Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
TESTO
Voi (1) ch'ascoltate in rime sparse (2) il suono di quei sospiri ond'io nutriva il cuore in sul mio primo giovenile errore (3) quand'era in parte (4) altro uomo da quel ch'io sono, del vario stile in ch'io piango e ragiono fra le vane speranze e i vani dolori, ove sia chi per prova intenda amore, spero trovar pietà, nonché perdono. Ma ben veggo or si come al popol tutto favola fui gran tempo, onde sovente di me medesmo meco mi (5) vergogno; e del mio vaneggiar vergogna è 'l frutto, e 'l pentirsi, e 'l conoscer chiaramente che quanto piace al mondo è breve sogno.
PARAFRASI
Voi che ascoltate in rime varie il suono di quei sospiri di dolore dei quali io nutrivo il cuore al tempo del mio primo errore giovanile quando ero in parte un uomo diverso da quel che io sono, dello stile mutevole nel quale io piango e racconto sospeso tra le speranze inutili e l'inutile dolore, ovunque vi sia chi per esperienza capisca
l’amore, Tra loro spero di trovar pietà nonché perdono. Ma io vedo chiaramente come per tutto il popolo Per molto tempo io fui motivo di pettegolezzo, per cui spesso Di me mi vergogno E del mio perseguire beni terreni il frutto è la vergogna, E il pentimento, e capire chiaramente Che ciò che piace al mondo è una illusione.l’amore, Tra loro spero di trovar pietà nonché perdono. Ma io vedo chiaramente come per tutto il popolo Per molto tempo io fui motivo di pettegolezzo, per cui spesso Di me mi vergogno E del mio perseguire beni terreni il frutto è la vergogna, E il pentimento, e capire chiaramente Che ciò che piace al mondo è una illusione.
Trova al verso 8 (“spero trovar pieta, nonché perdono.”) -> perdono di cosa? La risposta la troviamo nel verso 5 (“del vario stile”): chiede perdono per lo stile mutevole del Canzoniere che a volte esprime illusione, a volte delusione.
DANTE: non chiederebbe mai perdono al lettore perché lui addirittura vuole mostrare la via della salvezza; PETRARCA: non ha strade da mostrare perché lui stesso non riesce a percorrere la strada della salvezza, si mette allo stesso livello del lettore.
Le prime due quartine sono, dunque fortemente legate tra loro. Ma ciò che ci colpisce è che la poesia inizia con un “voi”, ma nella principale si passa ad un “io” -> ANACOLUTO: repentino cambio di soggetto, perché il protagonista di tutto il Canzoniere è il soggetto, l’io del poeta.
Il modello è il saggio storico, colui che riesce a tenere a freno le passioni e raggiungere l’autosufficienza.
capei d'oro a l'aura sparsi, che 'n mille dolci nodi gli avolgea, e 'l vago lume oltra misura ardea di quei begli occhi, ch'eran sì rari aspersi; e 'l viso di pietosi color' farsi, non so se vero o falso, mi parea: i' che l'esca amorosa al petto avea, qual meraviglia se di sùbito arsi? Non era l'andar suo cosa mortale, ma d'angelica forma; e le parole sonavan altro che pur voce humana. Un spirto celeste, un vivo sole fu quel ch'i' vidi, e se non fosse or tale, piagha per allentar d'arco non sana.Capei d'oro a l'aura sparsi Ache 'n mille dolci nodi gli avolgea, Be 'l vago lume oltra misura ardea Bdi quei begli occhi, ch'or ne son sì scarsi; Ae 'l viso di pietosi color' farsi, Anon so se vero o falso, mi parea: Bi' che l'esca amorosa al petto avea, Bqual meraviglia se di sùbito arsi? ANon era l'andar suo cosa mortale, Cma d'angelica forma; e le parole Dsonavan altro, che pur voce humana. EUno spirto celeste, un vivo sole Dfu quel ch'i' vidi: e se non fosse or tale, Cpiagha per allentar d'arco non sana.
PARAFRASI[Il giorno del mio incontro con Laura] i capelli biondi erano sparsi al ventoche li avvolgeva in mille dolci nodi,e la bella luce di quei begli occhi, che adesso ne sono così scarsi, ardeva oltre misura;e mi sembrava che il suo viso assumesse un'espressione di pietà(non so veramente o per mia illusione) verso di me:che c'è da stupirsi se io,
che avevo nel petto la predisposizione ad amare, arsi subito di amore per lei? Il suo incedere non era proprio di una donna mortale, ma simile a quello di un angelo; e le sue parole risuonavano in modo diverso da quello di una voce umana. Quello che io vidi fu uno spirito del cielo, un sole luminoso: e se anche ora non fosse più così, la ferita non guarisce perché l'arco [che ha scoccato la freccia] si è allentato. (Se Laura diventa meno bella perché invecchia, il mio amore non svanisce perché diventata meno bella, come non guarisce la ferita dopo che la freccia è stata lanciata e l'arco si è allentato) ANALISI Prevalenza di imperfetti (ricordo), passati remoti (momento dell'innamoramento), solo due presenti: "son" (v.4) indica la fugacità del tempo; "sana" (v.14) -> forza dell'amore. BOCCACCIO Boccaccio nasce nel 1313 a Certaldo o Firenze, è un figlio illegittimo. FigliodiBoccaccino di Chellino un mercante, socio del banchiere Bardi. Il padre però loriconosce e gli permette di passare l’infanzia nella casa paterna Fiorentina dove lui portaavanti i suoi studi. Il padre intende far sì che il figlio continui le attività lavorative dellafamiglia per cui lo manda a Napoli presso una succursale della banca dei Bardi.
