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GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA:
parziale, questa giurisprudenza ha sicuramente dato un notevole apporto all’eliminazione
di trattamenti meno favorevoli per le lavoratrici previsti in molti ordinamenti, dando un
contributo alla ridefinizione della disciplina in materia. Tale giurisprudenza si è sviluppata
in assenza di una disciplina europea che fosse specificamente rivolta alla
regolamentazione del lavoro atipico e sulla necessità di pronunciarsi in una serie di casi
concreti di trattamenti discriminatori, riguardanti le diversità di trattamento tra lavoratori
e lavoratrici, le prassi salariali e l’applicazione di discipline legali e/o collettive. In
particolare, la contrattazione collettiva nei confronti del lavoratore atipico presentava un
atteggiamento ambivalente, in quanto all’autonomia negoziale delle parti sociali era
lasciata la regolazione dello stesso e spesso non erano rispettati gli obiettivi della
normativa antidiscriminatoria. Ad esempio: diverse disposizioni del contratto collettivo
tedesco applicabile ai pubblici dipendenti sono state considerate dalla Corte di Giustizia
incompatibile col diritto comunitario; mentre, in una controversia relativa al trattamento
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retributivo diretto la Corte ha ritenuto di carattere indirettamente discriminatorio le
previsioni del medesimo contratto collettivo che stabilivano un sistema di promozione
automatico basato sull’anzianità di servizio, utilizzando criteri di calcolo di quest’ultima
penalizzanti per il lavoratori a tempo parziale. Quindi, possiamo osservare dall’insieme
della giurisprudenza della Corte in materia di lavoro tempo parziale che c’è una
particolare cautela nel ritenere non discriminatorio la disparità di trattamento basata
sull’anzianità di servizio. Infatti, la Corte ha affermato che sicuramente l’anzianità di
servizio permette l’acquisizione di un certo livello di conoscenza e di esperienza ma ciò
non può assurgere a criterio obiettivo capace di evitare ogni discriminazione. Per altro
verso sembra evidente l’assoluto rigore della Corte nell’applicazione del divieto di
discriminazione in materia retributiva, del quale è stato ribadito il carattere di principio
fondamentale del diritto comunitario, che nessuna norma nazionale può svuotare di
sostanza. Ovviamente, questi criteri elaborati dalla giurisprudenza della Corte devono
essere tenuti in considerazione dai legislatori nazionali in sede di trasposizione della
direttiva.
direttiva n°383/1991 lavoro temporaneo
La riguarda il e può considerarsi appartenente
alla prima generazione dei tentativi di regolazione del lavoro atipico a livello europeo. Le
disposizioni in essa contenute riguardano i lavoratori temporanei assunti con contratto di
lavoratore interinale
lavoro a tempo determinato o con un rapporto di lavoro interinale. Il
è colui il quale è assunto da un’agenzia fornitrice per essere messo a disposizione dell’impresa
Il principio cardine della direttiva è quello dettato dall’art. 5, che attribuisce
utilizzatrice.
agli Stati membri la facoltà di vietare che si faccia ricorso a lavoratori temporanei per certi
lavori che formano oggetto di una sorveglianza medica speciale, secondo criteri che sono
definiti dalle legislazioni nazionali. Se vi si consente, dovrà essere assicurata l’appropriata
sorveglianza medica speciale con facoltà di prevedere che questa sorveglianza vada anche
diritto
oltre il termine di scadenza del rapporto di lavoro. La direttiva istituisce anche un
di informazione diritto di formazione
e un per i lavoratori temporanei, i quali prima
dell’inizio della propria attività dovranno essere informati dal datore di lavoro sui rischi
connessi all’esercizio della professione, ricevendo, se necessario, la formazione adeguata.
Limitatamente al lavoro interinale si prevede, inoltre, un obbligo di informazione ulteriore
a carico dell’agenzia fornitrice, che dovrà rendere note ai lavoratori le caratteristiche del
posto di lavoro da occupare e la qualifica professionale richiesta. Nell’ordinamento
italiano la direttiva n°383/1991 non è mai stata recepita in maniera formale, anche se il D.
Lgs. n°276/2003 contiene alcune disposizioni in linea con le finalità della direttiva.
direttiva n°70/1999 lavoro a tempo determinato:
La riguarda il è esito del dialogo sociale
europeo e presenta gli stessi caratteri strutturali della direttiva riguardante il lavoro a
tempo parziale. Ciò che emerge dai considerando è una maggiore intenzione delle parti
sociali di attuare gli obiettivi della SEO. In questo caso l’accordo quadro prende in
considerazione solo le regole che possono essere applicate ai contratti di lavoro a tempo
lavoratore a tempo determinato
determinato. Il è identificato con una persona con un
La
contratto o un rapporto di lavoro definiti direttamente fra il datore di lavoro e il lavoratore.
normativa comunitaria si propone essenzialmente 2 obiettivi:
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1) migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato attraverso il rispetto del
principio di non discriminazione fra assunti termine i lavoratori stabili;
2) creare mezzi funzionali alla prevenzione degli abusi derivanti dalla reiterazione di
assunzioni con contratto a termine.
