TPM
Sta per total productive maintenance, ovvero una metodologia di gestione operativa che
mira a massimizzare l'efficienza degli impianti produttivi attraverso il coinvolgimento di
tutto(total) il personale, dalla dirigenza agli operatori, nella prevenzione dei guasti e nel
miglioramento continuo delle prestazioni, il termine manutenzione è definito dalla
commissione manutenzione dell’UNI, nella norma UNI EN 10336, dove la manutenzione
viene definita come “la combinazione di tutte le azioni tecniche, amministrative e
gestionali, incluse le azioni di supervisione, previste durante il ciclo di vita di
un’entità e destinate a mantenerla o riportarla in uno stato in cui possa eseguire la
funzione richiesta” in termini più generali essa vuole assicurare la disponibilità degli
impianti al minimo costo, tramite interventi tecnici sui macchinari, ma anche tramite una
gestione periodica ed intelligente di questi interventi.
Perché avviene un guasto?
A furia di sollecitazioni, il nostro macchinario è sempre meno resistente per cui con
l’usura sarà sempre più semplice incombere in un guasto, che avvera nel momento in cui
la resistenza nel grafico scenderà sotto le sollecitazioni.
Il tasso di guasto, misura i guasti nell’unità temporale e dal suo grafico si denotano 2
principali periodi in cui essi avvengono:
A grandi linee abbiamo 3 tipologie di manutenzione, a guasto, preventiva e migliorativa,
la prima non è preventiva, mentre le altre 2 ovviamente sì.
Nella manutenzione e guasto, ritroviamo il concetto di MTTR ( mean time to repair),
ovvero un indicatore che ci va ad indicare il tempo per rimetterci in funzione ed esso è per
forza di cose influenzato dal tempo e dalle capacità dei manutentori:
Con le altre 2 tipologie di manutenzione, per forza di cose cambierà il grafico
Si nota come lo scopo sia qullo di tornare alle condizioni iniziali del macchinario
Mentre la preventiva mira a rendere le sollecitazioni il meno impattanti possibile
Cenni storici
1951 -> nasce il concetto di MANUTENZIONE PREVENTIVA, ovvero un check-up fisico
delle macchine e attrezzatura tramite interventi preventivi, introdotta da americani
1957 -> si evolve in MANUTENZIONE MIGLIORATIVA, la volontà è quella di ridurre i guasti
delle macchine rendendole pià affidabili, aumentando la manutenibilità delle macchine e
delle attrezzature
1960 -> PREVENZIONE DELLA MANUTENZIONE, progetto macchine che ne richiedano il
meno possibile
1979 -> PRODUCTIVE MAINTENANCE prima implementazione di TPM in Nippon Denso
Co e sviluppo in Toyota Motors.
La metodologia TPM è stata una delle basi fondamentali che il Prof. Hajime Yamashina ha
utilizzato per creare il World Class Manufacturing, noto come WCM, strumento
ampiamente applicato nell'industria automobilistica e della componentitica italiana ed
una delle leve che hanno determinato la svolta del gruppo FIAT avvenuta in questi ultimi
anni.
NAKAJIMA, arriva da toyota e definisce TPM ( in italiano Manutenzione Produttiva) il cui
scopo è collaborare e perseguire tutti assieme il miglioramento, con l’aiuto della
produzione, andando quindi a superare questo dualismo produzione-manutenzione,
secondo cui una ostacola l’altra, sfruttando gli addetti alla produzione stessa per la
manutenzione… scopiamo come:
Infatti alla base del TPM, c’è l’attività di gruppo, gruppo composto da operatori e manute
tori,i primi sono presenti sempre vicino alle macchine e quindi sono in grado di monitorare
e ispezionare il funzionamento, osservare le condizioni in cui si verificano i guasti e le
micro-fermate oltre che pulire e ispezionare con la frequenza necessaria le macchine;
tutte attività che se ben fatte riducono notevolmente la possibilità di guasti, infatti la
pulizia genera sporco, una delle principali fonti di guasto, nel frattempo che puliscono,
gli opratori possono svolgere tutte quelle attività come stringere bulloni, lubriifcare… volte
a ridurre i guasti; mentre ai manutentori toccheranno le complesse operazioni di
manutenzione.
Insieme, operatori e manutentori, costituiscono un team ideale per il miglioramento
dell’efficienza delle macchine, dove agli operatori spetta la manutenzione autonoma e ai
manutentori quella PIANIFICATA
MANUTENZIONE AUTONOMA
Poiché gli attori principali sono gli operatori è indispensabile che, gradualmente
diventino sempre più autonomi nella gestione delle macchine.
7 sono gli step per la manutenzione autonoma
1) Cleaning and tagging, pulisco e inserisco un tag con le informazioni di cleaning,
inspecting and lubrifcation
2) contromisure, diciamo che i primi 2 step vogliono ripristinare lo stato della macchina
3) Definizione di standard di pulizia lubrificazione da controllare e verificare, una sorta di
elenco di attività di controllo, AVERE GIA QUESTE PRIME 3 FASI FA TANTA ROBA, è
una sorta di standard work da seguire per le prime 2
4) General inspection: gli operatori sanno bene il funzionamento della macchina
5) Autonomous inspection: operatori sempre più autonomi, sanno definire istruzioni e
standard di manutenzione
6) Visual maintenance management, gli standard di manutenzione sono resi VISIBILI
7) Miglioramento continuo…
In sostanza ogni punto è un passo in più verso l’autonomia dell’operatore, il quale
ridurrà sempre di più il compito e la presenza del manutentore
MANUTENZIONE PIANIFICATA
Essa è nelle mani del manutentore, il cui scopo è quello di eliminare i guasti nelle
macchine di tipologia A e B (ovvero tutte quelle macchine che in scala di importanza
trattano sicurezza, qualità e livello di servizio), gestendone i ricambi nel miglior modo
possibile.
