Un altro capitolo importante riguarda le sanzioni sostitutive delle pene
detentive brevi, introdotte dalla legge n. 689/1981, sulla base della
constatazione che le pene detentive di breve durata risultano inidonee a
realizzare le finalità rieducative della pena, sia per la loro brevità sia per la
limitata pericolosità dei soggetti destinatari. In tale prospettiva, il legislatore ha
previsto la possibilità per il giudice di sostituire le pene detentive brevi con
misure meno afflittive, ove ricorrano i presupposti previsti dalla legge. Tali
sanzioni non sono indicate all’interno delle singole fattispecie incriminatrici, ma
costituiscono un catalogo generale applicabile discrezionalmente dal giudice.
Tra le sanzioni sostitutive più rilevanti si ricordano:
• Semidetenzione: originariamente applicabile per pene detentive inferiori a
6 mesi, successivamente estesa a pene fino a 2 anni. Consiste nell’obbligo di
trascorrere parte della giornata in istituto penitenziario e parte impegnati in
attività socialmente utili;
• Libertà controllata: inizialmente applicabile per pene superiori a 3 mesi,
poi estesa a pene superiori a 1 anno. Prevede obblighi di dimora, firma, e altre
restrizioni;
• Conversione in pena pecuniaria: per pene detentive originariamente
inferiori a un mese, poi elevate a 6 mesi;
• Espulsione dello straniero: introdotta come sanzione sostitutiva per soggetti
stranieri condannati per reati con pena detentiva inferiore a 2 anni, qualora si
trovino in condizione di irregolarità amministrativa (ingresso o permanenza
illegale sul territorio nazionale).
Infine, le sanzioni alternative alla pena detentiva – concettualmente distinte
dalle sostitutive – sono state introdotte con la legge n. 354/1975 (Ordinamento
Penitenziario), con lo scopo di alleggerire il sovraffollamento carcerario e
consentire un trattamento più funzionale al reinserimento sociale del
condannato. Anche in questo caso, la scelta sanzionatoria si fonda su una
valutazione discrezionale del giudice e su presupposti oggettivi (gravità del
reato, comportamento dell’imputato, recidiva, ecc.).
Sanzioni alternative alla detenzione: evoluzione, struttura e
funzione nel sistema penitenziario italiano
Nel disegno originario del legislatore, le sanzioni alternative alla detenzione
furono concepite come strumenti volti a selezionare quei detenuti che, nel
corso dell’esecuzione della pena, manifestassero un atteggiamento di apertura
verso il recupero della legalità e una concreta adesione ai valori
dell’ordinamento giuridico. A differenza delle sanzioni sostitutive, che mirano a
prevenire l’ingresso del condannato in istituto penitenziario, le sanzioni
alternative si configuravano come misure post-detentive, da applicarsi dopo un
periodo di osservazione intramuraria, in presenza di una prognosi favorevole di
rieducazione.
Tali misure, proprio in ragione della loro struttura, potevano essere concesse
anche per pene detentive più elevate (fino a un massimo di tre anni). La
decisione circa la loro concessione non era fondata esclusivamente sul
quantum edittale della pena, bensì su una valutazione personalizzata del
soggetto, fondata sull’osservazione condotta dagli operatori penitenziari.
Questo approccio aumentava le probabilità che il condannato rispettasse le
prescrizioni imposte, rendendo più efficace la funzione rieducativa.
Tuttavia, questo impianto ideale si è progressivamente scontrato con la
strutturale crisi del sistema penitenziario italiano, segnata da fenomeni cronici
di sovraffollamento carcerario. A tal riguardo, si segnala la sentenza della Corte
EDU “Torreggiani e altri c. Italia” (2013), che ha riconosciuto la violazione
dell’art. 3 della Convenzione per i Diritti dell’Uomo (trattamenti inumani e
degradanti), connessa proprio alle condizioni detentive nel nostro Paese.
Per fronteggiare tale emergenza sistemica, si è progressivamente modificato
l’originario assetto delle sanzioni alternative, ampliandone lo spettro
applicativo e semplificando le procedure di accesso. In particolare, si è
affermata una prassi per cui l’ammissione alle misure alternative può avvenire
sin dalle prime fasi dell’esecuzione penale, purché sia formulata una prognosi
favorevole da parte degli operatori penitenziari. Inizialmente previsto dopo tre
mesi, tale termine è stato successivamente ridotto a un solo mese.
Tuttavia, al fine di impedire che anche soggetti condannati per reati di media o
elevata gravità potessero accedere indiscriminatamente a tali misure, il
legislatore ha introdotto limiti più stringenti, ancorando l’accesso al tetto della
pena inflitta e alla valutazione del magistrato di sorveglianza, competente in
materia.
Le differenze fondamentali tra sanzioni sostitutive e sanzioni alternative
possono essere così sintetizzate:
1. Tetto della pena:
• Le sanzioni sostitutive si applicano per pene brevi, inferiori a soglie edittali
predeterminate (es. < 2 anni);
• Le sanzioni alternative sono accessibili anche per pene fino a tre anni, previo
giudizio di idoneità rieducativa.
2. Organo competente:
• Le sanzioni sostitutive sono disposte dal giudice della cognizione;
• Le sanzioni alternative sono concesse dal magistrato di sorveglianza, su
proposta dell’amministrazione penitenziaria.
