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IL DISTURBO DELLO SPETTRO AUTISTICO

Quando parliamo di autismo ci troviamo di fronte a un gruppo di disturbi di natura

neurobiologica più correttamente definiti Disturbi dello Spettro Autistico (ASD,

dall’inglese Autism Spectrum Disorders), i cui sintomi si manifestano precocemente

e permangono per tutto il corso della vita.

Pur nelle differenti manifestazioni cliniche con cui si presentano, le caratteristiche

tipiche degli ASD si possono riassumere in:

- Deficit nella comunicazione e nell’interazione sociale,

- Comportamenti e interessi ristretti e ripetitivi.

Attualmente la posizione scientifica condivisa a livello internazionale, ovvero

secondo il DSM-5, considera l’autismo una sindrome comportamentale associata a

un disturbo dello sviluppo del cervello e della mente con esordio nei primi tre anni

di vita. Il fatto che il disturbo venga considerato all’interno di uno “spettro” significa

che la distribuzione della frequenza di un dato comportamento problematico varia

nel tempo e nell’intensità della sua manifestazione; le funzioni comunicative e

relazionali, così come anche della sfera degli interessi e delle attività risultano

compromesse con gravità variabile da individuo a individuo.

Gli studi di neuropsicologia cognitiva dello sviluppo hanno fornito delle teorie

interpretative dei disturbi dello spettro autistico sulla base della triade di sintomi

comune ovvero l’aspetto sociale, il linguaggio e lo stile di pensiero e di

comportamento. Secondo queste teorie l’individuo autistico è incapace di

intraprendere una relazione sociale sia per difficoltà di interazione che per difficoltà

di interpretazione dei pensieri, delle emozioni e dei desideri dell’altro.

Tuttavia la sindrome è anche interpretata come una difficoltà più generale di

elaborazione non solo di stimoli sociali, ma anche degli quelli esterni veicolati

attraverso i vari canali sensoriali.

Normalmente le molteplici informazioni provenienti dall’ambiente circostante

vengono filtrate e sintetizzate dal nostro cervello, consentendoci di percepire la

realtà come un insieme coerente e quindi di adattarci ai cambiamenti dell’ambiente

in cui viviamo. Nei disturbi autistici, invece, queste abilità possono non essere

sviluppate e, in vario grado, ciò interferisce con la capacità di comprensione e

adattabilità al contesto esterno. Inoltre vi è una problematicità di organizzazione e

finalizzazione dei comportamenti nei confronti di specifici obiettivi (deficit delle

funzioni esecutive).

La ricerca neuropsicologica tenta di spiegare il peculiare funzionamento della

“mente autistica” attraverso lo studio delle competenze cognitive, sociali e

emozionali dei soggetti affetti, mentre altre linee di ricerca analizzano il

funzionamento del cervello, focalizzandosi sulle possibili basi neurobiologiche della

sindrome.

Sulla base di queste ricerche fino ad oggi è impossibile evidenziare alterazioni

morfologiche e biochimiche comuni ai diversi disturbi dello spettro, tuttavia

vengono proposte molte teorie patogenetiche che sembrano essere confermate in

alcuni sottogruppi di soggetti grazie a caratteristiche comuni, quali: anomalo

sviluppo di alcune strutture cerebrali e dei livelli di connessione tra le diverse aree,

disfunzioni dei neurotrasmettitori a livello del sistema nervoso centrale, anomalie

immunologiche e processi autoimmuni.

Ad oggi le cause dei disturbi dello spettro autistico e le sue modalità di trasmissione

sono ancora poco conosciute, ma è attualmente condiviso che alla base vi siano

fattori sia genetici che ambientali. In circa il 90% dei casi la diagnosi di ASD non è

riconducibile ad altre sindromi e la componente genetica si stima conti per circa il

20%: queste forme idiopatiche non presentano malformazioni e caratteristiche

dismorfiche, come invece accade in quelle sindromiche o secondarie a cause note,

che rappresentano il restante 10% dei casi. Queste ultime sono associate ad

alterazioni di un singolo gene, generalmente un regolatore dell’espressione di altri

geni implicati in vario modo nello sviluppo del sistema nervoso centrale e nella

plasticità neuronale: ne sono un esempio, le sindromi dell’X-fragile, di Timothy e di

Rett.

Complessivamente, l’origine genetica è identificabile ad oggi in circa il 25-35% dei

casi, grazie anche alle moderne tecnologie di sequenziamento del DNA. In una

piccola frazione di casi queste anomalie sono cromosomiche, interessano cioè

regioni intere dei cromosomi (delezioni, duplicazioni, inversioni, traslocazioni), fra le

più frequenti quelle del cromosoma 15. Nella maggior parte dei casi, però, si tratta

di mutazioni, non ereditate dai genitori, a carico di singoli geni che codificano per

proteine coinvolte in vario modo nello sviluppo e nel mantenimento delle reti

nervose, coinvolte in particolare nel funzionamento della sinapsi e nella capacità del

sistema nervoso di instaurare nuove connessioni tra cellule (plasticità nervosa).

