Non tutti gli atti unilaterali creano norme internazionali di contenuto non predeterminato. Alcuni atti hanno
effetti giuridici prestabiliti dal diritto consuetudinario. Ad esempio:
• →
Protesta dichiarazione unilaterale di opposizione a un atto o azione di un altro Stato, impedendo
l'acquiescenza.
• →
Riconoscimento atto unilaterale che legittima una situazione o condotta, impedendo allo Stato di
contestarla successivamente (estoppel).
• →
Rinuncia abbandono volontario di un diritto, che deve essere chiara e volontaria.
• →
Notifica informazione ad un altro Stato di un'azione intrapresa, che preclude comportamenti
come se l'azione non fosse conosciuta.
• →
Promessa unico atto unilaterale che crea obblighi internazionali, impegnando lo Stato a un certo
comportamento.
La CIG ha confermato l'importanza degli atti unilaterali in vari casi, sottolineando che le promesse devono
essere fatte con l'intenzione chiara di creare obblighi giuridici e devono essere pubbliche.
Esistono anche atti unilaterali previsti da accordi, come la denuncia o il recesso da un trattato, che fanno
perdere allo Stato la qualità di parte del trattato o di membro di un'organizzazione internazionale. Questi atti
sono regolati da clausole specifiche contenute nei trattati stessi.
3. L’equità e le sentenze dispositive
Alcuni trattati conferiscono ai tribunali internazionali il potere di emettere sentenze basate non solo sul
diritto esistente, ma anche su principi di equità (ex aequo et bono). Questo potere è previsto dall'art. 38, par.
2, dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia (CIG), ma non è mai stato esplicitamente autorizzato
dagli Stati. Diritto internazionale
Quando un tribunale internazionale utilizza principi di equità per risolvere una controversia, esso crea diritto
per le parti coinvolte, emettendo sentenze dispositive. Un esempio è il Tribunale arbitrale degli Accordi di
Dayton/Parigi del 1995, che, nel caso Dispute over Inter-Entity Boundary in the Briko Area, ha potuto
ricorrere a principi giuridici e di equità. Nella sua prima sentenza del 1997, il Tribunale si è basato su "esigenze
di imparzialità, giustizia e razionalità". La seconda sentenza del 1998 ha mantenuto un controllo
internazionale provvisorio, giustificandolo come conforme a principi di equità. La terza sentenza definitiva
del 1999 ha istituito il distretto permanente di Broko, dotato di autogoverno e gestito congiuntamente dalle
due entità sotto la sovranità della Bosnia-Erzegovina.
Nonostante questi esempi, l'equità non può essere considerata una fonte autonoma di norme internazionali,
a meno che non sia prevista da un accordo generale come l'art. 38, par. 2, dello Statuto della CIG o da accordi
specifici tra le parti di una controversia che stabiliscano le regole per il funzionamento di un tribunale
arbitrale.
4. Le sentenze che non si fondano su principio di equità
Le sentenze della Corte Internazionale di Giustizia (CIG) hanno efficacia vincolante solo per le parti coinvolte
nel caso specifico, secondo l'art. 59 del suo Statuto. L'art. 38, par. 1, lett. d, stabilisce che la Corte utilizzi le
decisioni giudiziarie come strumento sussidiario per determinare norme giuridiche, confermando una pratica
consuetudinaria. Questo significa che le sentenze dei tribunali internazionali non creano nuove norme di
diritto, a meno che non si basino su principi di equità.
Nonostante ciò, le sentenze dei tribunali internazionali, in particolare della CIG, sono fondamentali per la
valutazione delle norme consuetudinarie, la definizione del loro ambito e lo sviluppo di nuovi concetti. Ad
esempio, la sentenza "The Alabama" del 1872 ha stabilito principi sulla neutralità, e il caso "Isola di Palmas"
del 1928 ha chiarito la nozione di sovranità territoriale.
La CIG ha emesso sentenze significative come "Barcelona Traction", che ha elaborato la nozione di obblighi
erga omnes, e il caso "Nicaragua" del 1986, che ha precisato le regole sull'imputazione di comportamenti
statali e sull'uso della forza.
In alcuni casi, la CIG ha di fatto creato norme internazionali, applicando la dottrina dei poteri impliciti,
stabilendo un nuovo regime sulle riserve ai trattati, e affermando che ciò che conta nel diritto alla protezione
diplomatica è il legame effettivo tra l'individuo e lo Stato.
In pratica, le sentenze della CIG e di altri tribunali internazionali influenzano profondamente il diritto
internazionale, nonostante la loro natura non vincolante oltre le parti coinvolte.
5. La soft law
Negli ultimi anni, si è sviluppato un nuovo fenomeno nel diritto internazionale noto come "soft law", in
contrapposizione all'"hard law". La soft law comprende parametri, impegni, dichiarazioni congiunte e
politiche che non impongono obblighi vincolanti per gli Stati. Esempi includono l'Atto finale di Helsinki del
1975 della CSCE (ora OSCE) e risoluzioni dell'Assemblea Generale dell'ONU.
Gli strumenti di soft law condividono tre caratteristiche principali:
1. Riflettono tendenze emergenti nella comunità internazionale e sono spesso promossi da
organizzazioni internazionali.
2. Riguardano nuovi interessi della comunità internazionale, come i diritti umani, le relazioni
economiche internazionali e la protezione dell'ambiente.