Affidamento in prova al servizio sociale (art. 47 O.P.)
È considerato il “fiore all’occhiello” della riforma penitenziaria del 1975 e
rappresenta una svolta culturale nell’ottica del diritto penitenziario
contemporaneo. Ispirato ai modelli dei paesi anglosassoni, questo istituto si
fonda sulla sospensione dell’esecuzione della pena detentiva a condizione che
il condannato osservi specifiche prescrizioni stabilite dal tribunale di
sorveglianza, all’interno di un programma di trattamento individualizzato. A
differenza della sospensione condizionale della pena (art. 163 c.p.), che
comporta la semplice inattività dell’organo esecutivo, l’affidamento in prova
impone obblighi concreti e si fonda su un’interazione attiva tra soggetto,
autorità giudiziaria e servizi sociali.
Detenzione domiciliare (art. 47-ter O.P., Legge Gozzini 1986)
Consente l’esecuzione della pena detentiva presso il domicilio del condannato,
per pene non superiori a due anni. Rappresenta una misura residuale rispetto
all’affidamento in prova, in quanto è destinata a soggetti per i quali non è
formulabile una prognosi positiva di rieducazione. Viene applicata in contesti di
vulnerabilità, disagio familiare, età avanzata o infermità.
Semilibertà (art. 48 O.P., come modificato dalla L. 2010/19)
Consente al condannato di trascorrere parte della giornata all’esterno
dell’istituto penitenziario, per svolgere attività lavorative, formative o
terapeutiche, rientrando in carcere solo nelle ore notturne. Rappresenta una
forma di graduale reinserimento sociale, riservata generalmente alla fase finale
della pena.
Pena detentiva, forme alternative e riforme recenti:
un’analisi critica e sistemica
1. La pena detentiva come privazione della libertà nel tempo
La pena detentiva si fonda sul principio della privazione temporanea della
libertà personale. Essa non si limita a limitare fisicamente i movimenti del
condannato, ma incide sulla sovranità individuale sul proprio tempo. Il soggetto
è sottratto al mondo esterno e privato della possibilità di autodeterminarsi nella
gestione quotidiana della propria esistenza: l’imposizione di ritmi, spazi e
comportamenti imposti dallo Stato rappresenta il nucleo della coercizione
detentiva.
Da una prospettiva marxista, la pena detentiva assume una funzione
eminentemente ideologica e disciplinare. Essa non è solo strumento di
neutralizzazione della devianza, ma dispositivo attraverso cui la classe
dominante consolida i propri rapporti di produzione e il controllo sociale. Il
carcere, nella lettura marxista (si pensi a Rusche e Kirchheimer, Punishment
and Social Structure, 1939), riflette la struttura economico-sociale della società
e cambia forma e funzione in relazione ai rapporti di forza tra le classi. La
privazione della libertà non è dunque solo una punizione, ma un meccanismo di
addestramento alla subordinazione, utile a perpetuare la divisione sociale del
lavoro.
Detenzione domiciliare: tra teoria e limiti applicativi
La detenzione domiciliare – disciplinata dall’art. 47-ter O.P. – è stata introdotta
come misura alternativa alla detenzione ordinaria, per favorire la rieducazione
del condannato in un ambiente più favorevole alla socializzazione. Tuttavia,
essa non è esente da criticità:
• In primo luogo, non rappresenta una vera forma di detenzione in senso
classico, essendo sprovvista delle caratteristiche proprie dell’ambiente
carcerario;
• In secondo luogo, l’effettività del controllo è strettamente legata all’uso di
strumenti tecnologici (come il braccialetto elettronico), la cui affidabilità tecnica
e diffusione capillare sono tuttora limitate.
Il progetto di riforma del 2014, inserito nella legge delega del governo Renzi,
avrebbe dovuto ampliare i presupposti applicativi della detenzione domiciliare,
ma non è stato mai seguito da un decreto legislativo attuativo, lasciando il
sistema invariato.
Legge delega 2015 e art. 131-bis c.p.
Nella stessa stagione riformatrice si colloca l’introduzione dell’art. 131-bis c.p.,
che prevede una causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto,
ispirata a principi di economia processuale e deflazione carceraria. Tale
meccanismo consente di escludere la punibilità in presenza di reati di minima
offensività, evitando l’instaurazione del processo penale o l’irrogazione di pene,
pur in presenza della responsabilità penale.
Semilibertà e semidetenzione: differenze
La semilibertà (art. 48 O.P.) è una misura alternativa che consente al
condannato di trascorrere parte della giornata fuori dal carcere per svolgere
attività lavorative o formative, mentre la semidetenzione, prevista dalle
sanzioni sostitutive ex legge n. 689/1981, è disposta direttamente dal giudice
della cognizione e non dal magistrato di sorveglianza. La prima si colloca
all’interno del sistema penitenziario e richiede una valutazione post-condanna;
la seconda è alternativa ex ante alla pena detentiva.
Liberazione anticipata (art. 54 O.P.)
La liberazione anticipata consente una riduzione della pena detentiva pari a 45
giorni per ogni semestre di pena espiata, qualora il condannato abbia dato
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Diritto penale - Sanzioni penali
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