Tuttavia nessuno dei geni finora identificati è di per sè capace di spiegare tutti i

sintomi di questa complessa patologia neuropsichiatrica. I soggetti dovrebbero

ereditare una particolare combinazione di geni “difettosi” per essere affetti da

autismo. Eppure la presenza di tale peculiare combinazione, sebbene possa essere

causa del disturbo, può non essere la condizione scatenante sufficiente: è possibile

che in alcuni casi dia origine al disturbo solo in seguito a fattori ambientali, quali ad

esempio l’esposizione ad agenti infettivi durante la vita prenatale, lo status

immunologico materno-fetale, l’esposizione a farmaci o agenti tossici anche

attraverso l’alimentazione durante la gravidanza. Il ruolo dei geni è perciò sempre di

più interpretato come un importante elemento rilevante che interagisce con altri

fattori, genericamente detti ambientali, nel determinare la comparsa della

sindrome. Ad esempio è oggetto di studio frequente l’andamento della gravidanza,

le infezioni contratte dalla madre ed i fattori legati alle condizioni del parto, come

anche il ruolo dell’esposizione ad agenti tossici durante lo sviluppo, come il mercurio

o altri inquinanti ambientali, nonché l’utilizzo di farmaci in gravidanza.

DIAGNOSI

L’autismo si manifesta entro i primi tre anni di vita e colpisce prevalentemente i

soggetti di sesso maschile, mentre nelle bambine la sintomatologia si presenta più

lieve e spesso porta a diagnosi tardiva.

Il disturbo, quindi, è caratterizzato da un insieme di condizioni che coinvolgono

inabilità gravi nell’interazione sociale, comunicazione, capacità immaginative e

comportamenti ripetitivi.

La diagnosi, generalmente, non viene formalizzata prima dei 3-4 anni di età (anche

se è possibile riconoscere i segnali di rischio per un disturbo della comunicazione e

dell’interazione sociale già a 18 mesi) e la sua definizione è considerata affidabile già

a 24 mesi, se condotta da personale esperto nel riconoscere i segnali precoci di una

disfunzione socio-comunicativa.

I bambini affetti dall’autismo hanno difficoltà ad interagire adeguatamente con gli

altri ed in particolare presentano una compromissione del comportamento non

verbale (come lo sguardo diretto, l’espressione mimica), un’incapacità di sviluppare

relazioni con i coetanei, una mancanza di ricerca spontanea della condivisione di

gioie ed interessi con altre persone.

Il bambino autistico solitamente evita il contatto visivo, ha una rigidità posturale

anomala quando si trova in braccio al genitore ed è spesso insofferente e apatico,

assumendo la tipica posizione definita a “sacco di farina”, inerme. Inoltre è possibile

evidenziare una mancanza di previsione delle azioni altrui, quindi ad esempio il

bambino che deve vestirsi non prende parte all’azione dell’indossare un indumento,

fa fatica a collaborare o ad avere iniziativa. Ha inoltre una scarsa modulazione

motiva: è infatti difficile da tranquillizzare quando piange, è molto irritabile oppure

non mostra affatto emozioni. Il bambino evita il contatto fisico, è indifferente alle

attenzioni dei genitori, ai suoni e alla voce umana oppure al contrario, risulta

particolarmente sensibile agli stimoli sonori e luminosi dell’ambiente che lo

circonda.

Queste alterazioni si traducono, quindi, in interessi e attività ristrette, ripetitive e

stereotipate, come battere e torcere le mani o il capo, e persistente attenzione per

parti di oggetti.

Sul piano delle competenze linguistiche questi bambini presentano un’alterazione

qualitativa della comunicazione, che si esprime in ritardo o totale mancanza del

linguaggio parlato, assenza di lallazione nei casi più gravi che si manifestano già

entro i 12 mesi di vita del piccolo, o addirittura può presentarsi una regressione del

linguaggio parlato, dissociato dalla perdita di altre abilità. Il linguaggio utilizzato è

stereotipato e ripetitivo o eccentrico.

Per la diagnosi di autismo tuttavia è necessario che le alterazioni nella sfera socio-

comunicativa e quella degli interessi e comportamenti, siano contestualmente

alterate e deficitarie.

Accanto a questi sintomi basilari, le persone affette da autismo possono presentare

in misura più o meno marcata anche disturbi sensoriali, disarmonie motorie e delle

capacità cognitive, scarsa autonomia personale e sociale, autolesionismo,

aggressività. In associazione possono anche insorgere disturbi alimentari, poiché il

bambino ha difficoltà ad adattarsi al momento dello svezzamento, diventando

estremamente selettivo nei confronti del cibo; oppure possono sopraggiungere

disturbi del ritmo sonno-veglia che portano il piccolo ad avere difficoltà nel

mantenere il sonno durante le ore notturne: questo può avere influenze negative

sullo sviluppo neurologico, in particolare della memoria.

Ad essere assente o fortemente compromesso nell’autismo è il patrimonio innato di

abilità con cui ogni essere umano, ovunque si trovi e al di là di qualsiasi differenza

etnica e culturale, riesce ad entrare in contatto con gli altri, ad intuirne bisogni, stati

d’animo, aspettative.

Purtroppo, spesso la diagnosi viene fatta intorno ai 6 anni, quando il bambino inizia

a frequentare la scuola e a manifestare le prime difficoltà. Invece, una diagnosi

precoce attorno ai 2 anni consentirebbe di poter attivare per tempo interventi

terapeutici. Il ruolo del pediatra di famiglia è essenziale per attivare il percorso

diagnostico, per individuare tempestivamente i sintomi e per indirizzare la famiglia

dallo specialista. Anche i genit

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A.A. 2023-2024
6 pagine
SSD Scienze mediche MED/39 Neuropsichiatria infantile

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher catfede94 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Neuropsichiatria infantile e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bari o del prof Matera Emilia.