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La tutela dei monumenti di Roma
Iistituzione:” monumenti della grandezza di Roma saranno custoditi e manutenuti a spesedel nostro tesoro”.Il 21 giugno la Consulta istituì una Commissione preposta alla tutela e al restauro deimonumenti antichi e moderni di Roma.Durante il governo francese furono emanati decreti che regolamentavano gli scavi e chevietavano le esportazioni di oggetti d’arte e, al tempo stesso, furono affidati a GiuseppeValadier e a Giuseppe Camporesi i progetti di architettura, i controlli e le misure dei lavorieffettuati in precedenza.Tra i lavori che Valadier doveva vi erano quelli che riguardavano le Mura di Roma, la stradache vi correva intorno e il Palazzo di San Lorenzo.Tra il 1809 e il 1810 numerose opere di manutenzione e di restauro di edifici e di ruderivengono realizzate dal Dipartimento di Antichità e Belle Arti in Roma.Per le riparazioni da farsi ai ruderi di Roma fu istituita una commissione che dovevaQuest’ultima iniziò col sistemare la zona
di ponte Milvio e affidò la sorveglianza dei lavori a Valadier e all'architetto Raffaele Stern. Subito dopo, nel 1810, si registrò un notevole incremento del programma pubblico; l'amministrazione francese per far fronte ai gravi problemi di disoccupazione e di fame che affliggevano la popolazione, promosse quei lavori di abbellimento e di sgombero che avevano lo scopo di trasformare alcune parti degradate della città e di dare occupazione a molti operai. Il 9 luglio, la Consulta straordinaria sostituì la Commissione istituita il 21 giugno con la Commissione degli edifici civili. A ricoprire la carica di presidente fu chiamato il barone De Tournon, che programmò il restauro di tutti i monumenti sacri e civili di Roma, iniziando dalla sistemazione del Foro e del Colosseo. Di grande interesse è la proposta di un piano generale per gli abbellimenti di Roma fatta dallo stesso De Tournon il 24 ottobre 1810 in risposta alla.Richiesta avanzata precedentemente dal barone De Gerardo. Il primo progetto consiste nel rendere navigabile il Tevere all'interno della città; il secondo è relativo alla costruzione di un ponte per congiungere il quartiere di Ripa Grande con quello della Bocca della Verità; il terzo doveva prevedere la costruzione di un lungofiume che si sarebbe congiunto a quello già esistente sotto l'Aventino.
Il vasto programma proposto dal De Tournon riguarda anche i progetti relativi al restauro dei monumenti antichi il cui primo intervento interessa la sistemazione del Foro romano. Il prefetto di Roma propone di trasformare il Campo Vaccino in un parco archeologico per ridare dignità all'antico Foro. Suggerisce, inoltre, di spostare altrove il mercato del pesce che si svolge ai piedi del monumento.
Altri progetti per l'abbellimento della città di Roma riguardano: le strade, il trasferimento del mercato pubblico, la sistemazione di due mattatoi.
La realizzazione di un mercato per la vendita del grano a Campo dei Fiori e la costruzione di un teatro degno di Roma. Fanno parte del piano di De Tournon anche le passeggiate pubbliche: vennero elaborati i progetti delle passeggiate che si proponevano la valorizzazione dei resti archeologici, ma soprattutto la creazione di percorsi ricchi di scorci scenografici.
Il commissario Fea, per le perizie di spesa, si rivolge prevalentemente a Valadier, che valuta il costo delle operazioni da farsi: dallo scavo e trasporto a rifiuto, all'apposizione di qualche sostegno.
