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CONTRATTO DI RETE
Il contratto di rete è un accordo con il quale più imprenditori si
impegnano a collaborare al fine di accrescere, sia individualmente che
collettivamente, i propri risultati. Il contratto di rete mira al conseguimento
di obiettivi strategici condivisi che permettano, sia la singola impresa che alla
rete nel suo insieme di crescere e svilupparsi nel tempo (obiettivo simile ai
sistemi turistici locali). Il contratto di rete può essere stipulato esclusivamente
tra imprenditori, indipendentemente dalla loro natura, pertanto possono far
parte del contratto di rete anche enti pubblici che abbiano per oggetto
un’attività d’impresa e aziende senza scopo di lucro. Il contratto di rete non
nasce nel turismo ma per l’imprenditorialità.
Sulla base della normativa( (legge 9 aprile 2009 n 33) è possibile individuare
due tipologie di crescita:
Crescita della capacità innovativa—> intesa come la possibilità che
l’impresa possa sviluppare le proprie tecnologie oppure accedere a nuove
opportunità tecnologiche presenti nella rete.
Crescita della competitività—> incrementare la capacità competitiva
dei membri della rete o della rete stessa, sia nel mercato nazionale e
soprattutto in ambito internazionale.
Il contratto di rete è una struttura aperta, perciò si dovranno rispettare dei
requisiti per permettere l’accesso ai nuovi soggetti, inoltre, è possibile
prevedere un sistema di voto per accettare nuovi ingressi.
Il contratto di rete prevede che:
- sarà possibile collaborare in forme ed ambiti predeterminati attinenti
all’esercizio delle proprie imprese,
- scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale,
tecnica o tecnologica
- esercitare in comune una o più attività che rientrano nell’oggetto della
propria impresa.
Il contratto di rete da vita ad una figura nuova: il codatore di lavoro
Ad oggi, in Italia, esistono 4088 contratti di rete. L’espansione del fenomeno
“contratto di rete” può essere analizzato lungo due direttrici: settoriale e
geografica:
Dal punto di vista settoriale, oltre l’80% delle reti è composto da
imprese appartenenti a settori produttivi differenti, suggerendo la
probabile esistenza di legami di filiera tra i soggetti coinvolti. I legami in
rete sono conducibili a: impiantistica industriale, agroalimentare e le
attività del terziario avanzato.
sul piano geografico: oltre il 50% dei contratti di rete è stato stipulato
da soggetti appartenenti ad una stessa provincia.
Le imprese che hanno aderito al contratto di rete hanno registrato, nei primi tre
anni successivi all’adesione, una migliore dinamica occupazionale, passando da
+5,2% a +11,2%. Secondo Confindustria hanno beneficiato maggiormente del
contratto le micro, piccole e le grandi imprese, mentre per le medie imprese
l’effetto della rete è stato spesso negativo.
Quali sono i settori economici che sono più adatti allo sviluppo di questa idea
del contratto di rete e quali sono i territori che si sono dimostrati
maggiormente sensibili a tale iniziativa?
Tutti i settori economici sono interessati, ma in particolare modo, dal punto di
vista dei settori, quelli maggiormente coinvolti sono: quello della manifattura
meccanica e non meccanica, quello dei servizi tecnologici ed altri servizi,
mentre quelli minormente coinvolti sono: quello dell’agricoltura.
In termini di concentrazione territoriale, i contratti di rete vantano una spiccata
scala provinciale. In particolare, il Friuli, l’Emilia, la Toscana e l’Abruzzo sono
regioni virtuose a fronte di Sicilia, Puglia e Piemonte che mostrano un limitato
interesse o una scarsa fiducia verso questo strumento di sviluppo.
Per gli studiosi del territorio non si è in presenza di un fenomeno nuovo. Allora
Cosa c’è di nuovo all’interno del contratto di rete?
ci chiediamo:
L’idea di regole chiare e condivise e decise dagli stessi imprenditori per portare
avanti questo sviluppo, in particolare, regole che prevedono l’ingresso e l’uscita
in qualsiasi istante degli imprenditori nuovi che vogliono entrare o quelli che
stanno dentro e vogliono uscire. Inoltre, l’interessamento ad entrare a far parte
del fenomeno rappresenta un segnale di evoluta mentalità
imprenditoriale e di consapevolezza dell’importanza strategica dell’essere in
rete.
Inizialmente, le PMI, non erano in grado di accedere all’alta tecnologia
informatica per motivi di costo e di difficoltà gestionale, hanno visto il contratto
come la via per condividere la spesa per l’acquisto della tecnologia e per
l’assunzione del personale altamente qualificato, partecipare ai bandi nazionali
ed europei. Ma solo in un secondo momento si resero conto che l’obiettivo era
molto più ambizioso: si vuole sviluppare una filiera globale, orizzontale e
verticale, che abbia tutti gli strumenti necessari per essere innovativi
e quindi competitiva.
IMPOSTA DI SOGGIORNO
Il turismo ha influito per il 10,4% sul PIL mondiale e il 13% sul PIL italiano. Il
14,7% degli italiani è impiegato nel comparto turistico.
L’imposta di soggiorno è stata introdotta nel 1910 ed è un prelievo fiscale di
carattere locale che possono istituire comuni nel cui territorio si trovano città
d’arte, stabilimenti balneare, stazioni climatiche o località di interesse turistico.
