Nel 1870, la morte improvvisa del figlio Dante di soli tre anni lo segnò profondamente. Nel 1871,
iniziò una passione extraconiugale con Carolina Cristofori Piva (Lina o Lidia nei suoi
componimenti). Sul piano politico, abbandonò la Sinistra repubblicana, sostenendo il nuovo
governo della Sinistra e riconciliandosi con la monarchia, diventando il Vate ufficiale della nazione.
Adottò una poetica dell’arte pura per scrivere "odi oggettive", immuni dal sentimentalismo
romantico, perseguendo la perfezione degli antichi. Da questi studi nacquero le Odi barbare (1877,
ed. def. 1893), che attingevano dalla metrica del Rinascimento ma si ispiravano a quella classica,
cercando di far risuonare la "musica perduta dei grandi classici". Furono chiamate "barbare" perché
Carducci riconosceva l'arbitrarietà di questa trasposizione; il suo classicismo era sia estetico che
etico, volto a riportare in vita anche le convinzioni morali e religiose del poeta antico (es. vitalità
della natura, gusto per i piaceri, amore per Lidia), ma accostando a questi sentimenti positivi la
fugacità della vita e la morte. Nonostante ciò, accolse situazioni e ambienti a lui contemporanei.
Politicamente, evocava la grandezza dell’impero romano e designava l’Italia come erede di Roma
antica.
Lo stile e il lessico di Carducci seguivano canoni classicisti, con arcaismi, inversioni sintattiche,
registri aulici e solenni. Il successo delle Odi barbare portò il nuovo sistema "barbaro" a imporsi
come massima raffinatezza metrica.
Nel 1887, le Rime nuove espressero sentimenti più intimi, come "Pianto antico" per il figlio Dante.
Le Rime nuove, seguite da Rime e ritmi (1899), attingevano anche a canti e ballate popolari
medievali e alla poesia dei primi romantici.
Nel 1890, fu nominato senatore, un riconoscimento internazionale come esponente di un moderno
umanesimo nazionalista. Nel 1906, un anno prima della sua morte, ricevette il Premio Nobel per la
Letteratura. A causa della sua visione del rapporto Italia-Roma antica, Carducci fu purtroppo letto in
senso propagandistico dal regime fascista.
Analisi Poesie di Carducci
Il Comune Rustico (da Rime nuove):
Poesia in endecasillabi divisa in due parti. La prima è paesaggistica, un addio malinconico al
paesaggio della Carnia, con elementi di contemplazione solitaria della natura. La seconda parte è
una visione storico-etica, che rifiuta il "medioevo romantico" delle streghe e dei diavoli per
mostrare una "semplice virtù rustica". Un console, richiamando la Roma repubblicana, divide la
foresta e esorta alla difesa della libertà, trasmettendo ideali democratici.
Nevicata (da Odi barbare):
Poesia malinconica del 1881 che ritrae un periodo triste del poeta, in relazione al declino fisico
dell'amante. Cerca di rendere l'esametro classico unendo novenario e senario/settenario. La neve
che cade lenta nel "cielo di cenere" annulla i suoni della città. Le ore della torre si lamentano "come
sospiro di un mondo lontano dalla luce". Gli uccelli che beccano ai vetri sono paragonati agli
"spiriti degli amici reduci dall’oltre tomba", che chiamano il poeta a unirsi al "silenzio" e a riposare
nell'ombra.
Presso una Certosa (da Rime e ritmi):
Poesia che fa parte della raccolta di congedo di Carducci, riflettendo la sua condizione di vecchiaia
attraverso il paesaggio. Presenta una nuova sperimentazione metrica con quartine di versi non
canonici. Due episodi principali: la caduta di una foglia "senza vento" (simbolo di morte naturale
per vecchiaia), paragonata al passaggio di un'anima, e l'irrompere del sole che illumina la mattinata
triste (paragonato alla luce della poesia che allontana la morte). Il poeta invoca Omero, desiderando
ascoltare il suo canto prima di essere avvolto dall'ombra della morte.
Giovanni Pascoli (1855-1912)
Giovanni Pascoli, il maggior allievo di Carducci, rappresenta un'altra anima della poesia italiana del
suo tempo. Nato a San Mauro di Romagna, visse un'infanzia felice tragicamente interrotta da una
serie di lutti familiari (l'assassinio del padre, e le morti della madre, del fratello e di una sorella), che
segnarono profondamente la sua poetica e lo costrinsero a ricoprire il ruolo di capo famiglia. Studiò
Lettere a Bologna con Carducci e militò nel movimento socialista, subendo anche il carcere. Si
laureò nel 1882 e insegnò nei licei per mantenere le sorelle Ida e Maria. Il desiderio di ricreare il
"nido" familiare è centrale, ma fu minacciato dal mondo esterno, come il matrimonio di Ida nel
1895.
Pascoli esordì pubblicando versi su riviste, che formarono la sua raccolta d'esordio: Myricae (1891),
il cui titolo deriva dalle Bucoliche di Virgilio ("umili tamerici"), a indicare una poesia "da poco si
eleva da terra", umile, breve, frammentaria, di carattere impressionistico, in controtendenza rispetto
agli stili aulici. La sua poesia mira a elogiare le esperienze comuni e sentimenti alla portata di tutti,
usando termini del gergo comune e dialettali, definiti "poeticissimi".
