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FONTI DEL DIRITTO
Delle tante trasformazioni forse la più rilevante coinvolge le fonti di
produzione del diritto che, ad ulteriore conferma della differenza rispetto
all’età arcaica, trovano adesso la possibilità di essere conosciute grazie ad
una vastissima quantità di fonti di cognizione, alla luce delle quali si può
ricostruire il panorama delle fonti normative. La grande ricchezza
informativa ci viene dalle opere degli scrittori di questi 2 secoli, in
particolare Cicerone, che vive nel mondo del diritto, oltre che politico,
oratorio, filosofico. Abbiamo le leggi, che si potenziano, mores e due fonti
nuove.
EDITTO DEL PRETORE.
Il pretore è il magistrato competente per l’attività giurisdizionale.
Inizialmente è solo uno ma nel 242 la carica si raddoppia; il più recente è il
pretore peregrino, istituito per la giurisdizione con gli stranieri. Il primo da
quel momento prende il nome di pretore urbano, competente nei rapporti
tra cittadini. Delle due figure, quella di riferimento è la prima, ma per i due
valgono le stesse regole. Come gli altri magistrati ordinari, tranne i
censori, anche il pretore era annuale (eletto ogni anno). Anzi viene eletto
quando il precedente è ancora in carica e alla scadenza dell’anno del
precedente inizia il suo mandato. Entro 10 giorni dall’inizio delle sue
funzioni deve emanare il suo editto. Tutto il mandato deve essere guidato
dal contenuto dell’editto. Viene scritto su tavole di legno dipinte di bianco
a caratteri rossi. Il testo viene esposto nel Foro: tavole Albe. L’editto è un
atto politico, trascritto su un documento pubblico e portato alla conoscenza
dei cittadini. Nel Foro si svolgono le attività commerciali e il pretore
amministra la giustizia.
Nell’editto non ci sono scritte norme per i cittadini, non sono leggibili
norme di condotta rivolte ai cittadini. Questa vincolatività la ha la legge,
scritta nelle 12 tavole. L’editto è il programma politico di governo del
magistrato in carica e contiene l’indicazione dei provvedimenti che il
pretore si impegna ad assumere verso i cittadini durante il proprio
mandato. L’efficacia vincolante dell’editto, in prima battuta, è rivolta
direttamente al pretore: l’editto obbliga il pretore che si esprime con la
formula “io darò, io concederò”.
Editto del pretore. L’età preclassica vede la fioritura di questa fonte
⁂
normativa. Vi è un’urgenza di rendere il contenuto dell’editto quanto più
possibile percepibile a livello pubblico. È un programma politico;
l’efficacia precettiva nei confronti dei cittadini la ha solo la legge. L’editto
deve porsi in maniera diversa. Se l’editto è il programma politico del
pretore all’ inizio del suo mandato, l’elenco dei criteri, dei provvedimenti
che lo guideranno nel suo anno di mandato in quanto magistrato
competente per l’amministrazione della giustizia, possiamo concludere che
l’editto è un atto attraverso il quale il pretore vincola sé stesso rispetto a
quanto enunciato. L’editto è una sequenza di previsioni che il magistrato fa
in astratto, prefigurando che si verifichi una certa situazione. Le clausole
sono previsioni rispetto alle quali il magistrato espone il provvedimento
che si impegna ad emanare, la soluzione che si impegna a adottare rispetto
alla previsione stessa. Esempio relativo all’istituto del dolo che trova
nell’editto il suo riconoscimento. Il pretore dice che se qualcuno andrà da
lui e lamenterà di essere stato ingannato, raggirato nella conclusione di un
contratto e di aver pagato per qualcosa che non meritava, di aver eseguito
una prestazione non dovuta, lui si impegnerà, gli darà uno strumento di
protezione. La clausola configura l’impegno ad accordare lo strumento di
protezione, l’azione di dolo.
Azione significa strumento di tutela processuale concesso a chi vanta
(afferma, reclama) una pretesa di riconoscimento nei confronti di una
controparte, ad esempio, un credito che non è stato pagato. L’azione
permette a chi vanta una pretesa di farsi attore, cioè parte processuale,
perché il magistrato gli concede di portare un’azione e tradurla in uno
schema processuale. Il destinatario della pretesa prende il nome di
convenuto. L’attore ed il convenuto sono i due soggetti del processo
privato.
L’altro strumento fondamentale per la costruzione di clausole edittali è
l’eccezione. Ogni exceptio è lo strumento che bilancia la posizione
dell’attore, perché è concessa al convenuto per difendersi dalla pretesa
processuale dell’attore, ossia dalla sua azione. Di fronte all’azione
intentata nei confronti del convenuto, l’eccezione è il suo strumento di
difesa. Con l’eccezione il convenuto non nega la veridicità di quanto
l’attore afferma, ma aggiunge a quanto affermato dall’attore una
circostanza ulteriore, che rende ingiusta la vittoria dell’attore perché rende
ingiusta la condanna del convenuto e dunque, legittima la soluzione del
convenuto dalla pretesa dell’attore. Ogni eccezione si configura sempre
come una clausola negativa.