In questa realtà economica, l’introduzione di un’imposta di soggiorno fatta
pagare a chi visita una qualunque città, se da un lato potrebbe frenare il
turismo stesso, dall’altro potrebbe essere un valido strumento di sviluppo—>
se i suoi proventi fossero reinvestiti per accrescere la qualità dell’offerta
turistica stessa, attraverso una politica di riposizionamento del prodotto, di
ristrutturazione e di ammodernamento dei servizi connessi al turismo.
L’imposta di soggiorno venne introdotta per coprire le spese necessarie per lo
sviluppo delle città con maggior afflusso turistico ai fini di effettuare opere di
miglioramento, organizzazione e ampliamento dell’offerta turistica, per poi
essere abolita nel 1989 in previsione dei mondiali di calcio del 1990.
La tassa di soggiorno è stata introdotta durante il periodo fascista e prevede
che il non residente che dorme in un luogo sia tenuto a pagare una piccola
somma in denaro, questo perché deve contribuire a risarcire
quell’amministrazione locale per i servizi che utilizza senza pagarli, perché di
fatto non paga le tasse su quel territorio.
Contributo di soggiorno ROMA: da applicare secondo criteri di gradualità in
proporzione alla loro classificazione fino all’importo massimo di 10 € per notte
di soggiorno. Questo contributo di soggiorno dovrebbe migliorare i servizi
offerti ai turisti.il problema è che solo il 5% di quello che entra va a sostenere
questa iniziative, perché restando ai 95% va a coprire il buco di bilancio di
Roma capitale.
Differenze tra imposta e contributo:
- imposta:
- Contributo:
Tutte le principali città italiane hanno un’imposta fissa, solo Venezia discrimina
in base all’alta o bassa stagione. Roma ha l’imposta più alta al mondo.
CASO BOLOGNA:
Bologna risulta essere l’unica città italiana ad aver interpretato correttamente il
decreto istitutivo dell’imposta di soggiorno. Le città italiane, ad esclusione di
Roma, dovrebbero rispettare il vincolo di tariffa sulla base del prezzo della
camera venuta.
Obiettivi dell’imposta di soggiorno—> il gettito è destinato a finanziare
interventi in materia di turismo, di manutenzione, recupero dei beni culturali ed
ambientali locali e dei relativi servizi pubblici locali.il gettito è quindi soggetto
ad un vincolo di destinazione: le risorse derivanti dai turisti che visitano la zona
e che soggiornano nelle strutture ubicate nel territorio comunale, dovrebbero
essere impiegate in favore delle risorse che alimentano tali flussi, attraverso
interventi mirati a sostegno delle strutture ricettive e degli operatori economici
dei comuni interessati dall’applicazione del tributo.
Il 94% del contributo di soggiorno nel 2014 non è stato destinato al turismo,
possibile utilizzi di tale contributo sono: promozione turistica—>
partecipazione a fiere internazionali, turismo legato agli eventi—>
destagionalizzazione dei flussi turistici, stimolare la ripetizione della visita e
rilanciare l’immagine della città.
Esenti da tale imposta: esenti dal pagamento di tale imposta sono i
residenti, i lavoratori dipendenti delle strutture ricettive, che pratica terapie in
quei luoghi, portatori di handicap, studenti ecc.
TURISMO ALL’AREA APERTA:
Quali sono le tipologie di turismo in forte crescita?
Vi sono tre tipologie di turismo che rispetto al turismo tradizionale sono
realtà minori ma in forte crescita:
- Turismo all’aria aperta,
- Turismo rurale-agriturismo,
- Turismo lento-turismo dei cammini.
Il turismo all’aria aperta si chiama così perché fondamentalmente non
utilizza strutture fisse. Il campeggio in tenda oggi, in Italia, rappresenta non più
del 20% del turismo in campeggio. Perché? Perché negli ultimi anni il turismo in
campeggio ha seguito un percorso evolutivo che lo ha portato ad essere
sempre più turismo di lusso. Il turismo all’aria aperta ha avuto un enorme
successo perché riuscì in qualche modo a permettere nuove esperienze e in
molti casi nuove emozioni.
Da alcuni anni si coniato il termine di glamping—> termine che deriva da
glamour e camping. Si tratta di un’offerta lussuosa, spesso equivalente ad un
cinque stelle lusso, all’interno dei campeggi. Si tratta di mini appartamenti, in
teoria trasportabili su ruota che offrono tutto ciò che è ritenuto di lusso, come
materiali pregiati, l’idromassaggio, solarium, divani delle migliori marche ecc.
Tutto ciò è offerto all’interno di un paesaggio quanto più possibile naturale e
poco impattante sul territorio.
Il turismo all’aria aperta ha avuto un enorme successo perché è riuscito in
qualche modo a far provare a soggetto nuove esperienze e molti casi nuove
emozioni e soprattutto impatta poco sul territorio, dal punto di vista
ambientale.
Il turismo rurale-agriturismo è caratterizzato da un ragionamento di base
non molto differente da quello del turismo all’aria aperta. La caratteristica
principale è quella di offrire ricettività in campagna. Inoltre l’agriturismo è solo
una parte del turismo