Nella direttiva sul lavoro a tempo determinato non si parla in alcun modo di voler
promuovere la diffusione del lavoro precario, tant’è vero che è ivi affermato che i contratti
a tempo indeterminato sono e continueranno ad essere la forma comune dei rapporti di
lavoro, in quanto contribuiscono la qualità della vita dei lavoratori interessati e migliorano
il rendimento. la normativa europea, a
CAMPO D’APPLICAZIONE E CONTENUTI DELLA DIRETTIVA:
parte l’esclusione del lavoro interinale, può non essere applicata, secondo valutazioni
lasciate alla discrezionalità degli Stati membri e/o delle parti sociali nazionali, a quei
rapporti ove il carattere temporaneo è accompagnato ad una componente formativa o ad
obiettivi di inserimento lavorativo ed in primo luogo all’apprendistato. Per il resto tutte le
assunzioni a termine effettuate direttamente dal datore di lavoro rientrano nella sfera
applicativa della direttiva. Un’assunzione è a termine quando vi sono condizioni
oggettive, come il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito
specifico o il verificarsi di un evento specifico. Il ricorso ad una nozione a maglie larghe è
stato voluto per permettere di ricomprendere nella sfera applicativa della direttiva anche
quelle figure di contratto a tempo determinato indipendenti da giustificazioni causali
prevenzione degli abusi
oggettive. Al fine di una politica di (derivanti dalla reiterazione
di tali contratti) l’attenzione si è concentrata non tanto sul contratto a termine in se stesso
ma sulla successione dei contratti o dei rapporti di lavoro a tempo determinato. Per questo
motivo, gli Stati membri devono introdurre regole in materia di proroga del contratto e di
assunzioni successive a termine. La direttiva, in tal senso, dispone:
la previsione di ragioni obiettive per consentire il rinnovo del contratto;
• la fissazione di una durata massima totale dei contratti a tempo determinato
• successivi;
la fissazione di un numero massimo di rinnovi dei suddetti contratti.
•
Allo scopo di migliorare la qualità del lavoro a termine e di attenuare le condizioni di
precarietà del rapporto risponde anche la previsione di un obbligo di informazione sui
posti vacanti a tempo indeterminato che si rendano disponibili nell’impresa, al quale il
datore di lavoro può ottemperare anche con un annuncio pubblico. In questo caso
l’informazione è unidirezionale, in quanto riguarda solo la possibilità di accesso di un
impiego stabile e non il contrario. Agli stessi obiettivi si riconduce la formazione, che i
datori di lavoro dovrebbero assicurare ai lavoratori a termine. Anche in questa direttiva
vale il principio di non discriminazione del lavoratore assunto termine rispetto al
lavoratore a tempo indeterminato comparabile. Quindi, il principio di parità riguarda tutte
le condizioni del rapporto di lavoro, ad eccezione dei trattamenti previdenziali pubblici.
Con una formulazione più rigorosa rispetto alla direttiva sul part-time, la direttiva n
°70/1990 prevede che i criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari
condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi per tutti i tipi di lavoratori, ferma restando
la possibilità di ricorrere a criteri diversi giustificati da ragioni oggettive, sempre nel
rispetto del principio del divieto di discriminazione indiretta. Nella clausola finale
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dell’accordo è prevista la possibilità da parte degli ordinamenti nazionali di introdurre
disposizioni più favorevoli per i lavoratori e la clausola di non regresso.
La Corte di Giustizia ha sempre avuto
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un atteggiamento diffidente nei confronti del lavoro precario e ciò è emerso sin dalla sua
caso Adeneler.
prima sentenza nel Qui, la Corte ha dapprima affermato che la finalità
dell’accordo quadro è quella di proteggere i lavoratori dall’instabilità dell’impiego, per cui
viene ribadito che i contratti a tempo indeterminato sono la regola dei rapporti di lavoro.
Successivamente, si è occupata di definire la nozione di “ragioni obiettive”, alla cui
sussistenza è condizionata la possibilità di rinnovare un contratto a termine: per essa
questa clausola va intesa nel senso che deve essere presente non solo la mera
autorizzazione del legislatore nazionale alla reiterazione dell’assunzione a termine ma
esige anche che il ricorso a questo tipo particolare di rapporti di lavoro sia giustificato
dalla presenza di elementi concreti relativi all’attività e alle condizioni del suo esercizio.
Quindi, la Corte ha chiarito che una disposizione nazionale che consideri successivi