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CARATTERISTICHE STRUTTURALI DELL’INDUSTRIA ALIMENTARE
Con caratteristiche strutturali significa che si va a vedere com’è fatta l’industria alimentare dal punto di
vista delle imprese, quindi quante imprese ci sono, che dimensioni hanno e quali sono le loro strategie per
rimanere sul mercato.
A livello europeo
È interessante notare che nell’industria alimentare europea, le piccole/medie imprese hanno un valore
estremamente rilevante. Per definire se un’azienda è grande o piccola, si parte dalla quantità prodotta, che
poi può essere trasformata in una variabile economica che è il fatturato. Un’altra variabile importante è il
numero di addetti, ma questi sono fortemente legati alla quantità prodotta: se un’azienda ha solo 2 addetti
vuol dire che produce di meno di quella che ne ha 5000.
Se si deve fare una classificazione in piccole-medie-grandi, la cosa migliore sarebbe usare il fatturato che
però cambia molto nel corso degli anni, invece gli addetti sono molto più stabili. Quindi la commissione
europea quando ha deciso di fare questa classificazione delle imprese ha preso in considerazione il numero
di addetti. Micro-impresa Piccola impresa Piccola impresa Media impresa Total SMEs Values
< 10 10-19 20-49 50-250
(% in total) (% in total) (% in total) (% in total) (% in total) (billion eureos
or number)
Turnover 8.2 5.2 9.7 28.5 51.6 524
(fatturato)
Value added 8.9 6.1 9.2 24.6 48.8 99
Number 16.9 9.6 11.7 26 64.3 2.9
employees
Number 78.8 10.8 5.8 3.8 99.1 283000
companies 20
Marianna Sala
Per l’unione europea le microimprese sono quelle che hanno meno di 10 addetti, le piccole sono quelle che
hanno da 10 a 50 addetti, le medie da 50 a 250 e le grandi sopra 250. In termini di fatturato, all’interno
dell’Unione Europea c’è l’8.2% del fatturato che appartiene alle microimprese, il 14.9% (5.2 + 9.7) sono le
piccole imprese, il 28.5% è quello delle medie imprese. Il 51% del fatturato è dovuto alle piccole-medie
imprese. La metà del fatturato dell’industria alimentare è prodotto dalle piccole-medio imprese, mentre le
grandi imprese producono l’altra metà.
Considerando gli occupati si trova il 64% sempre nelle piccole-medio imprese. Questa differenza è data sia
perché le grandi imprese hanno più automazione, che perché il numero di piccole imprese è molto alto
infatti il 78.8% sono le microimprese artigianali. Queste piccole-medio imprese rappresentano il 64%
dell’occupazione e rappresentano il 51.6% del fatturato. Quindi volendo leggere i dati in un altro modo,
l’1% delle imprese che sono grandi, producono il 48,4% del fatturato. Questi dati dicono che nell’industria
alimentare c’è un modello strutturale che riguarda la produzione di tipo bipolare: da un lato ci sono le
piccole imprese molto numerose e con tanti impiegati che fanno il 50% del fatturato e dall’altra parte ci
sono le grandi imprese che sono poche ma che coprono il restante 50% del fatturato.
Imprese e addetti per classi dimensionali a livello Italiano
Industria alimentare Industria bevande
Classi Imprese % Addetti % Imprese % Addetti %
< 10 48.064 87 148.254 38 2.277 79 5.813 17
10-49 6.097 11 109.820 28 502 17 9.842 29
50-249 686 1 67.622 18 82 3 7.964 23
> 250 84 0 60.490 16 13 0 10.507 31
Totale 54.931 100 386.186 100 2.874 100 34.126 100
Quando sono necessari dati strutturali che riguardano numero di imprese e numero di addetti, si deve far
riferimento ai dati del censimento dell’industria, che in Italia si fa ogni 10 anni (2011-2021). I dati dell’ISTAT,
istituto nazionale centrale di statistica, separano l’industria alimentare da quella delle bevande. L’industria
alimentare che produce alimenti in senso stretto è composta da un totale di 54.931 imprese, mentre le
industrie delle bevande sono 2.874 quindi in totale si è intorno alle 58.000 imprese. Sono tante, ma vale il
discorso per la situazione europea, cioè la maggior parte sono microimprese. Considerando l’industria
alimentare, dalla tabella si vede la distribuzione per classe di addetti: l’87% sono le microimprese, l’11% le
piccole, l’1% le medie. Anche in Italia quindi, proprio come in Europa, il grosso delle imprese sono le micro
e le piccole. L’occupazione è per il 38% nelle microimprese, il 28% nelle piccole, il 18% nelle medie e il 16%
nelle grandi. Quindi in Italia, ancora più dei dati europei, c’è una valenza in termini occupazionali molto
forte delle micro e piccole imprese (66% dell’occupazione). Anche nell’industria delle bevande il grosso
delle imprese sono micro e piccole, ma in termini di addetti le micro imprese rappresentano il 17%, le
piccole rappresentano il 29%, le medie e le grandi nel complesso rappresentano il 54%. Questo vuol dire
che nell’industria delle bevande, le grandi imprese sono più importanti in termini occupazionali. Le grandi
imprese dell’industria delle bevande sono solo 13, ma rappresentano il 31% degli occupati.