3. Trattano questioni su cui è difficile per gli Stati raggiungere un consenso sufficiente per stipulare
accordi vincolanti.
Sebbene non creino obblighi legali vincolanti, la soft law può facilitare la formazione di norme
consuetudinarie o contribuire alla stipulazione di trattati internazionali, trasformandosi così in diritto
vincolante. Per distinguere tra soft law e hard law, è essenziale considerare l'intenzione dei redattori e
verificare se lo strumento sia stato concepito come vincolante o solo esortativo. Diritto internazionale
In alcuni casi, la soft law può indicare l'esistenza di una norma consuetudinaria o contribuire alla sua
cristallizzazione, a condizione che vi siano i requisiti di diuturnitas (pratica costante e uniforme) e opinio iuris
ac necessitatis (convinzione che la pratica sia legalmente obbligatoria). Diritto internazionale
13. Diritto internazionale e ordinamenti giuridici interni
1. Le principali impostazioni dottrinali
Nel campo dei rapporti tra diritto internazionale e ordinamenti giuridici interni, esistono tre principali teorie:
→
1. Monismo nazionalista propugna la supremazia del diritto interno su quello internazionale,
considerandolo come un "diritto statale esterno" non vincolante se contrario agli interessi dello
Stato. Questa teoria riflette un estremo nazionalismo e autoritarismo ed è stata avanzata nel XVIII
secolo da Johann Jakob Moser.
→
2. Dualismo distingue nettamente tra ordinamento giuridico internazionale e sistemi giuridici
interni, ognuno con i propri soggetti, fonti normative e contenuti. Il diritto internazionale è vincolante
a livello interno solo se accettato dalle autorità nazionali. Questa teoria, ispirata al moderato
nazionalismo, fu formalizzata nel 1899 da Heinrich Triepel e ulteriormente sviluppata da Dionisio
Anzilotti. →
3. Monismo internazionalista sostiene l'esistenza di un ordinamento giuridico unitario, con il diritto
internazionale al vertice, conferendo o negando validità agli atti degli ordinamenti giuridici interni.
Le norme internazionali non necessitano di trasformazione per essere applicate internamente e
prevalgono su quelle nazionali in caso di conflitto. Questa teoria, avanzata da Wilhelm Kaufmann e
sviluppata da Hans Kelsen, enfatizza il ruolo del diritto internazionale nel controllare gli ordinamenti
nazionali.
Attualmente, la concezione dualista non appare più pienamente convincente, mentre alcuni postulati del
monismo internazionalista stanno gradualmente affermandosi. Il diritto internazionale ha infatti effettuato
incursioni nei sistemi giuridici interni, producendo effetti rilevanti e ponendo obblighi e diritti direttamente
agli individui. Questo indica un'evoluzione verso una comunità internazionale che comprende individui, Stati
e aggregati interstatali, trasformandosi da un diritto inter partes a un diritto super partes.
Nonostante queste teorie, molte regole internazionali devono essere applicate dagli organi degli Stati e dagli
individui all'interno dei vari ordinamenti statali. Il diritto internazionale stabilisce che gli Stati non possono
invocare il loro diritto interno per giustificare il mancato adempimento degli obblighi internazionali, ma lascia
loro la libertà di decidere come adattare il proprio ordinamento interno per consentire la piena applicazione
delle norme internazionali.
2. L'assenza di un obbligo generale di adattamento
Nel caso "Scambio di popolazioni greche e turche" (1925), la Corte Permanente di Giustizia Internazionale
(CPGI) ha sostenuto che gli Stati sono generalmente obbligati a conformare il proprio diritto interno agli
obblighi internazionali. Tuttavia, la prassi internazionale non avvalora l'esistenza di un simile obbligo come
specifico e autonomo: gli Stati si preoccupano principalmente del rispetto delle norme internazionali nel caso
concreto, senza prestare attenzione alle ragioni interne della loro eventuale violazione. Questo riflette la
struttura individualistica della società internazionale e l'importanza del principio di non ingerenza negli affari
interni degli Stati.
Esistono comunque eccezioni. Alcuni trattati internazionali richiedono espressamente agli Stati di emanare
la legislazione necessaria per attuare le norme stabilite dal trattato. Esempi includono le Convenzioni di
Ginevra del 1949, vari trattati sui diritti umani e lo Statuto della Corte Penale Internazionale (CPI). Inoltre,
alcune norme generali di ius cogens richiedono che gli Stati adottino normative di adattamento necessarie
alla loro attuazione. Nel caso Furundzija, l'ICTY ha affermato che la natura imperativa della norma
internazionale che proibisce la tortura obbliga gli Stati ad emanare una legislazione interna conforme.
Gli Stati considerano che certe disposizioni internazionali siano così importanti da richiedere una garanzia di
attuazione nei sistemi giuridici interni, per prevenire possibili violazioni. Se uno Stato non emana la
necessaria normativa di adattamento, può incorrere nella responsabilità internazionale. Tuttavia, nella
prassi, è raro che gli Stati richiedano ad altri Stati l'emanazione della legislazione interna di adattamento,
rimanendo ancorati al principio del rispetto degli affari interni. Diritto internazionale
Fortunatamente, per alcune norme internazionali, esistono meccanismi di verifica per assicurare che gli Stati
abbiano adottato le misure interne necessarie. L'Italia, ad esempio,
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