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6.LA PROSA E IL TEATRO
L’ultima fase della produzione di D’Annunzio registra opere dove si percepisce
l’ansia per l’avvicinarsi della morte; la scrittura è di tipo autobiografico e
introspettivo. Tra il 1911 e il 1914 inizia a pubblicare sul «Corriere della sera»
delle brevi prose di carattere lirico, che chiama “faville” che riunirà poi in due
tomi separati, Il venturiero senza ventura e Il compagno dagli occhi senza cigli,
sotto il titolo unico Le faville del maglio, il cui titolo è una metafora per la
creazione nell’“officina” poetica.
Allo stesso genere di scrittura appartengono altre opere in prosa, tra queste, il
lungo racconto intitolato La Leda senza cigno (1916): la protagonista è una
figura femminile bella e misteriosa che vive una tragica esistenza segnata dalla
rovina economica e da un uomo che la ricatta fino a costringerla al suicidio.
Un altro scritto in prosa è Notturno, pubblicato nel 1921, in seguito al periodo di
immobilità con gli occhi bendati prescrittogli postumo all’incidente in aereo
(gennaio 1916), che gli ha riportato un grave trauma all’occhio destro;
D’Annunzio qui riporta una serie di pensieri, ricordi, descrizioni, visioni su
infinite strisce di carta (“cartigli”). In questa raccolta a predominare è il tema
funebre con la riflessione intorno alla morte di amici in guerra, ma anche la
descrizione delle esperienze sensoriali che sostituiscono la vista e la memoria.
Lo stile è frammentario, ridotto all’essenziale, paratattico e articolato in frasi
concise.
D’Annunzio sin dagli ultimi anni dell’Ottocento si dedica anche ad una
produzione destinata al teatronella quale confluiscono messaggi superomistici
e passioni logoranti. Con l’intento di realizzare un teatro in versi porta sulla
scena La città morta (1898), La gloria (1899), Francesca da Rimini (1901), La
nave (1908), La figlia di Iorio (1904). Quest’ultima, ambientata nel selvaggio
Abruzzo primitivo in cui predomina uno spazio superstizioso, vede come
protagonista Mila di Codra, considerata da tutti una strega e destinata a morire
sul rogo poiché lei stessa si autoaccusa.
3.IL PIACERE
Il piacere, pubblicato nel 1889, è il suo primo romanzo: insieme ai successivi
L’innocente (1892) e Trionfo della morte (1894) sarà poi riunito dallo scrittore in
un unico ciclo narrativo, I romanzi della rosa (il fiore rappresenta l’amore
sensuale). Il protagonista Andrea Sperelli è una figura autobiografica, il tipico
esteta decadente diviso fra due donne che rappresentano i due aspetti opposti,
Elena Muti (donna fatale) e Maria Ferres (donna angelicata), che disprezza la
società borghese contemporanea ed è “vuoto” dal punto di vista morale; al
contrario, è acculturato, pensa all’arte e alla bellezza e vuole fare della sua vita
un’opera d’arte (dandy). La sua esistenza di esteta fallito ne mette a nudo il
senso di nullità che pervade la sua stessa vita e la sua inadeguatezza di fronte
alla società moderna; D’Annunzio, dunque, riconosce che l’esteta nella realtà
dei fatti è destinato a fallire. La vicenda è ambientata in una Roma barocca
frivola e vuota, non si tratta né della Roma classica, né di quella
rinascimentale.
Infine, l’atteggiamento dell’autore nei confronti del protagonista è ambivalente:
talvolta lo giudica per la sua eccessiva lussuria; talvolta lo ammira,
riconoscendosi in lui.
Il ritratto dell’esteta (LIBRO I, CAPITOLO II)
Rimasto orfano da poco, ricchissimo a soli ventun anni, Andrea Sperelli ha
posto dal 1884 la sua residenza a Roma, la città che merita la sua speciale
predilezione (. 35). Vive in uno splendido palazzo e coltiva i suoi gusti signorili
ed esclusivi, tra cui l'amore passionale. II passo delinea il ritratto dell'esteta:
rievoca la sua formazione intellettuale, letteraria e artistica, e
contemporaneamente mette a fuoco le sue aspirazioni superiori, che lo
distinguono dagli altri uomini. Due caratteri fondamentali contraddistinguono il
giovane personaggio:
• da una parte, la forte sensibilità estetica: Andrea è tutto impregnato di arte (r.
5);
• dall'altra, la sua scelta di vivere secondo gli istinti: dotato di grande forza
sensitiva, egli è prodigo di sé (r. 14), disposto, com'era stato il padre, alla vita
voluttuaria (. 12), all'avidità del piacere (r. 10).
- Il narratore precisa che Andrea non è nato così, cioè esteta e «sensitivo»: è,
invece, il prodotto di un apposito programma educativo, di un'educazione
estetica. Fu infatti suo padre, un gentiluomo aristocratico cresciuto in mezzo
agli estremi splendori della corte borbonica (r. 11) a insegnare al figlio il gusto
delle cose d'arte, il culto passionato della bellezza.
Lo scopo è quello proprio della classe nobiliare: distinguersi dalla rozzezza del
popolo, incapace di bellezza. Sempre il padre ha educato Andrea al sofisma (r.
27), ovvero a non accettare nessuna verità come assoluta, a voler criticare
tutto alla luce della ragione, come facevano gli antichi sofisti. Tale distacco
dalla morale corrente è, oltre all'accesa sensibilità estetica, l'altro principio
basilare dell'estetismo.
