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CAPITOLO XIII – L’IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO (IVA)
Le origini del tributo nel contesto del mercato unico europeo.
L’imposta sul valore aggiunto (IVA) costituisce il principale tributo indiretto del nostro ordinamento. Essa fu
introdotta con la riforma tributaria degli anni ’70 per armonizzare il sistema fiscale italiano con quanto previsto dalla
Dir. CE 227/1967. Con tale provvedimento, la CE intendeva perseguire una delle principali finalità contemplate dal
Trattato di Roma del 1957: quella di pervenire alla creazione di un Mercato Unico Europeo, ossia di un contesto
territoriale in grado di garantire la libera concorrenza economica e la libera circolazione delle merci e dei capitali
anche attraverso la tendenziale uniformità delle forme di prelievo fiscale applicate dagli Stati aderenti. Il
perseguimento di tale obiettivo comportava una duplice linea di azione:
1) Da un lato, occorreva armonizzare i tributi doganali attraverso la creazione di un unico territorio doganale,
sottraendo, quindi, a tale forma di prelievo gli scambi di merci tra i paesi aderenti, nonché prevedendo un
sistema unico di imposizione sulle importazioni e sulle esportazioni extra-comunitarie.
2) Dall’altro lato, risultava necessario creare un sistema di tassazione omogeneo sugli scambi di beni e servizi
tra soggetti localizzati nei paesi aderenti.
La prima di tali direttrici imponeva l’armonizzazione delle legislazioni doganali dei singoli Stati aderenti con
l’abbattimento delle frontiere intra-comunitarie. Tale obiettivo si è concretizzato con l’Atto Unico Europeo del 1986,
mediante il quale è stata disposta la creazione del Mercato Unico Europeo, definitivamente realizzatosi dal 1°
gennaio 1993. Da tale data l’intero territorio dell’Unione è considerato un unico territorio doganale, cosicché gli
scambi di merci fra gli Stati membri non sono più soggetti all’applicazione dei tributi di confine. La seconda delle
direttrici sopra enunciate è invece quella che ha condotto all’introduzione in tutti gli Stati aderenti all’allora CE (oggi
UE) di una forma generalizzata di prelievo sui consumi ed alla soppressione dei precedenti tributi di effetto
equivalente. In particolare, e per quel che riguarda l’Italia, tale provvedimento condusse all’abrogazione dell’IGE
(Imposta Generale sull’Entrata), la quale consisteva anch’essa in una forma di prelievo generalizzato sulle entrate di
denaro realizzate per effetto della cessione di beni e delle prestazioni di servizi.
L’IGE, quindi, era strutturata per cui: l’importo dovuto a titolo di imposta risultava tanto maggiore quanto più
numerosi erano gli scambi intervenuti sul bene prima della sua immissione definitiva al consumo; le imprese, nel
tentativo di ridurre per quanto possibile l’impatto del tributo sul consumatore finale, erano pertanto indotte a ridurre
il numero dei passaggi subiti dal bene ovvero, e sotto il profilo patologico, ad occultare taluni di essi. Tali
inconvenienti ostacolavano evidentemente la concreta attuazione del Mercato Unico Europeo, risultando elementi
distorsivi della concorrenza e della libera circolazione delle merci. Ecco, allora, che la Comunità Europea avvertì la
necessità di introdurre un’imposta proporzionale e generalizzata sui consumi, la quale, pur mantenendo la
caratteristica plurifase, in quanto applicata su ciascun passaggio del ciclo produttivo-distributivo, risultasse non
cumulativa: si trattava, in altre parole, di modellare il prelievo in modo da consentire agli operatori di non versare
all’Erario l’intero importo del tributo applicato sul prezzo del bene, bensì solo la differenza tra esso e quanto a loro
volta detti operatori avevano già corrisposto al loro dante causa all’atto dell’acquisto del bene. Ciò al fine di colpire
solo il valore aggiunto e rendere, quindi, irrilevante il numero dei passaggi intermedi del ciclo produttivo-
distributivo. L’IVA, dunque, nasce come un’imposta europea e nella sua struttura è delineata, essenzialmente, da
direttive comunitarie. Al riguardo, nel corso degli anni, molte sono state le direttive riguardanti la disciplina dell’IVA.
In questo contesto, date le molteplici direttive succedutesi nel tempo, il legislatore comunitario ha avvertito la
necessità di riorganizzare l’intera materia e, a tale fine, ha emanato la Dir. CE 112/2006 con la quale ha
provveduto a un sostanziale riordino dell’intero sistema comunitario dell’imposta sul valore aggiunto. In questo
contesto, occorre rilevare come l’art. 1 Dir. CE 112/2006 riassume i tratti caratteristici del sistema comune dell’IVA,
consistente “nell’applicare ai beni e ai servizi un’imposta generale sui consumi esattamente proporzionale al prezzo
dei beni e dei servizi, qualunque sia il numero delle operazioni intervenute nel processo di produzione e di
distribuzione”. Ciò detto, nel nostro ordinamento l’IVA è disciplinata dal D.P.R. 633/1972; tuttavia, è bene
sottolineare come la matrice europea del tributo rende assai rilevanti le fonti di produzione comunitarie. Queste
ultime, infatti, si caratterizzano per il particolare grado di determinatezza dei precetti ivi recati, tanto che esse non
costituiscono semplicemente un vincolo per il legislatore interno per quanto riguarda il risultato da raggiungere, ma
integrano gli estremi di Direttive Self Executing, con la conseguenza che le medesime risultano spesso
immediatamente applicabili.
