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RONALD DWORKIN
Non è esagerato affermare che il dibattito tra H.L.A. Hart e Ronald Dworkin (1931-2013) sia ancora al centro della discussione giusfilosofica contemporanea. Se Hart può essere qualificato come un tipico esponente del giuspositivismo, le critiche di Dworkin hanno contribuito in modo decisivo, non solo a evidenziare alcuni difetti o incongruenze di tale approccio generale, ma anche a stimolare una approfondita revisione critica dei suoi presupposti e delle sue implicazioni. Tra le diverse obiezioni che Dworkin ha mosso alla teoria di Hart qui ne considereremo solo una: quella relativa ai principi. Secondo Dworkin, una grave lacuna della teoria del diritto di Hart, consiste nell'ignorare che il diritto è formato non solo da regole, ma anche da principi, i quali svolgono un ruolo fondamentale nel ragionamento giuridico e nelle decisioni giudiziali. Riggs Palmer Consideriamo il caso vs. (deciso dalla Corte d'Appello di New York nel 1889). In sintesi,Elmer E. Palmer, sapendo di essere stato istituito unico erede dal nonno, l'aveva ucciso, avvelenandolo, ed era stato condannato per il suo crimine, ma nessuna legge prevedeva l'omicidio del testatore quale condizione di invalidità del testamento. La Corte decise che il testamento non poteva comunque considerarsi valido: il giudice Robert Earl, redattore del parere di maggioranza, sostenne, infatti, che i principi del diritto universale sarebbero stati violati se si fosse permesso all'omicida di trarre profitto dal suo crimine. (principio implicito) Per Dworkin in questo caso i giudici, pur non avendo applicato regole di diritto esistenti, non hanno preso una decisione arbitraria, ma hanno applicato un principio giuridico esistente: un principio che esisteva già, anche se non era mai stato formulato e, cosa più importante, che esisteva già in virtù del suo contenuto. Tra regole e principi secondo Dworkin esiste una differenza qualitativa.riguarda i principi. I principi forniscono una guida per la decisione, ma non determinano un'unica soluzione. Possono essere bilanciati con altri principi e rimanere validi. Secondo Dworkin, la validità dei principi non dipende da criteri formali o procedurali, ma dal loro contenuto. Le regole, invece, sono vincolanti e devono essere seguite o non seguite. Ad esempio, la regola "Vietato l'ingresso ai veicoli nel parco" impone l'obbligo di non entrare nel parco con il veicolo. Non c'è spazio per interpretazioni o bilanciamenti. In conclusione, le regole sono definite in modo netto e determinano un'unica soluzione, mentre i principi forniscono una guida flessibile per la decisione.riguarda i principi: principi come quello di tutela delle formazioni sociali ove si svolge la personalità dell'individuo (art. 2 Cost.) o il principio (inespresso) della laicità dello Stato o ancora quello di tutela delle minoranze linguistiche (art. 6 Cost.). È difficile immaginare circostanze o controversie in cui tali principi impongano uno (e un unico) corso d'azione, una (e una sola) decisione: semmai tali principi possono comparire tra gli argomenti addotti a favore di una soluzione o di una scelta. Insomma, i principi orientano, ma non impongono una condotta. Tertium non datur Mentre le regole sono valide o invalide e, i principi hanno una dimensione di peso: possono essere superati nel bilanciamento con altri principi e, ciononostante, rimanere intatti e, successivamente, applicabili ad altri casi. Quando due principi entrano in conflitto, i giudici chiamati a decidere il caso in questione istituiscono tra loro una gerarchia assiologica, attuano un'operazione.detta 'bilanciamento' o 'ponderazione', a seguito della quale decidono di applicare uno dei due principi (quello che ritengono più importante) e accantonare l'altro, il quale però resta potenzialmente applicabile ad altri casi. Il bilanciamento vale solo per un singolo caso concreto e non è universalizzabile.
Le regole appartengono all'ordinamento se, e solo se, sono state prodotte in modo conforme a determinate metanorme, i principi, invece, sono validi in virtù del loro contenuto.
Dworkin sostiene, infatti, che i principi sfuggano alla regola di riconoscimento hartiana in quanto questa prevede esclusivamente dei criteri formali: Hart, come tutta la teoria giuspositivista, fa dipendere la validità delle norme dal loro pedigree, dal fatto che siano state emanate rispettando certi iter procedurali, mentre l'esistenza dei principi dipende dal loro contenuto, dal loro valore morale, dal fatto che esprimano
Un'appropriata concezione della giustizia. Per Dworkin, la soluzione corretta è quella che si adatta meglio alla, che è più congruente con, una concezione completa e coerente della moralità politica (che si presume) espressa dalle fonti valide del diritto di quel certo paese o, addirittura, con la migliore teoria morale che spiega la storia giuridica di quel paese, partendo dall'assunto che essa sia l'espressione di un'unica concezione della moralità politica.