Le perizie del Valadier riguardano anche opere di manutenzione, come quelle da farsi nel cosiddetto Arco della Ciambella. Poiché dal monumento ogni tanto cadono dei pezzi di materiale, a causa delle radici dell'erba che è cresciuta sui ruderi, l'architetto suggerisce che la miglior cosa da farsi sia quella di rimuovere le pietre già smosse e di pulire tutta la superficie in modo da permettere alle
acque pluviali di non stagnarsi e, di conseguenza, di impedire all' erba di crescere. Particolare attenzione merita, infine, una lunga relazione inviata da De Tournon al barone De Gerardo nel 1820, relativa alla conservazione delle chiese e degli oggetti mobili in esse contenuti. Il prefetto De Tournon teme che l' abbandono di molti edifici sacri possa determinarne la distruzione e quindi sollecita l' amministrazione a preoccuparsi della loro conservazione. Per cominciare divide le chiese in quattro classi: chiese antiche, che meritano di essere conservate come monumenti storici; chiese moderne, che sono per la bellezza della costruzione e la ricchezza degli ornamenti; chiese che contengono affreschi o monumenti inamovibili; chiese che non hanno alcun pregio particolare né per l' arte, né per l' antichità. Ritiene inutile citare le chiese più preziose come San Pietro, Santa Maria Maggiore e San Giovanni in Laterano pe la cui conservazione sonoNecessari mezzi considerevoli. Concetto importante è quello di non spogliare le chiese degli ornamenti che le rendono degne di ammirazione; questo perché nel momento in cui un quadro viene tolto dal luogo per il quale era stato realizzato, perde parte della sua bellezza. De Tournon, dopo aver sottolineato l'importanza e l'interesse che le chiese di Roma rivestono per l'intera Europa, sollecita l'intervento dell'amministrazione dichiarando che le chiese di Roma devono essere conservate e mantenute con fondi fissi.
Gli anni di transizione e le prime prescrizioni in materia di tutela. Dal maggio del 1809 al gennaio del 1814 Roma è sotto il dominio francese. Con l'insediamento del nuovo governo viene istituita subito la Consulta straordinaria per gli Stati romani che ha come responsabile degli Interni il barone De Gerardo. Questi svolgerà un importante lavoro soprattutto nell'organizzazione delle trasformazioni della città antica.
Il ricco incartamento conservato negli archivi nazionali di Parigi consente di fare alcune puntualizzazioni circa lo stato dei monumenti di Roma antica e di conoscere i diversi responsabili degli organi di tutela. Per poter affrontare i problemi di conservazione del patrimonio archeologico dell'ex pontificio, i francesi ritengono che sia innanzitutto utile conoscerne la consistenza; a tale scopo inviano a ciascun Comune un questionario in cui si chiede di indicare la presenza di tale patrimonio, il suo stato di conservazione, il suo utilizzo e la sua collocazione, se in sito pubblico o privato. Solo sulla base di una precisa conoscenza pensano di poter fare nuovi programmi e di elaborare leggi e regolamenti atti a salvaguardare il patrimonio dello Stato. Il 1809 è dunque un anno di transizioni per l'Amministrazione delle Antichità e Belle Arti: è dell'agosto dello stesso anno, infatti una lunga relazione dell'avvocato Fea, relativa alle sue mansioni.In cui sono riassunti i ruoli dei diversi addetti al patrimonio delle Antichità e Belle Arti di Roma, i lavori che si vanno compiendo, i regolamenti e le spese.
Circa i regolamenti vigenti nella città di Roma, Fea fa riferimento al chirografo pontificio del 1802 e alle altre leggi e sottolinea l'importanza di vietare l'esportazione di sculture antiche.
La tassa da pagare se si autorizza l'esportazione di marmi antichi lavorati è pari al 18%. È già presente nel regolamento una nota di prelazione da parte del Governo sui beni per i quali si richiede il permesso per l'esportazione.
Criteri e metodi di conservazione e restauro sotto il governo francese. Alcuni mesi dopo il loro insediamento a Roma, i francesi cominciarono ad indicare i nuovi criteri di intervento e ad attuare una politica di tutela che tende a dettare norme di carattere generale alle quali si devono attenere i progetti degli interventi.
