifico. Si ottiene, così, un autonimo, comprendente tutti gli individui esclusi
dalla sottospecie individuata.
Perché si usano i nomi scientifici piuttosto che quelli vernacolari? I nomi scientifici
non sono vezzi o inutili complicazioni, ma sono funzionali a indicare precise specie,
con caratteristiche ben definite. Ecco alcuni motivi che rendono indispensabile
l’utilizzo dei nomi scientifici:
Non tutte le specie conosciute dall’uomo hanno un nome vernacolare;
I nomi vernacolari hanno un uso ristretto, legato al contesto storico e
geografico di una determinata lingua (non sono universali!);
I nomi vernacolari non forniscono indicazioni sulle relazioni tassonomiche
(Rosa, (Ipomoea,
(esempio in lingua inglese: roses roses Rosaceae), woodrose
(Primula,
Convolvulaceae), primrose Primulaceae). Non permettono alcun
inquadramento di natura tassonomica;
Frequentemente, specialmente per le specie ad ampia distribuzione, più nomi
vernacolari esistono per la solita specie nel solito linguaggio, nella stessa o in
diverse località (molti studi linguistici vengono realizzati proprio attraverso i
nomi attribuiti alle piante). Ciò provoca confusione a livello classificatorio;
Spesso, due o più specie, anche molto distanti dal punto di vista tassonomico,
sono conosciute con il solito nome vernacolare.
Perché è stato scelto il latino come lingua dei nomi scientifici?
Si tratta di una lingua morta, statica, non in continua evoluzione;
È un linguaggio chiaro e preciso;
Il senso etimologico delle parole è spesso intuitivo;
Impiega l’alfabeto romano, quindi risulta ben utilizzabile in molti linguaggi.
A proposito delle differenze tra i codici di nomenclatura delle piante e degli animali
ne esiste una riguardante i tautonimi: sono designazioni di nomi scientifici, in cui
l’epiteto specifico ripete esattamente l’epiteto generico. In botanica i tautonimi non
sono accettati, mentre, nella letteratura zoologica, sono consentiti. Tra i nomi
scientifici più lunghi attualmente descritti (con l’indicazione, a destra, degli autori
Ornithogalum
che hanno assegnato il nome) si annovera
adseptentrionesvergentulum Poa
U. Müll.-Doblies & D.Müll.-Doblies; tra i più brevi
fax J.H.Willis & Court.
Il codice di nomenclatura, storicamente, si fa risalire a Linneo con il suo “Species
plantarum”. Qual era la situazione ante Linneo? Prima si faceva ricorso a polinomi,
ovvero stringhe di testo. Coffea arabica.
Tutte queste diciture si riferiscono alla medesima specie: Il problema
risiedeva nella condivisione di queste informazioni: ciascun autore scrive, di propria
iniziativa, il nome, senza particolare attenzione alla sintesi. Il continuo cambiamento
di nomi, inoltre, mina la stabilità del sistema classificatorio. Sussistevano, quindi,
problematiche di stabilità e di coerenza.
L’inizio della nomenclatura binomiale si fa risalire al primo maggio 1753, a Linneo.
Jasminum.
Qui sono riportate alcune voci da “Species plantarum” relative al genere
Le specie vengono registrate da Linneo nella parte destra, appuntato a margine del
testo. L’epiteto generico è scritto sulla sinistra in caratteri maiuscoli.
Uno dei principi cardine del sistema nomenclaturale è quello della priorità.
Pensiamo a un gruppo di diversità, circoscritto dalla sistematica. Questa entità è
stata chiamata, nel corso del tempo, in modo diverso, a seconda degli autori. La
proliferazione di nomi genera ambiguità e confusione. Il nome accettato è il primo
che viene validamente (rispetta le regole di pubblicazione) utilizzato. Tutti i nomi
successivi cadono nella sinonimia: hanno identica accezione nel circoscrivere quel
determinato gruppo di diversità, ma non vanno utilizzati. Se c’era già un nome
valido, perché ne sono sorti altri a indicare la medesima entità? L’accesso alle
informazioni e alla comunicazione era sicuramente ridotto; c’è da capire, anche,
l’esatta circoscrizione che gli autori davano all’epoca (alcune entità venivano
considerate distinte, mentre, con gli approfondimenti tassonomici successivi si
sarebbe arrivati ad una conclusione opposta, ovvero di sinonimia). Il problema della
sinonimia diventa particolarmente rilevante quando si devono interrogare database
di nomi scientifici. C’è una dispersione di informazioni sotto diversi nomi.
Un altro aspetto importante relativo alla gestione dei nomi scientifici riguarda i nomi
ricombinati. Si tratta di nomi che, in base a studi tassonomici, viene spostato e
Cnicus benedictus,
incluso in un nuovo genere. Ad esempio, descritto da Linneo,
viene rinominato, in questo caso dallo stesso autore, con un nuovo genere, che viene
riconosciuto come afferente per la specie in questione. La specie viene collocata in
Cnicus Centaurea.
un nuovo genere: cambia l’epiteto generico. Da si passa a Anche a
Pinus abies (l’abete rosso), descritto da Linneo, viene attribuito un nuovo genere,
Picea, da Hermann Karsten.
Un aspetto fondamentale nell’applicazione del codice nomenclaturale è costituito dai
tipi nomenclaturali. Sono stati introdotti con il Codice di Cambridge (1935). Un tipo
nomenclaturale è un elemento fisico al quale si attacca il nome del taxo