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Nella scorsa lezione abbiamo anche parlato di insetticidi naturali; ad oggi, la
produzione di insetticidi è particolarmente richiesta nelle coltivazioni biologiche. Esse
in particolar modo, richiedono insetticidi naturali ad alta velocità di biodegradazione in
modo che la filiera resti biologica e per far questo non si può utilizzare un processo di
estrazione con un solvente, altrimenti non si parlerebbe più di processo “bio”.
Si può pensare di usare la SC-CO2.
Olio di neem: sempre come insetticida possiamo menzionare il neem, una pianta i cui
semi contengono azadiractina che interviene nello sterilizzare gli insetti,
controllandone la popolazione ed evitando una brusca crescita.
Radice di Derris: essa contiene un prodotto insetticida che si chiama rotenone che
interviene nel controllo di larve nel terreno. È una sostanza incolore e inodore e viene
prodotta dalle radici della pianta di Derris.
È riportata la resa al variare del tempo: è riportata la resa dell’estratto totale quasi
coincidente con la resa totale dei principi attivi. Possiamo anche osservare la resa in
rotenone e tefrosina, osservando che il rotenone sia il principale composto, arrivando
al 5% in peso della radice. La tefrosina è al 2% in peso.
Si può osservare che cambiando le condizioni di processo, l’estrazione diviene più
veloce.
Ultimo caso ruta graveolens: essa contiene altri composti quali le cumarine e le
furanocumarine che hanno effetti insetticidi notevoli. È stato valutato l’effetto della
portata, ma non si è osservata una grande variazione: i fenomeni controllanti da
questo, si può affermare siano i fenomeni interni piuttosto che la diffusione esterna.
Si può valutare nell’altro grafico l’effetto del diametro delle particelle che conferma
che le resistenze interne siano controllanti.
Sono riportati i diversi principi attivi:
All’aumentare della pressione, cambia anche il rapporto relativo dei composti estratti.
Si può osservare che il bergaptene sia il composto più solubile.
Abbiamo usato sempre la solita procedura per allontanare le cere, che in questo caso
rappresentavano il 78% dell’estratto totale.
Gli psoraleni e i bergapteni possono irritare la pelle e sono molto reattivi; il bergaptene
fu rinvenuto per la prima volta nell’olio essenziale di bergamotto. Il bergamotto è
molto profumato ed usato come componente specifico per molti profumi; una volta fu
messo in un olio solare e si comprese provocasse delle scottature sulla pelle.
L’olio essenziale di bergamotto, tramite processo supercritico, non presenta gli agenti
allergizzanti quali psoraleni e bergapteni e risulta stabile, può durare anche anni se
conservato opportunamente (recipiente alluminio o bottiglia ambrata).
Ritornando al caso della ruta graveolens:
È riportato l’estratto totale, impiegando etil acetato, in basso. In alto a sinistra, è
riportato l’estratto supercritico nel secondo separatore, dove si può osservare che il
bergaptene è il composto più abbondante; a destra, sempre in alto, sono riportate le
cere: al solito l’estratto totale è stato splittato nel blocco dei principi attivi e quello
delle paraffine (da C23 a C31, tutti i composti sono lineari).
Estrazione dei cannabinoidi: nella famiglia dei cannabinoidi, il CBD, il CBG e simili
hanno ottimi risultati contro infiammazioni e dolore cronico e ad oggi si è scoperto che
possono aiutare nella cura di malattie neurodegenerative. Il THC è invece un
cannabinoide allucinogeno.
Nel tempo si è pensato di isolare delle varietà di cannabis che non contenessero THC,
da cui si potessero estrarre le sostanze a scopo terapeutico.
I cannabinoidi vegetali sono efficaci perché il nostro organismo ha dei recettori
cannabinoidici, cioè già produce di suo degli endocannabinoidi, tra cui la PEA o
palmitoiletanolamide.
Questa viene prodotta in piccole quantità a seguito di un’infiammazione e va a
raggiungere i recettori cannabinoidici all’interno del nostro organismo, alleviando il
dolore o talvolta neutralizzandolo del tutto (se l’infiammazione è di modesta entità).
È riportato l’estratto complessivo: l’ingrandimento 1 fornisce i monoterpeni, nella
parte 2 sono presenti i sesquiterpeni e diterpeni ed infine nella parte 3 sono presenti i
cannabinoidi, il picco più evidente è quello relativo al CBD, segue il CBG e altri
cannabinoidi minori (la pianta produce sino a 30-40 specie diverse di cannabinoidi).
I primi composti hanno formula C H (monoterpeni), i secondi hanno formula C H ed
10 X 15 X
infine i cannabinoidi di formula C H .
21 X
Queste di seguito riportate sono le cere cuticolari della canapa, eliminate in questo
caso anche con parte dell’olio essenziale (monoterpeni, diterpreni e sesquiterpeni).
Hanno numero di carboni che varia tra 25 e 29 (sempre in numero dispari):
È riportata la resa totale e quella in CBD, si può osservare che all’aumentare della
densità della SC-CO2, la resa aumenta, portandosi ad un 6%.
Quando si misura però la resa in CBD, si può osservare che all’aumentare della
pressione non si assiste ad un incremento consistente: arrivati a 100 bar, in presenza
sempre di 40°C, la percentuale massima risulta 3% così a 200 bar. Nella curva nera
l’asintoto è stato raggiunto prima.