• Una simile educazione, dice il narratore, ha prodotto danni gravi nel carattere
di Andrea. In un altro punto di questo capitolo, lo scrittore definisce «incauto
educatore, quel padre che aveva finito per deprimere, nel figlio, la forza
morale, fino a creare in lui una potenza volitiva [...] debolissima (r.25). In realtà,
D'Annunzio aderisce al modello di uomo delineato in Andrea Sperelli: si
compiace del fatto che l'espandersi della forza sensitiva (cioè istinti, capacità
percettive, sensazioni) finisca per annullare, in Andrea, la forza morale.
Tutto il brano, e tutto il romanzo, non fanno che amplificare le sensazioni, le
impressioni, i gusti di chi nella vita tiene fede solo al principio del culto della
bellezza.
4.LE VERGINE DELLE ROCCE
Il romanzo Le vergine delle rocce viene pubblicato nel 1896, il cui titolo
richiama il quadro Vergine delle rocce di Leonardo da Vinci conservato al
Louvre. L’opera è narrata dal protagonista, Claudio Cantelmo, nobile abruzzese
ed esteta che disprezza la realtà borghese e il liberalismo politico e sogna la
nascita di u+n uomo potente, da lui generato, che guidi l’Italia verso destini
imperiali. Da Roma si trasferisce presso la sua terra d’origine in Abruzzo per
unirsi ad una donna: fa visita ad una famiglia siciliana aristocratica, restando a
lungo indeciso su chi scegliere fra le tre sorelle vergini (è un esteta perché le
sceglierebbe tutte e tre), ciascuna delle quali presenta caratteristiche che egli
cerca. Alla fine sceglie quella più adatta al suo scopo; ma lei si rifiuta perché
costretta a prendersi cura del padre (fallimento del superuomo). Nel momento
in cui il poeta teorizza il ruolo del nuovo intellettuale, ne registra subito
l’impossibilità di agire sulla realtà. Nel suo manifesto ideologico, il protagonista-
poeta non propone un programma che prenda spunto dal passato; quello del
superuomo sarà un messaggio concreto rivolto ai poeti e agli intellettuali,
attribuendo, dunque, una funzione pratica e politica alla letteratura.
IL PROGRAMMA DEL SUPERUOMO (LIBRO I, PASSIM)
Cantelmo sa toccare le corde giuste sia per convincere gli intellettuali, che
hanno perduto il loro tradizionale prestigio sociale, sia per sollecitare
l'aristocrazia, che si sta invilendo
nella nostalgia di un passato glorioso.
Il suo discorso si sviluppa in tre sequenze:
• la proclamazione dell'ideologia politica del superuomo, impregnata di
estetismo e senso della superiorità dei pochi sui «Molti», e la proclamazione del
suo compito sociale: affermare il primato della bellezza, intesa in senso lato;
• l'appello ai poeti (r. 17), invitati da Cantelmo a difendere la Bellezza (rr. 26-
27), a non contaminare la poesia con argomenti bassi e a divenire coscienti
della propria superiorità intellettuale;
• l'appello ai patrizii ( 32), infine, esortati a rivendicare la propria naturale
superiorità di stirpe, che non può mescolarsi con l'esistenza comune e volgare:
per esempio non dovranno accettare il sistema delle votazioni, o si ritroveranno
governati dai loro sarti, cappellai, calzolai ecc. (rr. 41-42).
• Il brano costituisce una violenta requisitoria (atto d'accu-sa) e, allo stesso
tempo, un appello (invito all'azione) e un proclama ideologico-politico.
1. Atto di accusa: lo sdegno verso lo spettacolo indecoroso della politica
contemporanea (uno spettacolo miserabile di bassezza e di disonore, r. 13).
2. Appello: il superuomo non sta inerte a guardare che cosa accade; prende
l'iniziativa per modificare la realtà. Arringa dunque la folla utilizzando il fascino
della parola e sollecitando all'azione, mescolando forza e astuzia secondo
necessità: benché infatti si rivolga ai poeti e ai patrizi, è evidente che di fatto
sta cercando di persuadere la folla a seguirlo.
3. Proclama politico: l'ammirazione per le forme di vita e di potere
aristocratiche e superiori (il re, il papa, i nobili) è mista a tristezza, perché esse
appaiono ormai «rovinate» in nome del principio di uguaglianza. Per questo il
superuomo invita i nobili ad agire, subito, per affermare una visione
aristocratica del mondo e del potere.
• Per quanto riguarda lo stile, il testo possiede una natura «gridata»,
intrinsecamente violenta. Il proclama di Cantelmo costituisce un esempio
concreto dell'oratoria superomisti-
ca: è un lungo monologo, ricco di immagini preziose e di enfasi retorica che, in
realtà, nascondono una sostanziale povertà di idee. Del resto il superuomo non
ha bisogno di argomentare o dimostrare nulla; la sua «missione» sta tutta nel
l'affermare, nel sentenziare, nel dare ordini. Il suo linguag gio è aggressivo ed
eccede in sentenze per impressionare I destinatari. Per D'Annunzio parola e
cultura sono strumenti di potere, utili a mutare la storia, prima del pensiero;
finalizzati a dominare, più che a liberare l'umanità.
5.LAUDI
Il ciclo delle Laudi è un progetto poetico avviato nel 1899 che avrebbe dovuto
comprendere originariamente sette libri, tuttavia, gli ultimi due non furono mai
composti e si fermò ai primi cinque a cui diede il nome dalle stelle delle Pleiadi:
Maia, Elettra, Alcyone, Merope, Asterope (i primi quattro libri furono pubblicati
da D’Annunzio, l’ultimo, in