Complessivamente, su un totale di circa 58.000 imprese, la fascia prevalente in termini numerici è quella
delle piccole-medie, ma anche in termini occupazionali. Poi nell’industria delle bevande le cose sono
diverse: le grandi imprese sono veramente grandi e hanno dimensioni occupazionali considerevoli.
Considerando la distribuzione delle imprese e degli addetti per diversi sottosettori, il 64% delle imprese
appartenenti all’industria alimentare sono imprese attive alla produzione di prodotti a forno e farinacee,
questo vuol dire che il grosso delle micro e piccole imprese sono quelle che operano nella panificazione e
pasticceria artigianale. Questi coprono anche il 45% dell’occupazione degli addetti.
MODELLO DEL BIPOLARISMO STRUTTURALE
Il modello del bipolarismo strutturale indica che le piccole imprese possono stare accanto alle
grandi imprese, avendo delle loro particolari strategie.
Nell’industria alimentare esiste un modello bipolare e secondo questo modello, le micro e piccole riescono
a stare sul mercato accanto alle grandi imprese, ma devono fare strategie completamente differenti. La
cosa interessate è che esiste questo equilibrio stabile, ma è necessario mettere in atto strategie differenti.
In particolare, le piccole imprese si caratterizzano da un basso livello di capitale e da un alto livello di
lavoro. In pasticceria artigianale ci sono poche attrezzature e il grosso del lavoro è manuale. L’attività delle
imprese artigianali è labour intensive, cioè è un’attività che richiede molto lavoro. 21
Marianna Sala
Al contrario, in un’azienda di pasticceria industriale si trovano un sacco di macchine perché c’è molta
automazione e meccanizzazione, gli operatori sono presenti solo per fare dei controlli. Quindi la situazione
è totalmente differente ed è una situazione in cui prevale il capitale: il processo è capital intensive. Quindi,
tra processi industriali e processi artigianali, ci sono davvero grosse differenze.
Le microimprese operano secondo un percorso che è labour intensive, viceversa le grandi imprese scelgono
un percorso capital intensive. Nelle grandi imprese un processo capital intensive permette di arrivare ad
una produttività elevata, quindi per ogni ora di lavoro i Kg di prodotto finale è molto più alto rispetto ad
una microimpresa. Al contrario i processi artigianali sono labour intensive, quindi sono anche più costosi
perché il lavoro nelle società industrializzate è più costoso rispetto al capitale. Nei paesi ricchi e quindi nelle
società industrializzate: se si va a produrre nei paesi poveri il lavoro costa poco. Nei paesi industrializzati il
lavoro è caro perché insieme al lavoro ci sono una serie di oneri sociali che vengono pagati dal datore di
lavoro come per esempio assicurazione, TFR, fondo per infortuni, pensione, imposte […]. Questi oneri
sociali gravano sul costo del lavoro e sono molto rilevanti, quindi il costo del lavoro è elevato. Viceversa se
invece ci si trova in un paese povero (Bangladesh) o anche in un paese in forte via di sviluppo (Cina) il lavoro
costa meno perché gli oneri sociali sono più bassi. Nei paesi industrializzati il capitale costa meno del lavoro
e quindi i processi industriali si basano sul grosso utilizzo di capitale e basso di lavoro: più riescono ad
essere automatizzate, meglio è.
Strategie delle micro e piccole imprese
Le piccole imprese riescono a sopravvivere sul mercato con delle strategie specifiche:
• Prodotti di elevato pregio.
Le piccole e microimprese (artigianali) sono quelle che fanno i prodotti considerate di più alto pregio.
Nel settore alimentare il pregio corrisponde con la piccola dimensione. È difficile trovare un prodotto di
altissimo pregio fatto da una grossa azienda, perché nella piccola impresa c’è più cura del dettaglio ma
anche perché avendo una quantità molto piccola devono vendere il prodotto ad un prezzo maggiore
quindi è un prodotto meno accessibile; invece le grandi imprese mirano vendere tanto per massimizzare
il profitto e per farlo vendono ad un prezzo contenuto (è un prodotto di largo consumo, che consumano
tutti più volte l’anno).
Le piccole imprese invece si possono permette di vendere piccole quantità ma devono essere prodotti
ad alto pregio, per essere vendute a prezzo elevato. Così si hanno profitti sufficienti che consentono di
rimanere sul mercato. Le grandi imprese vendendo ad un prezzo inferiore faranno un profitto unitario
basso, ma un profitto complessivo elevato. Al contrario la piccola impresa farà un profitto unitario alto
per ogni singolo prodotto, ma un profitto complessivo che non è paragonabile con quello della grande
azienda. Per esempio un panettone di pasticceria artigianale costa 30€/Kg; il panettone industriale
invece costa meno, 4€/Kg. Però il panettone artigianale è di alto pregio, vende poco e lo vende alle
persone che hanno la disponibilità a pagare il prezzo elevato. Invece il panettone industriale è venduto
in tutta Italia ad un prezzo ridotto, ma visto che la quantità è molto elevata, il profitto complessivo è
alto. Non in tutti i settori è così perché non in tutti c’è il settore artigianale, tipo nel settore
automobilistico (ora c’è una tendenza verso il miglioramento qualitativo complessivo). [Nel settore
tessile l’alto pregio è conosciuto in tutto il mondo, invece nel settore alimentare l’alto pregio è
conosciuto localmente].
• Mercati locali.
Quando c’è sviluppo economico e quando le grandi imprese si espandono, lasciano degli spazi
int