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LA RESPONSABILITÀ DA FATTO ILLECITO
Il cardine della responsabilità da fatto illecito nascente dalla violazione di una norma generaleposta a tutela di tutti i consociati, quindi al di fuori di un preesistente rapporto tra danneggiante edanneggiato (contratto), è individuabile all’interno dell’articolo 2043: Qualunque fatto doloso o colposo,che cagioni ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che lo ha commesso a risarcire il danno. L’uso deltermine “qualunque” fa della norma una norme aperta: vige infatti in questo settore una piena atipicità,non essendo predeterminate ipotesi di atti o fatti generanti responsabilità extracontrattuale. Peringiustizia del danno si intende un danno antigiuridico, che viola cioè un diritto soggettivo, un interesseo una situazione meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento. È da registrarsi un’ampia evoluzione delconcetto di “danno ingiusto” e dellaIndividuazione dei diritti o interessi che, ove lesi, danno luogo all'obbligazione risarcitoria in capo a colui che lo ha commesso. Fino alle soglie degli anni '70 era considerato ingiusto solo il danno che ledeva un diritto assoluto (proprietà, persona), opponibile erga omnes. Non dava invece luogo a responsabilità extracontrattuale il fatto di un soggetto che venisse oggettivamente ad interferire nel rapporto contrattuale altrui rendendone impossibile l'esecuzione della prestazione. Il rapporto debito/credito, in quanto situazione relativa, si considerava insuscettibile di assumere rilievo rispetto ai terzi, autori di atti illeciti. Con una sentenza, all'epoca rivoluzionaria, la Suprema Corte si espresse invece dicendo che qualunque fatto doloso o colposo cagiona la morte del debitore altrui è obbligato a risarcire il danno subito dal creditore. Con tale pronuncia viene superata la rigida contrapposizione tra diritti assoluti e relativi.
L'argomentazione alla base di tale dichiarazione risiede nel fatto che se è indubitabile che non esiste alcun obbligo specifico a carico dei terzi nei confronti di rapporti contrattuali alieni, sarebbe arbitrario ritenere che terzi possano, senza subirne le conseguenze, interferire con il loro comportamento illecito nelle altrui situazioni giuridiche. Si è così passati dalla tutela esclusiva dei diritti assoluti, ad un ampliamento, estensione delle ipotesi di risarcibilità, fino a farvi rientrare non solo la tutela dei diritti di credito, ma anche di situazioni come il possesso, o di semplici interessi e aspettative, purché collegati a posizioni ritenute rilevanti (convivenza di fatto, trattative). Tornando alla disposizione, il danno colposo è quello cagionato a seguito della violazione di regole di diligenza, di prudenza, di perizia, doloso attiene ad un fatto compiuto con cosciente volontà di arrecare danno. Oggi sempre di più si.parla però di responsabilità oggettiva, per indicare una forma di responsabilità che viene imputata a prescindere dall'accertamento della colpa o del dolo. Questa responsabilità si è andata ad estendere sempre di più per via di una conversione del presupposto fondativo della responsabilità contrattuale. Dal criterio di colpevolezza, concretizzante nel tradizionale principio "nessuna responsabilità senza colpa", si è passati a ritenere che la responsabilità può aversi a prescindere dalla colpa a tutela della persona lesa. Indipendentemente dalla eventuale colpa del soggetto responsabile, costituisce responsabilità oggettiva quella dei datori di lavoro per i danni illeciti provocati dai loro domestici e commessi nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti. L'imputabilità si ha obbiettivamente, sul solo presupposto del rapporto che lega l'autore del fatto dannoso.
al soggetto per legge ritenuto responsabile. In altre circostanze non si parla invece di responsabilità oggettiva, ma di responsabilità aggravata. In questo caso, a differenza della responsabilità oggettiva, è amessa la possibilità di una prova liberatoria. Si tratta però di una prova particolarmente aggravata in quanto anche la minima colpa è rilevata ai fini della responsabilità. Un’ipotesi in tal senso è quella descritta dall’articolo 2050: chiunque cagioni danni ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per quella dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento se non prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno.
