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L'INCLUSIONE SOCIALE DEL MINORE IMMIGRATO: IL LIMITE DEL

MULTICULTURALISMO

Diritto di Famiglia e delle Persone (Il), fasc.4, 1° DICEMBRE 2020, pag. 1537

Concetta Parrinello

Classificazioni: STRANIERI - In genere

(*) Sommario: 1. Vulnerabilità ed inclusione sociale: il quadro normativo — 2.

Dall'assimilazione/integrazione all'inclusione: un percorso ancora non compiuto

— 3. Multiculturalismo e violazione del diritto alla salute — 4. Modelli culturali

familiari e tutela del minore — 5. Osservazioni conclusive.

1.Il tema dell'inclusione sociale risulta di difficile investigazione per i numerosi

profili che trasversalmente tocca. E la questione si presenta ancora più articolata

se coinvolge categorie particolarmente vulnerabili quali soggetti minorenni che

vivono in Italia, bambini e adolescenti stranieri, inclusi i minori non

accompagnati, appartenenti alle comunità rom, sinti e caminanti, bambini e

adolescenti con disabilità e bisogni educativi speciali e adolescenti coinvolti nel

circuito penale minorile. A tutti questi soggetti spesso non vengono pienamente

riconosciuti i diritti umani. L'inquadramento giuridico della condizione dei minori

stranieri si presenta particolarmente complesso, stante la necessità di

ratio

contemperare le istanze specifiche sottese a due legislazioni speciali, la cui

è profondamente diversa: da un lato, la disciplina degli stranieri, ispirata

innanzitutto al soddisfacimento di esigenze di tutela dell'ordine pubblico e della

sicurezza nazionale; dall'altro, la legislazione minorile, complessivamente

concepita a partire dall'idea di fondo, tendenzialmente orientata a contemperare

contrapposte esigenze di strutturate istanze di protezione e promozione di quei

soggetti che, a causa delle condizioni di immaturità fisica e psichica in cui si

trovano, si ritengono non possedere la piena capacità di intendere e individuare

e di far valere i propri diritti e di curare i propri interessi. La vulnerabilità dei

minori migranti impone di prevedere forme di protezione più specifiche di quelle

che l’ordinamento appresta in generale, per il perseguimento della tutela delle

loro esigenze o di interessi che l’ordinamento considera di particolare rilevanza

in relazione a particolari situazioni nelle quali sono coinvolti in via contingente,

transeunte o stabile. La tutela specifica tende a garantire al soggetto vulnerabile

una protezione maggiore, tenuto conto che la particolare condizione nella quale

versa non gli consente di dispiegare pienamente e liberamente la propria

personalità e identità, sicché lo Stato è tenuto ad adottare misure protettive, ma

anche promozionali, nell’ottica di garantire la dignità, principio immanente,

immediatamente efficace e inderogabile, non soggetto ad alcun bilanciamento

con altri diritti. In un quadro in cui l’effettività di tutela dei diritti fondamentali

rischia di essere vanificata proprio per quei soggetti per i quali dovrebbe essere

maggiormente garantita, occorre riflettere circa la possibilità di individuare,

anche alla luce degli standards da tempo elaborati a livello sovranazionale e

ribaditi dai più recenti atti del Consiglio d’Europa, soluzioni interpretative idonee

status

ad assicurare una configurazione dello del minore straniero compatibile

con la logica di protezione e coerente con i principi ispiratori del nostro sistema

costituzionale e con le regole sovranazionali poste a presidio dei diritti della

persona.

A livello normativo si assiste al passaggio da una tutela settoriale, circoscritta ad

ambiti ben precisi della vita sociale in cui emergono specifiche esigenze di

protezione della minore età, all’affermazione del principio di una tutela del

minore n quanto persona in fase di evoluzione, con il riconoscimento dei diritti

che spettano al soggetto in formazione, attraverso la previsione di strumenti

giuridici indispensabili per la loro effettiva tutela e realizzazione; per il minore

immigrato non sembrano pienamente ed effettivamente garantiti i diritti.

Occorre, dunque, verificare se gli strumenti predisposti dal sistema tendano

effettivamente all’inclusione di chi si trova a vivere il rischio di discriminazione

ed esclusione sociale, attraverso l’effettiva valorizzazione delle differenze delle

quali i soggetti sono portatori.

Questa sembra essere, infatti, l’unica via che può consentire la trasformazione

dei processi di inclusione in un arricchimento per la società nelle quali tali

processi si svolgono sia per le persone che vengono a esserne direttamente

coinvolte.

2. Per molto tempo si è posto l’accento sul processo di integrazione sociale che

rappresenta uno stato di sostanziale e consensuale coinvolgimento di tutti i

soggetti nel sistema delle istituzioni, delle norme e dei valori. L’integrazione

sembra sottintendere che i migranti devono adottare la cultura nazionale della

società in cui si inseriscono per essere “accettati” e, secondo le scienze

sociologiche, l’individuo deve modificare i propri comportamenti e le proprie

credenze per aderire al sistema della cultura dominante, per tendere

all’“assimilazione” senza perseguire uno scambio reciproco.