Nella sua opera si distinguono fasi: un primo momento oggettivo (fino al 1891), seguito da un
momento di dolore intimo e nascosto, dove il trauma delle perdite è protagonista. Al motivo del
nido familiare si oppone la violenza del mondo, affiancati da temi del sogno e apparizioni spettrali
(simbolismo). La sua carriera lo portò a diventare docente universitario e a pubblicare interventi
critici, specie sulla critica dantesca (Minerva oscura, Sotto il velame, La mirabile visione), in cui
individuava significati allegorici nella Commedia, stroncati dalla critica positivista.
Nel saggio "Il fanciullino" (1897), Pascoli descrive la poesia come la capacità di cogliere la bellezza
delle cose semplici, attraverso la meraviglia del "fanciullino" che è in noi e vede ogni cosa come la
prima volta.
Nel primo decennio del '900 avviò una nuova poetica con:
Poemetti (1897): Rivisitazione dell'epillio, con episodi epici di media lunghezza e uso della terzina
dantesca.
Canti di Castelvecchio (1903): Definita una seconda serie di Myricae, ritorna ai temi "bassi" e
all'ambientazione campagnola, con riferimenti a Leopardi. L'ordine delle poesie rispecchia il ciclo
stagionale, dove la morte e rinascita della natura contrastano con la precarietà umana. Abbandona il
rifiuto carducciano del sentimentalismo, esplorando stati onirici e musicalità onomatopeiche.
Poemi conviviali (1904) e Carmina (latino, 1914): Poesia dotta e ornamentale, spesso narrativa, che
gli valse fama mondiale.
Le sue ultime opere (tra cui Odi e inni, Poemi italici, Canzoni del Re Enzio) affrontano temi
politici, come il celebre discorso "La grande Proletaria si è mossa" (1911), a sostegno dell'invasione
della Libia. Morì nel 1912.
Analisi Poesie di Pascoli
Temporale (da Myricae):
Poesia impressionistica di sette versi, divisa in due strofe, con una struttura ciclica e quasi totale
assenza di verbi. Descrive un temporale che inizia con un "bubbolio lontano", seguito da visioni di
un orizzonte "rosseggiante" e un cielo "nero come la pece". Un casolare bianco, "un'ala di
gabbiano", spicca nel nero, suggerendo una fragile presenza di vita nel buio minaccioso. La poesia
mescola sensazioni uditive e visive, con metafore e similitudini.
L'Assiuolo (da Myricae):
Celebre poesia in novenari, con tre strofe che terminano con il monosillabo onomatopeico "chiù" (il
verso dell'assiolo). La poesia mostra apertamente il rapporto tra determinato e indeterminato. Inizia
con una domanda irrazionale ("Dov'era la luna?") e prosegue con sensazioni visive (l'alba perlacea,
i lampi come "soffi" da nubi nere) e uditive (il rumore del mare, un "fru tra le fratte"). Il "sussulto"
nel cuore del poeta è un'eco del "grido che ci fu", alludendo al trauma familiare. La poesia evoca
un'atmosfera tragica con suoni e immagini che richiamano la morte e il mistero.
Lavandare (da Myricae):
Madrigale dalla struttura tradizionale che mescola realismo e simbolismo. Descrive un aratro "privo
di buoi" in un campo, simbolo di solitudine e abbandono. Il rumore cadenzato delle lavandare e le
loro cantilene accompagnano la scena. Il canto delle lavandaie, che lamentano la partenza dell'uomo
amato, amplifica il tema della perdita e dell'assenza, trasformando la descrizione realistica in una
riflessione simbolica sulla precarietà affettiva.
Nebbia (da Canti di Castelvecchio):
Componimento ampio (sei strofe di sei versi) dove la nebbia ha una funzione difensiva, separando il
"nido" familiare dal mondo esterno e dalla morte. La poesia contrappone il desiderio del poeta di
rimanere protetto tra gli oggetti familiari (la siepe dell'orto, i peschi, i meli) che "addolciscono il
pane nero" della vita, con la consapevolezza di un ineluttabile abbandono (la strada che percorrerà
un giorno, il "don don" di campane che annuncia la morte). Il cipresso (cimitero) e il cane che
sonnecchia vicino all'orto rafforzano il tema del rifugio e della morte.
Il Gelsomino Notturno (da Canti di Castelvecchio):
Poesia scritta per un matrimonio, in cui Pascoli, escluso dalla felicità coniugale, immagina l'intimità
della notte di nozze attraverso la metafora del fiore di gelsomino notturno (che fiorisce al tramonto
e si chiude all'alba). La poesia abbonda di immagini sensoriali: l'apertura dei fiori, le farfalle
crepuscolari (simbolo di fecondazione), il "bisbiglio" della casa, l'odore di "fragole mature". Il
"lume che sale la scala" e poi "si è spento" allude all'atto d'amore. L'alba rivela i petali "sgualciti" e
una "nuova felicità" nel fiore, simbolo della nuova vita, ma il "non so che felicità nuova" del poeta
sottolinea la sua esclusione.
Gabriele D'Annunzio (1863-1938)
Gabriele D'Annunzio, nato a Pescara, ricevette una formazione classicistico-umanistica, seguendo
le lezioni di Carducci. Esordì precocemente con Primo vere (1880) e si trasferì a Roma (1881), dove
sviluppò la sua personalità da "dandy", immerso nella vita mondana e negli scandali. Si distinse per
la sua capacità di sperimentare sensazioni estreme e di anticipare gli orientamenti culturali del
tempo, mostrando una capacità "camaleontica" di assimilare e imitare stili diversi. Fu un artista
poliedrico: poeta, narratore, drammaturgo, sceneggiatore.
Percependo il declino di poesia e novella, abbracciò il romanzo, pubblicando "Il piacere" (1889),
che narra la vita del c