Gli elementi della fattispecie impositiva: i soggetti passivi e le operazioni imponibili.
Ѐ noto che ciascuna imposta si caratterizza per una serie di elementi tipici, i quali compongono la fattispecie
impositiva, ossia l’astratta fattispecie al cui concreto verificarsi si collega la nascita dell’obbligazione tributaria:
trattasi, in particolare, dei soggetti passivi, del presupposto e della base imponibile.
Tuttavia, per l’imposta sul valore aggiunto si è soliti adottare locuzioni tecniche diverse: anziché di presupposto, si
parla di elemento soggettivo e di elemento oggettivo, i quali, assieme con la territorialità, costituiscono le
componenti che concorrono alla descrizione della sfera degli scambi che mettono in moto il peculiare meccanismo
applicativo del tributo. In particolare, affinché un’operazione possa dirsi rilevante ai fini IVA, occorre che essa:
1) Consista in una cessione di beni, in una prestazione di servizi, ovvero in un acquisto intracomunitario o in
un’importazione (cd. Requisito oggettivo).
2) Che sia effettuata nell’esercizio di imprese o di arti e professioni (cd. Requisito soggettivo).
3) Che sia effettuata nel territorio dello Stato (cd. Requisito territoriale).
A questo riguardo occorre ricordare che, per quanto riguarda il requisito oggettivo, nel sistema le operazioni si
distinguono in imponibili, non imponibili, esenti ed escluse. Le operazioni imponibili sono quelle che danno luogo al
sorgere del debito d’imposta nonché di una moltitudine di obblighi formali e strumentali (in particolare, l’emissione
della relativa fattura, la sua registrazione in appositi libri contabili e la presentazione della dichiarazione). Il
compimento di operazioni esenti e non imponibili vincola, invece, all’assolvimento dei soli obblighi formali e
strumentali, senza applicazione del tributo. Infine, sono considerate escluse quelle operazioni, le quali restano del
tutto estranee al campo di applicazione del tributo e la cui realizzazione, quindi, non impone neppure
l’adempimento degli obblighi formali; tali, in specie, possono essere definite le cessioni di beni e le prestazioni di
servizi che:
1) Non hanno i requisiti richiesti dagli artt. 2 e 3 D.P.R. 633/1972, come ad esempio l’effettuazione di una
prestazione di servizi gratuita da parte di un lavoratore autonomo.
2) Sono definite come escluse in base ad un’espressa norma di esclusione.
Il requisito oggettivo, oltre a contrassegnare lo spartiacque tra le operazioni rientranti nel campo di applicazione
dell’IVA e quelle escluse, svolge anche una funzione di discrimine interno. Infatti, la sua duplice articolazione
(cessioni di beni e prestazioni di servizi) non risponde solo a esigenze formali, producendo piuttosto conseguenze
giuridicamente rilevanti in merito al regime impositivo di fatto applicabile. In altri termini, la riconduzione delle
singole fattispecie rilevanti ai fini IVA tra le cessioni di beni o tra le prestazioni di servizi comporta
l’assoggettamento ad una disciplina impositiva che può presentare profili applicativi significativamente diversi.
Le cessioni di beni.
L’art. 1 del D.P.R. 633/1972 qualifica rilevanti ai fini IVA le cessioni di beni e le prestazioni di servizi. Il successivo
art. 2 co. 1 D.P.R. 633/1972 definisce le cessioni di beni come gli atti a titolo oneroso che comportano il
trasferimento della proprietà ovvero la costituzione o il trasferimento di diritti reali di godimento su beni di ogni
genere: si tratta di una nozione assai ampia, in grado di comprendere nell’ambito di applicazione del tributo
qualsivoglia operazione che si caratterizza, sotto il profilo oggettivo, per la presenza di due elementi: 1) Un atto
avente effetti traslativi o costitutivi della proprietà o di altro diritto reale di godimento. 2) L’onerosità dell’atto
medesimo. Il primo di tali elementi estromette dall’area concettuale delle cessioni di beni tutte quelle ipotesi in cui
l’atto produce il solo effetto di trasferire la semplice disponibilità materiale del bene ma non quello di traslare
sull’avente causa la proprietà o altro diritto reale (si pensi ai contratti di noleggio, locazione, leasing e comodato).
Restano, altresì, fuori dalla nozione di cessioni di beni gli acquisti avvenuti a titolo originario (si pensi alle ipotesi di
usucapione). Inoltre, la necessaria sussistenza dell’effetto traslativo rende del pari rilevanti l’attribuzione della mera
disponibilità di un bene.
La particolare ampiezza del fenomeno giuridico involgendo le cessioni di beni è rappresentata anche dall'utilizzo
della locuzione atto il quale, diversamente dal negozio giuridico in cui la manifestazione di volontà è costitutiva degli
effetti giuridici e in grado di ricomprendere una serie di comportamenti giuridici traslativi o costitutivi di diritti reali
su beni, a prescindere dall'esistenza del requisito della volontà. In questo senso è quindi possibile ricomprendere
nella nozione di cessione di beni rilevanti ai fini IVA oppure i trasferimenti anche coattivi disposti per ordine della
pubblica amministrazione o dell'autorità giudiziaria. Inoltre, il tenore letterale della disposizione rende irrilevante
ogni verifica in ordine alla disponibilità in capo al Dante causa del bene che formò oggetto della cessione, pertanto
devono considerarsi imponibili sia la vendita di cose altrui, sia la vendita di c