Secondo i Principi Fondamentali Comuni per la Politica di integrazione degli

immigranti nell’UE si tratta di “un processo dinamico e bilaterale di

adeguamento reciproco da parte di tutti gli immigranti e di tutti i residenti degli

Stati membri” che, per un verso, “implica il rispetto dei valori fondamentali

dell’UE” e, per altro verso, la “salvaguardia della pratica di culture e religioni

diverse” in cui è cruciale “l’accesso degli immigrati alle istituzioni nonché a beni

e servizi pubblici e privati, su un piede di parità con i cittadini nazionali e in modo

non discriminatorio”, e “l’interazione frequente di immigrati e cittadini degli Stati

membri è un meccanismo fondamentale”.

Un mutamento positivo di prospettiva si rinviene laddove, a far tempo dagli anni

’90 del secolo scorso, si affianca e progressivamente di sostituisce all’idea di

integrazione quella di inclusione che conduce al riconoscimento di un diritto

come forma di contrasto all’esclusione. Le strategie e le azioni da promuovere

devono tendere a rimuovere quelle forme di esclusione sociale di cui soprattutto

i minori immigrati soffrono nella vita quotidiana: l’esperienza scolastica spesso

vissuta ai margini della classe e non sempre supportata adeguatamente,

l’abbandono scolastico, il mancato apprendimento di competenze sociali e di

vita, l’esclusione dal mondo del lavoro, le esperienze affettive spesso relegate

all’ambiente familiare, una scarsa partecipazione alle attività sociali e di tempo

libero.

Percorrere le strade dell’inclusione sociale significa promuovere condizioni di vita

dignitose e un sistema di relazioni soddisfacenti nei riguardi di persone, i minori

immigrati, che spesso presentano difficoltà di inserimento, in modo che esse

possano sentirsi parte di comunità e di contesti relazionali dove poter agire,

scegliere, giocare e vedere riconosciuto il proprio ruolo e la propria identità.

Occorre, tuttavia, segnare che a livello europeo si è adottata una politica timida,

si è scelta la via della lotta all’esclusione sociale e la promozione del benessere

dei minori e, in tal caso, si segnala la Raccomandazione della Commissione del

20 febbraio 2013, rubricata “Investire nell’infanzia per spezzare il circolo vizioso

dello svantaggio sociale”, laddove, sarebbe stato opportuno adottare strumenti

efficaci ed efficienti nell’ottica della promozione di questi particolari soggetti. Più

di recente, anche la Raccomandazione (UE) 2017/761 della Commissione sul

pilastro europeo dei diritti sociali, al capo III, rubricato Protezione sociale e

inclusione, si occupa di “Assistenza all’infanzia e sostegno ai minori”,

sottolineando i diritti che spettano ai minori immigrati senza però che sia stato

adottato il passaggio necessario per dare attuazione ai diritti stessi. Si segnala,

infatti, che la scelta di procedere con strumenti non vincolanti, quali la

Raccomandazione richiamata, denuncia, in tutta la sua gravità, che non esiste

una reale strategia di intervento a favore dei minori immigrati. L’Unione Europea,

così come richiesto dal documento di indirizzo “Europa 2020”, ha messo al

centro delle proprie politiche il tema dell’inclusione scolastica sottolineando che

tramite l’attività educativa delle istituzioni scolastiche è infatti possibile

realizzare le priorità di una crescita “intelligente, sostenibile e inclusiva”,

demandando ai soggetti Stati le modalità per perseguire siffatto obiettivo. Invero,

occorre ricordare che già la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti

dell’infanzia del 1989, all’art. 28, interamente dedicato all’educazione riconosce

“il diritto del fanciullo ad avere un’educazione”. La richiamata formulazione

proposta alla Convenzione di New York, letta alla luce del superiore interesse del

minore consente, per un verso, di rifarsi proprio al singolo minore inteso come

persona e considerato nella unicità e nell’irripetibilità della sua vicenda

esistenziale, nel contesto della sua vita personale, familiare, sociale e più

esattamente dell’ambiente socioeconomico e culturale nel quale vivi e, per altro

verso, induce a rileggere, in un’ottica promozionale, la formula “il diritto di

essere educato” adottata dal nostro legislatore nell’art. 315-bis c.c. che potrebbe

richiamare alla mente, comunque, una posizione di soggezione del minore nei

confronti delle scelte educative adottate dai genitori. Il diritto ad un’educazione

del minore, soprattutto immigrato, sottolinea il passaggio verso un’interazione,

una relazione che consente, preso atto delle caratteristiche proprie del singolo, di

perseguire la realizzazione personale e la dignità umana.

L’Italia ha scelto la via del diritto all’educazione per attuare l’inclusione sociale

del minore immigrato. Il diritto all’istruzione scolastica dei minori stranieri

presenti in Italia legalmente (assieme ai genitori con permesso di soggiorno) o

illegalmente (assieme ad adulti privi di permesso oppure “non accompagnati”) è

affermato in modo vincolante. Si segnalano infatti numerose normative, le quali

garantiscono in un primo tempo, il diritto salvo, successivamente, porre

attenzione alle esigenze di ogni minore straniero; persona unica, prevedendo la

scuola interculturale. “La scuola è un lu

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I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Davidinho123456 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto di famiglia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Messina o del prof Parrinello Concetta.
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