PER LA DIAGNOSI:
Si può fare già a par.re dal secondo anno di vita;
• Viene fa6a sulla base del comportamento del bambino;
• 3
Si u.lizzano due principali classificazioni internazionali dei disturbi mentali: o
• Interna'onal Classifica'on of Diseases - ICD dell’OMS (2018) - Diagnos'c and Sta's'cal
Manual of Mental Disorders - DSM V (2013)
Si fa una valutazione qualita.va delle capacità sociocomunica.ve del sogge6o con
• un’a6enzione rivolta verso le compromissioni nelle capacità di intraprendere e
mantenere una reciproca interazione sociale e non nel verificarne l’assenza in toto.
PERCHÉ SI PARLA DI DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO (AL PLURALE)?
Per le differenze nella presentazione dei sintomi e la loro gravitàà Differenze individuali
• nella presentazione dei sintomi
Per dare una maggiore elas.cità al disturboà Al con.nuum fra popolazione clinica e
• quella generale
Perché esiste un’abbondante eterogeneità di sintomatologia che la sindrome comporta.
• QUINDI I disturbi dello spe6ro sono di natura cogni.vo-comportamentale che si
à
presentano nell’età dello sviluppo e per tale mo.vo sono inseri. fra i disturbi del
neurosviluppo. Sono ad eziologia mul.pla legata a fa6ori pre e perinatali, in una
predisposizione poligenica e nell’intervento di fa6ori ambientali in diverse fasi dello
sviluppo. Data la natura mul.fa6oriale ed eterogenea di questo insieme di disturbi, i
criteri diagnos.ci fa.cano ad inquadrarli ed a fornirne una definizione univoca;
nonostante ciò, si è assis.to nei manuali diagnos.ci ad un accorpamento di quelli che
erano precedentemente so6ogruppi di disturbi pervasivi dello sviluppo (es. sindrome di
Asperger) ado6ando un approccio dimensionale alla diagnosi. È stata riscontrata peraltro
una associazione non casuale di tre fa6ori problema.ci: interazione sociale, capacità
comunica.ve e insieme ristre6o e ripe..vo degli interessi personali dei soggeQ.
4 1.2 AUTISMO AD ALTO FUNZIONAMENTO
Non è una diagnosi ufficiale (non esiste una definizione univocamente condivisa);
• Si parla di alto funzionamento per descrivere una persona con sintomi rela.vamente lievi
• che però sono significa.vi al punto da essere inseri. nello spe6ro.
Per i soggeQ meno compromessi si prevede un livello di supporto lieve ma è anche per
• questo che tale definizione non va tanto bene: un sogge6o può avere bisogno di un
supporto minimo a casa, più significa.vo a scuola e di un sostegno intenso in una
situazione sociale nuova e non stru6urata.
L’u.lizzo della terminologia “alto/basso funzionamento” contribuisce, assieme ai con.nui
cambiamen. manualis.ci idei criteri di diagnosi, all’arbitrarietà della diagnosi stessa di
au.smo, mentre un approccio dimensionale richiederebbe che tali e.che6e non vengano
considerate come tali, ma all’interno di tu6o il con.nuum stesso di manifestazione della
sindrome. In ambito clinico è evidente la presenza di soggeQ che contemporaneamente
“appartengono” a taluni so6ogruppi clinici e si discostano da talaltri, so6olineando come
nessuna cara6eris.ca di per sé sarebbe sufficiente per classificare il profilo di funzionamento
individuale. 5
1.3 MODELLI INTERPRETATIVI E TEORIE DI RIFERIMENTO
TEORIA DELLA COERENZA CENTRALE DEBOLE (1994)à Secondo questa teoria i soggeQ
§ con au.smo non avrebbero capacità di coerenza centrale in quanto cara6erizzate da
un’elaborazione delle informazioni centrata sui de6agli. Cos’è la coerenza centrale? È un
processo automa.co ed involontario che perme6e alle persone normodotate di integrare
le informazioni per arrivare ad una comprensione del significato globale degli s.moli
ricevu. dall’ambiente. Quindià tendenza all'elaborazione delle informazioni de6agliate
tralasciando l'integrazione in un significato globale (al contrario dei normo .pici quindi).si
cara6erizza come un deficit dell'area frontale, in quanto l'integrazione è un processo
automa.co e non volontario che porta alla comprensione situata delle esperienze e del
linguaggio.
MODELLO DELL’AUMENTO PERCETTIVO (2003)à Secondo questa teoria i soggeQ dello
§ spe6ro non hanno problemi nell’elaborazione globale ma preferiscono un’elaborazione
locale (in par.colare preferiscono rilevare schemi nell’ambiente); dunque i soggeQ dello
spe6ro elaborano le informazioni con processi cogni.vi e perceQvi a.pici.
Quindià soggeQ au.s.ci non tenderebbero all’elaborazione de6agliata a scapito di
quella globale, ma manifesterebbero una sorta di preferenza per l’elaborazione locale,
centrandosi quindi gli interven. sul potenziamento di alcuni livelli e non di quelli
deficitari.
MODELLO DEL DEFICIT DELLE FUNZIONI ESECUTIVE (1986)à Le funzioni esecu.ve
§ riguardano la pianificazione, l’organizzazione e il controllo dell’azione a livello cogni.vo. I
soggeQ sono cogni.vamente flessibili grazie alla funzione strategica ed adaQva delle
funzioni esecu.ve che perme6e di correggere ed interrompere sequenze già avviate,
arricchendo così il patrimonio comportamentale dei soggeQ che altrimen. si ridurrebbe
ad azioni stereo.pate e ripe..ve. Secondo questa teoria, quindi, nei soggeQ con au.smo
6 (cara6erizza. da lesione della corteccia prefrontale) è compromesso il controllo di livello
superiore sulle azioni e intenzioni e tuQ quei comportamen. non abituali (es: abilità
sociali, linguaggio, ecc.). Quindià questo modello, pone l’accento su processi volontari
di flessibilità cogni2va, che perme,ono la correzione e l’interruzione di sequenze
d’azione avviate impedendo le stereo2pie. L’assenza di controllo top-down, lega2 ai
network cor2cali pre-frontali, comporta problemi nell’auto-organizzazione di quei
comportamen2 che non sono abituali (es. abilità sociali).