Particolare interesse il carteggio del 1813 tra Gisors, Ispettore degli edifici civili e Martial Daru, intendente della Corona. Giunto a Roma nel 1813, Gisors svolge alcune considerazioni sui criteri d'intervento che venivano adottati. La sua attenzione è rivolta alle demolizioni e agli scavi che si andavano compiendo per mettere in luce i monumenti e per realizzare le passeggiate nel verde. Farilevare al barone Daru che le istruzioni relative agli scavi non fanno alcun riferimento al restauro ed al consolidamento dei monumenti, e intende suggerire il sistema da adottare in quegli edifici antichi che in qualche parte minacciano rovina, come il Colosseo o l'Arco di Tito. Ricorda il Colosseo, dove per prevenire la caduta di una parte del portico esterno era stato fatto costruire con notevoli spese un immenso sperone, valido come sostegno ma poco attraente nell'aspetto. La preoccupazione che Gisors manifesta è che, seguendo lo stesso esempio, potrebbero essere
realizzate altre costruzioni in contrasto con l'esistente. All'Arco di Tito, descrive come erano state addossate ai lati alcune costruzioni di dubbio gusto e poco efficaci: ci si era limitati a consolidare delle rovine senza fare attenzione a ciò che i posteri avrebbero trovato. Per Gisors un intervento corretto di restauro architettonico era stato effettuato sul Pantheon dove si era interamente rifatto l'angolo sinistro della trabeazione e del timpano non utilizzando il marmo. Senza quell'intervento, uno dei più importanti edifici dell'antichità in rovina come era accaduto per il Colosseo e l'Arco di Tito. Secondo sarebbe stato ridotto lui l'arco dovrebbe essere, in primo luogo, puntellato e centinato in tutte le sue parti in modo da poter smontare e rimontare nella loro posizione originale, dopo aver ricostruito sia in pietra, sia in mattoni le masse delle parti dei piedritti di cui l'arco era privo. Quindi, leScelte seguite per il restauro dell'Arco, attribuito a Valadier e successivamente a Stern, si rifecero alle indicazioni di Gisors, indicazioni che erano state fornite mosso dalla sua preoccupazione per il modo in cui si interveniva sui monumenti archeologici romani. La protesta fatta metteva anche in evidenza l'estrema negligenza con la quale venivano applicate alcune parti del decreto relativo agli abbellimenti di Roma. Infatti, le istruzioni indicavano che bisognava esaminare con cura sia i sistemi di demolizione sia quelli di scavo, non soltanto da un punto di vista statico, ma anche da quello della conservazione dei monumenti, della sistemazione dei terreni e del materiale di risulta.
In seguito a tali proteste il barone Daru scrive alle autorità locali dei diversi Comuni affinché gli facciano pervenire tutti i progetti dei lavori relativi ai monumenti antichi e comunica all'Accademia di San Luca le indicazioni che questi proponeva agli artisti per il restauro dei monumenti.
l'Interno del Regno d'Italia, Luigi Vaccari, emise un decreto che istituiva il Catasto Napoleonico. Questo catasto era un sistema di registrazione delle proprietà immobiliari, che aveva lo scopo di creare una base di dati completa e dettagliata sulle proprietà terriere e immobiliari presenti nel Regno d'Italia. Il Catasto Napoleonico prevedeva la suddivisione del territorio in sezioni, distretti e comuni, e la registrazione di tutte le proprietà, sia rurali che urbane. Ogni proprietà veniva descritta in dettaglio, con indicazione delle dimensioni, della destinazione d'uso e del valore. Inoltre, venivano registrati anche i proprietari, con indicazione del loro stato civile, della professione e del reddito. Questo sistema di registrazione delle proprietà era innovativo per l'epoca e aveva lo scopo di garantire una maggiore trasparenza e equità nella tassazione. Infatti, il Catasto Napoleonico prevedeva anche la determinazione di una rendita catastale per ogni proprietà, che serviva come base per il calcolo delle imposte. Il Catasto Napoleonico fu un'importante riforma amministrativa e fiscale, che contribuì a modernizzare il Regno d'Italia e a creare una base di dati completa sulle proprietà immobiliari. Questo catasto rimase in vigore anche dopo la caduta di Napoleone e l'instaurazione del Regno di Sardegna, e fu la base per la successiva riforma catastale del 1865.