Come si spiega la variazione della resa totale alla pressione più alta? Vengono estratte
sostanze che non ci interessano. È quindi inutile lavorare a pressioni più alte di 100
bar.
È stata studiata anche l’estrazione di metaboliti dal sughero.
Nell’immagine a sinistra è riportata una sezione di un pezzo di sughero; si può
osservare la struttura tipica del sughero: ci sono dei canali con delle cellette. Il
sughero, man mano che si accresce, aumenta il numero di canaletti e questo
conferisce al sughero due proprietà fondamentali: un’elasticità che rimane invariata
nel tempo (ad esempio i tappi non perdono la forma o non collassano) e i canalicoli nei
tappi mettono in contatto l’ambiente interno della bottiglia con il fuori (si dice che il
vino con tappo di sughero “respiri” proprio perché esiste questa comunicazione molto
lenta tra i due ambienti).
Il tappo di sughero ha un difetto: in alcuni casi, ci sono dei metaboliti di un fungo che
possono annidarsi nella struttura del sughero che a loro volta sviluppano un loro
metabolita il TCA che compromette il gusto del vino e altera l’odore, anche a piccole
concentrazioni in termini di ppm.
Il fenomeno è molto frequente, si può pensare di realizzare un tappo privo di TCA.
Prima dell’allontanamento del TCA, i tappi sono mandati per un po’ di tempo in acqua
bollente (si cerca di non eccedere con il tempo per evitare la perdita di elasticità del
tappo) e poi si procede all’estrazione con CO2 supercritica.
I tappi così realizzati sono però in pasta di sughero, non sono di un singolo pezzo di
sughero: sono formati da più pezzi piccoli di sughero, trattati per togliere il TCA, poi
compressi e impastati per formare il tappo.
L’estrazione del TCA, si ricorda, che viene effettuata prima di creare il tappo, perché
l’estrazione da un tappo già fatto o da un pezzo di sughero intero è fortemente
limitata dai trasporti di materia interni.
Ci sono però delle aziende che realizzano tubi frazionati privi di TCA. Tuttavia, questi
tipi di tappi, essendo stati realizzati in pasta di sughero, non rendono facile la
respirazione del vino (non solo per i TCA free, ma tutti quelli realizzati in pasta di
sughero).
Quali alternative sono proposte per l’estrazione dei composti polari, vista l’apolarità
della CO2?
Si è pensato di cambiare la CO2 supercritica con altri solventi: ad esempio si è pensato
l’acqua, che però diventa supercritica a temperature di 230-240°C e pressioni molto
alte, creando problemi nella gestione.
Esiste poi il protossido d’azoto, molto costoso e a basse concentrazioni può dare un
effetto esilarante.
Si può utilizzare la CO2 con un cosolvente polare: cambiando la quantità di cosolvente
si riesce a polarizzare la miscela supercritica. Il problema è risolto? In realtà no,
quando si fa infatti l’estrazione il componente polare potrebbe essersi disciolto nella
sostanza da estrarre.
Bisogna quindi intervenire con separazioni successive. A questo punto la soluzione
sembrerebbe equivalente a quella classica, seppur utilizzando quantitativi più bassi di
solvente polare, ci saranno sempre tracce di solvente nel prodotto finale (il processo
non è più “solventless”).
Come si può procedere allora? Posso pensare di estrarla con solvente e poi eliminare
lo stesso con CO2 supercritica. Si parla di supercritical anti-solvent extraction (SAE).
Per realizzare la stessa c’è bisogno che il solvente utilizzato sia solubile nella CO2
supercritica (questo è vero per gran parte dei solventi organici) e che il soluto non sia
solubile nella CO2 supercritica (lo stesso deve essere polare con alto peso molecolare).
In questo processo, si forma una soluzione solvente-antisolvente e il soluto precipita,
in questo modo il solvente B (antisolvente) è molto affine al solvente A, mentre il
soluto è insolubile.
Questa è una forma alternativa di cristallizzazione, diversa da quella termica, è la
cristallizzazione con antisolvente.
Come si spiega il fenomeno? La soluzione composta da A+B ha un potenziale chimico
più basso rispetto a quella originale solvente A e soluto e quindi è la configurazione
più favorita a livello termodinamico.
Complessivamente, nel realizzare l’estrazione di un solvente polare conservo parte del
processo originale (che è stata studiata e anche implementata per quell’impianto) e
poi utilizzo la CO2 supercritica per allontanare il solvente e far precipitare il soluto.
Immaginiamo di avere CO2 con acetone/alcol etilico (grafico); a destra dell’MCP ci sta
la miscela supercritica e a sinistra ci sono i solventi espansi.
Si pompa la soluzione liquida all’interno dell’apparecchiatura e tramite un iniettore
-posto all’ingresso di questa- si riduce la soluzione in piccole gocce, incrementando
l’area di contatto tra CO2 supercritica e la soluzione. L’apparecchiatura è un
precipitatore pressurizzato.
Verso il basso, abbiamo un separatore che lavora a p più bassa e consente la
separazione del liquido che viene riciclato e l’allontanamento della CO2. Il soluto si è
separato nel precipitatore.
L’effetto finale &egra