MODELLO DEL DEFICIT DELLA TEORIA DELLA MENTE (1979)à La teoria della mente si
§ riferisce alla capacità di una persona di rifle6ere sugli anteceden. delle proprie e altrui
azioni a6raverso un processo decisionale di .po intelleQvo che applica le leggi generali
che governano le intenzioni, i desideri e gli scopi. Secondo tale teoria, supportata da
evidenza scien.fica, i soggeQ au.s.ci avrebbero teoria della mente deficitaria e per
questo mo.vo hanno difficoltà:
Nel condividere l’a6enzione; o Nel gesto di indicare; o Nelle meta-rappresentazioni;
o Nell’elaborare mol. s.moli in contemporanea; o Nel riconoscere le espressioni
o emo.ve degli altri, ecc.
Quindià limite della comprensione delle emozioni e sta. interni altrui (mindblindness)
con mancata acquisizione dei precursori precoci della ToM quali la joint a6en.on e il
poin.ng: alcuni studi minano però la certezza di questa cecità mentale precoce portando
ancora a galla il problema di non omogeneità del disturbo.
MODELLO DEL DEFICIT DEL SISTEMA DEI NEURONI SPECCHIO Nelle persone
§ à
normodotate esiste una sistema di neuroni specchio nelle aree parieto-premotorie che
servono per codificare le azioni osservate sugli stessi circui. che ne perme6ono
l’esecuzione. 7
Tali circui. me6ono in connessione queste aree cor.cali per svolgere 2 funzioni:
1. controllare l’esecuzione delle proprie azioni;
2. perme6ere la comprensione dire6a a6raverso l’osservazione delle stesse svolte da
altri. Secondo tale teoria, le persone con ASD possiedono meccanismi di simulazione
motoria alterata a causa di una disfunzione del sistema dei neuroni specchio.
l’ipotesi di disfunzione del sistema specchio viene sostenuta da quegli studi che hanno
riscontrato un’alterazione dei sistemi di simulazione motoria altrui: il riconoscimento e
l’espressione di emozioni faciali altrui infaQ poggerebbe su circui. cerebrali diversi rispe6o
alla popolazione neuro.pica, con iperaQvazione delle cortecce visive a scapito di quelle
premotorie-specchio, dell’insula e dell’amigdala.
Hamilton (2013) elabora 3 teorie per cui una disfunzione dei neuroni specchio nei soggeQ
con ASD causa difficoltà nella comunicazione e nell’interazione sociale:
1. Broken Mirror Theory: difficoltà nella mappatura di sé e dell’altro, con difficoltà diffuse
nella sfera sociale. Hamilton collega la difficoltà di imitazione dei bambini con ASD ad
una disfunzione dei neuroni specchio
2. Simula5on Broken Mirror Theory: mancata comprensione immediata ed esperienziale
dell’altro appartenente al conce6o di “simulazione incarnata”. Hamilton collega
l’incapacità dei soggeQ con ASD di immedesimarsi nell’altro, di comprendere le
emozioni, le azioni e gli sta. mentali dell’altro ad una disfunzione dei neuroni specchio
(che sono dire6amente coinvol. nei processi di simulazione);
3. Chaining Broken Mirror Theory: l’aQvazione a catena dei neuroni secchio consen.rebbe
la comprensione/predizione della fine di una sequenza di aQ altrui, e quindi le loro
intenzioni. Hamilton collega l’incapacità di concentrarsi su più azioni, di riprendere
un’azione interro6a, di generalizzare un apprendimento ecc. ad una disfunzione dei
8 neuroni specchio (questo proprio perché alcuni neuroni specchio rappresentano
sequenze di azioni e l’aQvazione de una catena di neuroni specchio perme6e di predire
le azioni che stanno alla fine di una catena di azioni e in questo modo aiutare a capire le
intenzioni di una persona, cosa che gli au.s.ci non riescono a fare).
1.4 QUALI INTERVENTI?
L’intervento deve essere pensato in relazione al funzionamento a.pico specifico del
sogge6o, al raggiungimento di uno s.le di vita oQmale, con finalità legate all’ada6amento
del sogge6o al suo ambiente relazionale. Come il disturbo stesso, gli interven. sono dispos.
su un con.nuum da quelli più stru6ura. e guida. di cara6ere cogni.vo- comportamentale
guida. da un terapista, a quelli più ecologici e di cara6ere evolu.vo/di sviluppo.
Gli interven. per l’au.smo si basano su 2 approcci:
1. COMPORTAMENTALE
2. EVOLUTIVO
APPROCCI COMPORTAMENTALI
Gli approcci comportamentali si basano sull’analisi del comportamento. Qui di seguito ne
elenchiamo alcuni:
ABA (Applied Behavior Analysis): tale approccio si basa sulla necessità di un
§ apprendimento stru6urato con rapporto 1:1 in un ambiente specificamente organizzato
e sull’incapacità del bambino au.s.co di apprendere in un contesto “naturale” e ha lo
SCOPO di modificare il comportamento del bambino a,raverso le seguenti tecniche:
PROMPTING (aiuto),
- FADING (riduzione degli aiu2),
- MODELING (modellamento),
- SHAPING (ada,amen
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