Coincide con uno standard work kamishibai (tessere rosse, tessere verdi)
Quindi, stabilita la tipologia di macchina, vado a ridurre i guasti sulle macchine A e B.
Altro obiettivo è quello di ridurre e capire da cosa sono causatele micro-fermate,
raccogliendo più dati possibili perché tante micro fermate spalmate su una giornata mi fanno
perdere tanto T.
SMED
Sta per single(singola cifra) minute exchange of die(stampo), "cambio stampo in un
minuto”ed è una metodologia volta a diminuire sempre di più il tempo di set up, set up che
sono necessari ma non portano a “nulla di buono”, infatti non aggiungono valore al prodotto e
mi occupano operatori e macchine.
La soluzione di creare lotti più grandi può aiutarmi a ridurre l’incidenza del set up? No, finisce
solo per generare sovrapproduzione, quindi approccio totalmente sbagliato.
La soluzione sarà quindi per forza di cose ridurre il Tsu, ed il padre della tecnica SMED è
shigeo shingo, il quale portò alla nascità della metodologia fra gli anni 50 e i 70
I risultati della tecnica saranno sia straordinari che “”normali””, anche se in casi normali
ritroviamo niglioramenti fino a 20 volte tanto :
• “Alla Mitsubishi Heavy Industry: in precedenza erano richieste 24 ore per cambiare gli
utensili di un trapano multiplo a 8 punte; in un anno il tempo totale fu ridotto a 2 minuti e
40 secondi.”
• “Alla Toyota Motors: in precedenza erano richieste 8 ore per sostituire gli stampi e gli
utensili di un per una “bullonatrice”; dopo un anno tale tempo fu ridotto a solo 58 secondi
” I rapporti di riduzione “normali”-> sono dell’ordine 1 a 20 •
“Alla H. Weidmann Company in Svizzera il tempo per una formatrice di materie plastiche
da 50 once da 2,5 ore fu ridotta a 6 minuti e 35 secondi.”
• “Alla Federal Mogul Company in America il tempo di sostituzione degli utensili di una
fresatrice fu ridotto da 2 ore a 2 minuti.”
Nei primi anni, la metodologia era solamente volta a macchine singole come presse,
cambi stampo e aspetti critici, col tempo si estese a tutte le risorse produttive e
organizzazioni, la metodologia si articola in 10 step ed ha il cuore nelle fasi 4 a 7:
Step 1 e 2: ANALISI DELLE ATTIVITà DI SET UP + DEFINIZIONE BENCHMARK E OBIETTIVI:
Analizzo quindi le varie fasi/attività monitorando le tempistiche, confrontandole con i
benchmark ponendomi obiettivi
Step 3 ATTIVITA DI PREPARAZIONE, RICERCO LE ATTREZZATURE CHE MI SERVONO:
Identifico quantità di macchine, utensili e attrezzi necessari, vado a stockare ciò che non mi
serve, implemento le 5s
Step 4 CLASSIFICAZIONE DELLE ATTIVITA IN BASE ALLA TIPOLOGIA
Effettuo divisione fra attività interne ed esterne(posso eseguirle mentre la macchina va) e
vedo il tempo da loro impiegato
Step 5 CONVERSIONE ATTIVITA INTERNE IN ESTERNE
Questa fase riduce TSU di 30-50%, preparo prima le condizioni operative.. preriscaldo stampi,
setto utensili, riduco prova
Step 6 e 7, RIDUCO TEMPO ATTIVITA INTERNE + ELIMINO AGGIUSTAMENTI
Cerco di standardizzare il più possibile, creo riferimenti standard che evitano di farmi
muovere ogni volta, uso morsetti funzionali, modifico gli stampi, maschera di
assemblaggio(cerca internet), così facendo rendo esterne attività che prime erano interne.
Parallelizzo, faccio svolgere a 2 persone in parallelo per finire prima
Uso meccanizzazione per supportare(karakuri)
Step 8 9 e 10, meno importanti: GESTIONE AGGIUSTAMENTI NON ELIMINATI +
STANDARDIZZAZIONE ATTIVITA SET UP + TRAINING OPERATIVO tipo attività
attrezzaggio
tempo
descrizione preparazi montaggi
N Fase tempo (sec) progressivo
operazione one
(sec) interna esterna
x
1 raffreddamento 60 60 x
2 apertura 5 65
rimozione caffe x
3 esausto 30 95
riempimento x
4 acqua 15 110
montaggio x
5 filtro 3 113
riempimento x
6 caffe 5 118 x
7 chiusura moka 5 123 x
8 Temperatura 300 423
9
10
11
12
*esempio in classe, lo smed porta a innovazioni -> macchinetta caffè con cialde
Sé e solo se faccio SMED posso realizzare piccoli lotti, mi diminuirà il set up, la variabilità e la
variabilità di domanda perché opero su settori temporali minori; quindi, non sono costretto a
pianificare tanto in là la domanda
Qualità lean
Parte sinistra del tempio, è molto difficile dare una definizione di qualità, molte c’è ne sono
state proposte durante l’anno anche in Design.
Quello che è importante, è il valore per cui il cliente paga, le qualità di un fast food sono
diverse da quelle della novelle cuisine, ma non vuol dire che una sia di qualità e l’altra no!
Nei fast food il cliente paga per avere il cibo velocemente e sempre uguale, per cui il cliente
paga per avere il cibo velocemente e standardizzato.
La prima definizione di
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