Secondo Hart anche le regole possono entrare in conflitto con i principi e, in tal caso, possono talvolta vincere e talvolta perdere, senza per questo divenire invalide: ciò mostra, per Hart, che le regole non hanno affatto un carattere tutto-o-niente e che la loro differenza dai principi è una questione di grado.
Hart sostiene che nelle posizioni di Dworkin ricorra un duplice errore: credere che i principi pedigree giuridici non possano essere identificati in base al
loro e credere che una norma di riconoscimento possa offrire solo criteri basati sul pedigree. Hart ha però concesso sia che, a volte, i criteri di validità possano fare riferimento al contenuto dei principi e non solo al pedigree, sia che la norma di riconoscimento possa incorporare tra i criteri di validità la conformità a principi morali e valori sostanziali. Quanto alla questione dell'unica risposta corretta, Hart ha evidenziato come le teorie del diritto, ossia le teorie che configurano il diritto come un sistema congruente di principi e regole, sottovalutino il fatto, ovvio, che un ordinamento giuridico possa contenere principi espressi confliggenti o che la scelta di una o più regole possa essere spiegata da principi impliciti alternativi ugualmente plausibili. Insomma, a seconda di quali principi si scelgono, a seconda del modo in cui si ricostruisce la teoria morale o la concezione della moralità pubblica espressa dalle fonti di- Caratterizzazione del concetto di principio giuridico e distinzione dalle regole.
I principi standard sono caratterizzati come norme (o valutazioni) a fattispecie aperta e/o defettibile e/o (più) generiche e/o (in qualche senso) fondamentali e/o più generali e più astratte e/o (più) vaghe e/o indeterminate e/o come ragioni di secondo grado.
Una norma è a fattispecie aperta quando non enumera tassativamente i fatti in presenza dei quali si deve produrre la conseguenza giuridica da essa prevista. Per contro, una norma è a fattispecie chiusa allorché enumera tassativamente i fatti in presenza dei quali si deve produrre la conseguenza giuridica da essa prevista.
Una norma si dice 'defettibile' se soffre di eccezioni implicite, non statuite espressamente da essa, né da altre norme dell'ordinamento. La
defettibilità è, in un certo senso, l’altrafaccia della fattispecie aperta: una norma è a fattispecie aperta quando non enumeratassativamente i fatti in presenza dei quali si deve produrre la conseguenza giuridica da essaprevista, una norma è defettibile quando non enumera tassativamente le circostanze inpresenza delle quali non deve prodursi la conseguenza giuridica da essa prevista. Così unanorma è a fattispecie aperta se stabilisce che nelle ipotesi A, B e C deve prodursi laconseguenza X, ma si ritiene che X debba prodursi anche nell’ipotesi D, nonespressamente contemplata. Una norma è defettibile se stabilisce che nelle ipotesi A, B e Cdeve prodursi la conseguenza X, ma si ritiene che X non debba prodursi nelle ipotesi A, Be C se ricorre anche la circostanza D non espressamente contemplata dalla norma inquestione né da altre norme dell’ordinamento.indifferentemente,Un principio è generico
«quando si riferisce cioè senza distinguere, auna pluralità di situazioni diverse»: più una proposizione è generica e meno è informativa epiù è probabile che sia vera; più una norma è generica e meno è selettiva e più sono le azioni che contano come suo adempimento.
I principi sono, poi, considerati fondamentali in due sensi: (i) perché danno giustificazione, fondamento, ad altre norme e (ii) perché non richiedono a loro volta fondamento.
Una norma può dirsi ‘vaga’ quando contiene un termine con un significato vago.
Una norma è indeterminata se le sue conseguenze normative non sono predeterminate e/o non è indicato in che modo debba essere attuata.
I principi sono considerati ragioni di secondo grado nel senso che rappresentano delle ragioni per scegliere altre ragioni, ossia i principi funzionano come il fondamento di ragionamenti che conducono a scegliere
norme (regole) implicite. È possibile distinguere tra quanti adottano una nozione forte di principio e ritengono che la distinzione tra regole e principi sia netta, che i due concetti siano mutuamente esclusivi, e quanti adottano, invece, una nozione debole di principio e ritengono che la distinzione in oggetto sia una questione di grado.
La defettibilità, inoltre, non può essere considerata come una caratteristica esclusiva dei principi in quanto anche disposizioni pacificamente ritenute non di principio possono esprimere norme defettibili: si pensi all'art. 1428 c.c. ("L'errore è causa di annullamento del contratto quando è essenziale ed è riconoscibile dall'altro contraente") che, a giudizio della giurisprudenza, esprime proprio una norma defettibile, in quanto la riconoscibilità non sarebbe richiesta qualora l'errore sia comune o bilaterale. Lo stesso vale per la vaghezza: disposizioni come quelle di cui agli artt.
i età superiore a 180 giorni, è punita con la reclusione da 3 a 15 anni. Se il fatto è commesso per negligenza, la pena è della reclusione da 1 a 5 anni. Se il fatto è commesso per colpa, la pena è della reclusione fino a 1 anno o dell'ammenda fino a 1.032 euro.