“Dice il pretore: se qualcuno che è stato convenuto in processo per
eseguire un obbligo, una prestazione, una pretesa alla quale si è obbligato
e costui lamenta che si è impegnato perché ingannato ha concluso quel
contratto perché ingannato, io (pretore) mi impegno a dargli la possibilità
di difendersi opponendo l’eccezione di dolo (exceptio doli)”.
“Giudice condannami solo se non c’è stato dolo, altrimenti assolvimi.” Se
l’inganno è comprovato, l’assunto sarà assolto.
Il dolo trova un riconoscimento nell’editto; la clausola compare tra il 70 e
il 60 a.C., l’istituto diventa figura rilevante. La rilevanza del dolo come
circostanza (articolo 1439 c.c.) che incide sulla validità del contratto arriva
da quella clausola forse realizzata da Aquilio Gallo. L’efficacia vincolante
diretta di questa clausola edittale è rivolta al pretore.
L’efficacia indiretta ha come destinatari i cittadini, i quali sanno che non è
possibile ingannare altri soggetti quando si conclude un contratto. Il
risultato della clausola è di natura sostanziale. La prospettiva dell’editto è
una prospettiva rimediale: non crea una nuova regola sul piano sostanziale,
che è compito della legge, ma rileva l’esistenza di un possibile margine di
protezione e la dà attraverso lo strumento processuale. Indirettamente, crea
una regola di diritto sostanziale. È richiesta la buona fede oggettiva,
dovere di trasparenza, regolarità, linearità di situazioni che rendono
affidante la situazione con una controparte.
L’editto è una serie di clausole che prevedono strumenti di protezione per
situazioni che meritano una tutela processuale e che diventano situazioni
rilevanti sul piano sostanziale. Questo risultato ha solo un inconveniente:
l’editto ha valore solo annuale e poi viene sostituito da un altro. A questo
inconveniente si risponde nell’ambito della prassi politica, che a sua volta
risponde ad interessi economici. La prassi politica consente di tamponare
questo rischio di annuale crollo della normativa; la prassi seguita dai
magistrati era quella di recuperare l’editto del predecessore, che non
veniva totalmente smantellato ma trapassava di pretore in pretore. Ognuno
procedeva con eventuali aggiunte, nuove clausole che andavano a dare una
risposta ad un bisogno. Quella dell’editto è una crescita stratificata: si
chiama editto tralatizio, ossia che si conferma, che viene tramandato.
Proprio per questo si arriva all’articolo 1439 del Codice civile. La storia
dell’editto è di anno in anno una storia di conservazione ed innovazione.
L’editto del pretore urbano continua a rappresentare modello di riferimento
che tende ad ampliarsi nel corso del tempo. I magistrati titolari di
competenze giurisdizionali crescono. Si configurano nuove figure di
magistrati. Il pretore peregrino ogni anno emana il suo editto, sul modello
di quello del pretore urbano, a partire dal 242 a.C. (anno prima della fine
della prima guerra punica). Da quel momento inizia l’organizzazione dei
territori conquistati al di fuori del territorio italico in province. La
provincia più celebre è quella di Giudea. Ogni provincia è affidata ad un
governatore; quello di Giudea è Ponzio Pilato. Il governatore viene inviato
di anno in anno e rappresenta, appunto, il governo di Roma, oltre ad essere
anche organi giurisdizionali emanando a loro volta editti. Una nuova carica
nasce fra II e I secolo a.C.: gli edili. Questa magistratura affianca i tribuni
della plebe, nascono come loro organi ausiliari. Nel corso del tempo,
grazie al progressivo fondersi dei due ordini di plebe e patriziato, gli edili
assumono una competenza rivolta alla città nella sua interezza (oltre il
compito di curare l’aspetto urbano e del decoro pubblico, hanno anche la
cura ludorum, la cura degli spettacoli, la cura dell’approvvigionamento dei
mercati); all’indomani dell’accordo con il quale il consolato si apre alla
plebe viene creata una seconda coppia di edili. Alla coppia di edili plebei si
aggiunge una coppia di edili solo patrizi, gli edili curuli, esclusivamente
eletti tra i patrizi. Questi hanno le stesse competenze dei primi, ma avranno
anche un’attribuzione ulteriore esclusiva per loro: la competenza
giurisdizionale per un preciso settore di controversie, individuate ratione
materiae, ossia in base alla natura della pretesa, del diritto fatto valere e
della fattispecie dalla quale la pretesa si è originata. Sono le controversie
relative ai contratti di compravendita conclusi nei luoghi commerciali,
cioè nelle botteghe del foro. Inizialmente le fattispecie erano i contratti di
compravendita di animali e di schiavi. È una scelta di efficienza
amministrativa, ma anche un modo per dare una rilevanza autonoma alle
controversie commerciali, attraverso la creazione di un apposito editto.
Infatti, anche gli edili curuli ogni anno emanano un loro editto,
immaginato come un atto destinato esclusivamente a sancire la disciplina
per le controversie relative ai contratti di compravendita. Ogni anno,
dunque, si configura un mosaico di editti che compone complessivamente
un sistema normativo proprio, individuato, con un’apposita
denominazione, ius civile, inteso nel suo secondo significato. Il complesso
normativo che trova le proprie fonti di produzione nei diversi editti
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