Dal 1327 si trasferisce a Napoli, città chiassosa, vivace e dinamica, che segnaparticolarmente il pensiero di Boccaccio. Questa esperienza napoletana costituisce unmomento fondamentale per la costruzione della sua personalità umana e letteraria. Adun certo punto la compagnia fallisce e lui deve lasciare a malincuore napoli ma anchela corte ( ambiente nobiliare che aveva frequentato e gli era piaciuto ) e quando torna aFirenze rimpiange sempre la sua Napoli.
Quando torna a Firenze deve ricollocarsi nel mondo del lavoro per una stabilitàeconomica ma la sua vera vocazione è letteraria. Studia i classici,
soprattutto quando si avvicina a Petrarca. Gli interessa anche la letteratura romanza e alcuni intellettuali quali Cino da Pistoia e Dionigi di Borgo San Sepolcro, al quale Petrarca ha dedicato "L'ascensione al Monte Ventoso".
Figura fondamentale nella sua vita è Petrarca, conosciuto nel 1350: Petrarca si recava a Roma e si ferma a Firenze. Qui nasce un'amicizia che durerà per tutta la loro esistenza. Un'amicizia molto importante che darà valore alla vita di Boccaccio non solo da un punto di vista umano ma anche professionale, perché Petrarca lo avvicinerà allo studio dei classici, delle opere erudite, della lingua greca.
L'influenza di Petrarca la troviamo non solo nell'avvicinamento al mondo classico, ma anche nelle scelte dell'ultima parte della vita di Boccaccio, il quale decide di lasciare la dimensione pubblica e ritirarsi nella casa di famiglia di Certaldo dove può studiare.
Boccaccio è un
Grande stimatore di Dante (aggettivo "divina" scelto da Boccaccio), e, su invito del comune di Firenze legge e commenta pubblicamente la Divina Commedia ma non lo farà per tutte e tre le cantiche, si ferma al XVII Canto dell'Inferno a causa delle sue condizioni di salute. Infatti, inizia a commentare i Canti nel 1372 e muore nel 1375, un anno dopo Petrarca.
Boccaccio sperimenta tutti i generi letterari, nella sua scrittura è presente un grande sperimentalismo, e queste opere sono legate da un filo conduttore, sembra che dialoghino tra di loro.
IL DECAMERON
Inizia a scrivere il Decameron subito dopo la fine della peste a Firenze nel 1348. Il titolo (genitivo; di dieci giornate). È un'opera derivata dal greco che significa 10 giornate costituita da 100 novelle.
Il richiamo a Dante lo troviamo sin dall'inizio dell'opera "Comincia-> il libro richiamo alchiamato Decameron cognominato prencipe Galeotto": quinto
Canto dell'Inferno. Come galeotto facilitò l'amore tra Ginevra e Lancillotto, così il Decameron deve alleviare e aiutare le pene d'amore delle donne. È un'opera dedicata alle donne come dice Boccaccio nel proemio: egli afferma che per un difetto di natura, alle donne non è dato avere distrazione all'amore. Se gli uomini possono distrarsi con la caccia, il gioco, le attività lavorative... le donne sono costrette a stare in casa e quindi non hanno momenti attraverso cui rinfrancare, sono ferme nel loro dolore d'amore. Quindi il Decameron deve intrattenere e dare diletto alle donne, ma allo stesso tempo deve dare utili consigli per le pene d'amore.
L'autore non è l'unico narratore: Boccaccio parla nel proemio, nell'introduzione alla prima e alla quarta giornata e nelle conclusioni. Ma i novellatori, coloro che raccontano le novelle, sono 10 ragazzi. Non è più un solo narratore che
detiene la verità e legge la realtà dal suo punto di vista, ma ci sono diversi punti di vista che guardano la realtà e la raccontano. Inizia a diffondersi l'idea di una verità relativa, una sorta di relativismo, plurali e molteplici punti di vista, non più una realtà unica e assoluta.
Ogni giornata ha una rubrica e ogni novella ha a sua volta un'altra introduzione sintetica. Vi sono dunque 10 introduzioni ad ogni giornata e 100 rubriche per ogni novella. C'è quindi la ricerca per dare una forma sistematica all'opera, attraverso la cornice e varie introduzioni. Dare ordine e sistematicità è un retaggio medievale.
A causa della peste a Firenze, dieci ragazzi (7 ragazze e 3 ragazzi) si incontrano nella chiesa di Santa Maria Novella e decidono di lasciare la città per ritirarsi in un