Il risarcimento del danno si riferisce a una esigenza di reintegrazione in termini di erogazione di una somma di denaro corrispondente all’equivalente economico del danno subito. Non si è responsabili per il solo fatto di
essere autori di un fatto illecito, ma lo si è in quanto dal compimento di esso si produce una conseguenza dannosa. Il risarcimento è perciò legato alla verifica di un danno consistente in un probabile mancato guadagno o vantaggio. Ne consegue che, la violazione di una norma della legge che non provochi un danno effettivo non giustifica la sanzione del risarcimento. Esso è diretto a compensare, a reintegrare l'interesse leso. La reintegrazione economica avviene in termini di danno emergente, la perdita patrimoniale subita sotto forma di spesa, e in termini di lucro cessante, il mancato guadagno derivante dall'illecito altrui. Il risarcimento del danno non ha, in via di principio, almeno nel nostro ordinamento una finalità afflittiva, di sanzione, ma svolge essenzialmente una funzione reintegrativa. Se per regola generale, il risarcimento avviene per equivalente, ove possibile l'ordinamento giuridico ammette la possibilità delrisarcimento in forma specifica, volto all'eliminazione diretta, in natura, del danno subito tramite il ripristino della situazione precedente all'interferenza lesiva (reintegrazione del posto di lavoro a seguito di un ingiusto licenziamento). Tale forma, più adeguata e rispondente all'interesse del danneggiato, non risulta sempre possibile o può essere troppo gravosa per il debitore: in tal caso, nonostante la richiesta del danneggiato, il giudice può disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente. Il danno può essere patrimoniale, come danno che si riferisce ad un interesse economico, o non patrimoniale, quello che si riferisce ad un valore della persona. Questa distinzione non allude allo strumento risarcitorio, che ha sempre carattere economico, ma afferisce alla diversa qualità degli interessi che vengono tutelati (risarcimento per violenza è non patrimoniale, danno alla macchina è patrimoniale). Sorge spontaneo.chiedersi come può si puòattribuire un valore al danno non patrimoniale. In precedenza, era il giudice che in via equitativa,attribuiva l’equivalente economico che secondo lui nel caso specifico un soggetto poteva aver subito,dando luogo così ad una grave disparità. Ciò ha portato all’elaborazione di parametri oggettivi in baseal tipo di lesione subita e all’età del danneggiato, riportati su delle tabelle grazie alle quali si è potutoapplicare un sistema di risarcimento univoco. Fino al 2008, il danno non patrimoniale veniva risarcitonei soli casi previsti dalla legge, ponendo così una forte limitazione. In particolare, il risarcimento eraprevisto quando questo danno nasceva da un atto che costituiva un reato secondo il codice penale.Presa coscienza del fatto che si trattava di una previsione assi restrittiva, si è stabilito che il danno nonpatrimoniale fa riferimento al danno conseguente alla lesione dei diritti della personalità.diritti inviolabili della persona costituzionalmente garantiti. In questa prospettiva possiamo distinguere diverse tipologie di danno alla persona: il danno biologico, che consiste nell'interesse alla lesione all'integrità psico-fisica (braccio fratturato, attività relazionale), la quale è uguale per tutte le persone, senza alcuna distinzione. Abbiamo poi il danno esistenziale, tradizionalmente definito come l'ingiusta lesione alle attività realizzatrici, alle abitudini di vita e agli assetti relazionali della persona. Al soggetto, a causa dell'illecito, viene impedito di fare, o è stato costretto a fare diversamente, qualcosa, e tale impedimento o costrizione ha comportato scelte dagli effetti negativi per il suo sviluppo umano e sociale. Il danno morale indica invece la sofferenza psichica, il tormento interiore, il dolore provocato dall'essere vittima dell'atto illecito di un terzo. Esiste un limite, che la scienzamedica ci aiuta ad individuare, entro il quale tali sofferenze sono considerate fisiologico effetto, normale conseguenza dell'evento dannoso e quindi danno morale. Superato tale limite la normale sofferenza si trasforma in patologia, in danno psichico, con la conseguenza che si dovrà far riferimento al danno alla salute.LA FAMIGLIA E IL REGIME PATRIMONIALE CONIUGALE
La formula utilizzata per individuare l'insieme delle regole giuridiche preposte all'organizzazione e alla disciplina delle relazioni familiari, "diritto di famiglia", nasce dall'unione di due termini che racchiudono concetti apparentemente discordanti. Da un lato il diritto, che tende a regolare, a disciplinare rapporti fissandoli in situazioni e modelli standardizzati. Dall'altro lato abbiamo la famiglia, che secondo l'articolo 29 della Cost. costituisce la formazione sociale definita come società naturale, ovvero non creata dall'ordinamento statuale, ma dal
quale è riconosciuta, fondata sul matrimonio. A tal riguardo, è significativo richiamare la riflessione del giurista Jemolo, il quale ricordava come la famiglia costituisca un'isola che il mare del diritto può solo lambire ma non penetrare. Questa formula mira chiaramente a riassumere i limiti dell'intervento del diritto nell'ambito dell'ordinamento familiare. Quell'isola evocata da Jemolo è divenuta, nel volgere di pochi anni, un arcipelago, volendo significare che accanto all'istituto tradizionale di famiglia (famiglia legittima) convive una pluralità di differenti modelli, configurazioni. Un esempio tra questi è la convivenza di fatto, quale unione stabile tra soggetti che, pur in assenza di un vincolo formale (matrimonio) che ne positivizzi diritti e obblighi reciproci, ne ricalca il modello caratterizzandosi per l'effettività della convivenza personale. La famiglia di fatto trova la sua giustificazione.all'interno dell'articolo 2 della Costituzione, il quale legittima le associazioni nelle quali si esplica la personalità degli individui. Se così non fosse si rischierebbe di lasciare sprovvisti di qualsiasi tutela e garanzia i fondamentali interessi di natura personale e patrimoniale.